L’invasione degli anglicismi

Rispondo con un lungo post a diversi commenti di Remo, di cui apprezzo la passione per la lingua italiana. Non condivido invece il suo allarmismo per il presunto disfacimento dell’italiano a causa del proliferare degli anglicismi. 

Forestierismi insostituibili, utili e superflui

Tutte le lingue hanno sempre fatto uso di forestierismi, i cosiddetti prestiti. In italiano la distinzione classica è tra prestiti di necessità e di lusso ma Giovanni Adamo e Valeria Della Valle in Le parole del lessico italiano preferiscono invece una tripartizione:

  1. forestierismi insostituibili, ormai radicati nell’uso, soprattutto per la loro concisione, efficacia espressiva e adeguatezza nominativa, come computer;
  2. forestierismi utili, che ripropongono espressioni straniere alle quali i parlanti sembrano adeguarsi senza sforzo eccessivo, facilitando l’uso di formule denominative di circolazione internazionale, come email;
  3. forestierismi superflui, che si affiancano a espressioni italiane già in uso o facilmente ricavabili e sono mossi spesso dalla volontà di ostentare consuetudine con tendenze o conoscenze linguistiche straniere, come nel caso dell’inglese ticket, molto spesso abusato in luogo di ‘biglietto’ o ‘buono’.

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L’inglese NON è una lingua “sintetica”

The _Economist chartThe Economist in Lost (or gained) in translation mostra una tabella che confronta la lunghezza delle traduzioni in varie lingue, misurata in caratteri, di un testo originale inglese di 1000 caratteri.

Il Post in Qual è la lingua migliore per Twitter? riprende i dati aggiungendo però varie inesattezze linguistiche, a partire dalla frase riassuntiva:

L’Economist ha pubblicato un grafico che mostra le lingue più sintetiche del mondo: l’italiano è tra quelle che usano più caratteri, il cinese le batte tutte.

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2 anni: 25 parole in inglese e in italiano

Parole e valutazione dell’apprendimento del linguaggio

È di questi giorni la notizia di una ricerca relativa a un test molto semplice, ricavato da un elenco di parole di controllo (cfr. MacArthur-Bates Communicative Development Inventory, CDI), che permette di identificare potenziali problemi di apprendimento del linguaggio nei bambini di età compresa tra i 24 e i 35 mesi e prevedere quindi interventi di logopedia.

Ne parla anche il Corriere della Sera, con una notevole approssimazione. In Quelle 25 parole da sapere a 2 anni si legge, tra le altre cose:

In genere, le parole pronunciate a due anni sono fra 70 e 225, ma venticinque di queste (mamma, papà, ciao, giocattoli, cane, gatto, bambino, latte, succo di frutta, palla, sì, no, naso, occhio, banana, biscotto, macchina, caldo, grazie, bagno, scarpa, cappello, libro, andati, di più) devono comparire per forza nel vocabolario del piccolo, perché sono quelle considerate base e la loro mancata conoscenza potrebbe essere indice di qualche problema di apprendimento assai più grave di un semplice «ritardo linguistico».

Parole inglesi e parole italiane

La giornalista si è limitata a tradurre letteralmente in italiano l’elenco delle parole che dovrebbe conoscere un bambino inglese di due anni (mummy, daddy, hello, dog, cat, baby, milk, juice, ball, yes, no, nose, eye, banana, biscuit, car, hot, thank you, bath, shoe, hat, book, all gone, more, bye bye), senza verificare se l’elenco avesse senso anche per un coetaneo italiano.

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Solo 800 parole?

Teenagers “only use 800 different words a day” – Bella e scialla: ecco come parla la “generazione 20 parole”

La Repubblica riprende un articolo del Telegraph secondo cui gli adolescenti britannici userebbero in media un vocabolario di sole 800 parole*. Il linguista britannico David Crystal in On the 800-word myth spiega perché questa affermazione, ripresa da molti media, non ha molto senso. Le principali obiezioni:

non esiste un metodo soddisfacente per misurare il vocabolario di una persona;
le parole diverse pronunciate in una singola giornata non sono un campione rappresentativo del lessico che una persona conosce o usa, variano infatti in base al tipo e all’oggetto di una conversazione; 
difficile analizzare un mondo a cui non si appartiene, come quello degli adolescenti, che in presenza di estranei evitano di discutere argomenti per i quali possono avere un loro vocabolario molto ricco.

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È cambiato lo stile dei messaggi?

Il punto (e la virgola) della crisi in Mediablog riprende un commento del Financial Times, Welcome back, semicolon; cu l8r, informality, e si domanda se la crisi economica influenzi il modo di scrivere email e SMS, facendo preferire uno stile più formale che evita espressioni colloquiali: Nella valanga di email che riceviamo negli ultimi tempi … Leggi tutto