Lockdown vs distanziamento sociale

Titoli: Coronavirus, il mondo si divide sul lockdown; Lockdown all’italiana; Anche il Belgio in lockdown: Il 3 aprile non finirà il lockdown: Il lockdown? Si poteva evitare

Lockdown è un anglicismo entrato prepotentemente nelle cronache di queste settimane di emergenza per il nuovo coronavirus. Dobbiamo considerarlo ormai insostituibile, semplicemente utile oppure superfluo?

Lockdown in inglese

Lockdown è una parola di origine americana e nel lessico non specialistico ha due significati:

1 l’isolamento dei detenuti nella propria cella come misura temporanea di sicurezza (per alcuni aspetti paragonabile al cosiddetto carcere duro); è l’accezione originale che deriva dal verbo americano lock somebody down, confinare [un detenuto] in cella, da non confondersi con lock somebody up (o away), rinchiudere in prigione;

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Covid hospital, anglicismo inquietante

Esempi di titoli: Coronavirus in Veneto, Zaia: “Apriamo un Covid-Hospital in ogni provincia”; Lazio, Covid Hospital diventano 5; L’Aquila: apre il Covid Hospital al G8; L’ospedale di Lugo diventa Covid Hospital; Primi malati nel Covid Hospital di Camerino

Mi chiedo quale sia la motivazione nella scelta dell’anglicismo Covid hospital per denominare gli ospedali italiani destinati alla cura di persone affette da COVID-19. Forse si ritiene che hospital sia una parola che comunica maggiore efficienza, competenza e modernità di ospedale, un tipo di convinzione diffusa tra chi ha una conoscenza solo superficiale dell’inglese?

Temo che chi ha privilegiato l’anglicismo non abbia considerato le potenziali connotazioni negative di hospital. Per chi non conosce l’inglese, come la maggior parte degli anziani, hospital sentito alla radio o in TV può infatti suonare simile a hospice, la struttura per il ricovero di malati terminali. Il possibile fraintendimento non è per nulla rassicurante se si appartiene a una categoria di persone che rischia la vita se contagiata.

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Cince onomatopeiche!

Cinciallegra (Parus major) – foto di Marek Szczepanek

Ora che c’è pochissimo traffico è più facile sentire il canto degli uccelli, anche in città, dove sono comuni le cince: persino a Milano è facile vedere cinciallegre, cinciarelle e cince more.

La parola cincia è di origine onomatopeica, dal tipico “cink cink cink” che caratterizza il suono emesso da questi uccelli dell’ordine dei Passeracei, famiglia Paridae. 

Origine onomatopeica anche in inglese per le specie americane, che si chiamano chickadee /ˈtʃɪkədiː/, mentre quelle europee sono tit (o titmouse), parola di origine incerta, forse imitativa.

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Da epidemia a pandemia: aspetti terminologici

tweet di World Health Organization: “We have therefore made the assessment that #COVID19 can be characterized as a pandemic”- @DrTedros #coronavirus

Ieri 11 marzo 2020 il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato che l’epidemia di COVID-19 da questo momento viene classificata come pandemia.

Per noi italiani l’uso di un’etichetta diversa (da epidemia a pandemia) non fa molta differenza, ma prendo comunque spunto dall’annuncio dell’OMS per alcune considerazioni terminologiche, tra cui la distinzione tra lessico comune e lessico specialistico (parole vs termini) e la mancanza di un approccio onomasiologico ben definito.

La parola pandemia

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Lavorare da casa non è smart working!

Esempi di titoli: 1 Coronavirus: smart working obbligatorio nelle PA; 2 Coronavirus, lavoro: pronti 2 milioni di euro per lo smart working; 3 Covid-19, sono incompatibili smart working e smart schooling; 4 Lo smart learning oltre il coronavirus

Smart working è un’espressione ricorrente nelle notizie sulle misure per contrastare la diffusione della COVID-19. È usata genericamente per identificare l’opzione di lavorare da casa ricorrendo a strumenti informatici.

Si tratta però di uno pseudoanglicismo perché in inglese questa modalità di lavoro non si chiama smart working bensì working from home, da cui l’acronimo WFH, oppure remote working o anche telecommuting, come si può verificare nelle cronache dei media britannici e americani di questi giorni.

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Pensieri fugaci: da tweet a fleet

Fleet è il nome scelto per una nuova funzionalità di Twitter annunciata all’inizio di marzo 2020: è una breve comunicazione – testo o immagine – che scompare dopo 24 ore, come le storie di Instagram, Snapchat e altri social media.

 tweet di Kayvon Beykpour, responsabile di prodotto di Twitter: Fleets are a way to share fleeting thoughts. Unlike Tweets, Fleets disappear after 24 hours and don’t get Retweets, Likes, or public replies-- people can only react to your Fleets with DMs. Instead of showing up in people’s timelines, Fleets are viewed by tapping on your avatar.

I fleet non appaiono nella cronologia (timeline) ma vengono visualizzati selezionando l’immagine del profilo del loro autore, dove viene segnalata la loro presenza (esempio qui). L’unico modo per interagire con i fleet è con un messaggio diretto: non sono consentiti retweet, risposte o Mi piace.

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La “regola droplet”, invenzione dei media?

Nelle notizie del 2 marzo 2020 sulle misure urgenti del governo per gestire l’emergenza epidemiologica da COVID-19 è ricorrente l’anglicismo droplet. Alcuni esempi di titoli:

Coronavirus e droplet: ecco al distanza di sicurezza anti contagio – Coronavirus e criterio Droplet: come funziona? Le prove in bar e ristoranti – La chiave è il “droplet”, la regola per contrastare il contagio da coronavirus – Introdotta la regola del droplet – Coronavirus, la parola d’ordine è “droplet”, tenere la distanza d un metro – Arriva la norma Droplet.

A seconda delle testate, droplet sarebbe il nome di una regola, di una norma o di un criterio, oppure una misura che determina la distanza che impedisce il contagio del coronavirus.

Se però si consulta il Decreto del presidente del consiglio dei ministri del 1 marzo 2020, non c’è nessuna occorrenza di droplet, e neppure nel comunicato stampa del Ministero della Salute. Sarei molto curiosa di sapere perché i media hanno deciso che droplet dovesse diventare la nuova parola chiave e se si rendono conto che la usano impropriamente.

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Il curioso caso degli hashtag con errore

tweet di Donald Trump del 26 febbraio 2020: Low Ratings Fake News MSDNC (Comcast) & @CNN are doing everything possible to make the Caronavirus look as bad as possible, including panicking markets, if possible. Likewise their incompetent Do Nothing Democrat comrades are all talk, no action. USA in great shape! @CDCgov

È risaputo che i tweet di Trump sono pieni di refusi: ricordate Giuseppi e covfefe? L’ultimo esempio è Caronavirus, che non è un banale errore di digitazione bensì di ortografia: le vocali a ed o sono troppo distanti sulla tastiera per essere invertite per sbaglio.

Variazioni in tema #coronavirus

È plausibile che Trump ignori come si scrive coronavirus, però potrebbe anche essere stato confuso dagli innumerevoli hashtag con refuso che in queste settimane sono stati di tendenza soppiantando il corretto #coronavirus (per chi non ha familiarità con Twitter: sono “di tendenza” gli argomenti di discussione più popolari che appaiono in evidenza in un’apposita sezione – cfr. Trend(ing) topics, nuove “tendenze”) .

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FUD, da paura!

Esempi di marchi: stritFUD, Gente del FUD, Radio FUD, SUD ‘N’ FUD, STRIT FUD la traduzione italiana del gusto

Nel mondo della ristorazione veloce si notano spesso nomi di attività o eventi per i quali sono usate parole inglesi del lessico di base che, con intento spiritoso, vengono scritte come si pronunciano in italiano. È un esempio di assimilazione grafica già descritto in Da Halloween ad Allouìn.

Una parola ricorrente è FUD per food ma dubito che chi la usa sappia che in inglese FUD è un acronimo con un significato negativo preciso: sta per Fear, Uncertainty and Doubt.

FUD, dal marketing alla propaganda

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Cosa accomuna copia e incolla e browser

tweet di Xerox: The inventor of cut/copy & paste, find & replace, and more was former Xerox researcher Larry Tesler. Your workday is easier thanks to his revolutionary ideas. Larry passed away Monday, so please join us in celebrating him. cut copy paste

È morto l’inventore del copia e incolla, Larry Tesler. Gli dobbiamo alcune funzionalità fondamentali delle interfacce grafiche, tra cui i comandi per rimuovere, duplicare e riposizionare porzioni di testo (e in seguito anche immagini e altri elementi) e i termini inglesi corrispondenti cut, copy e paste.

Copincollare

Sono azioni che ci sono così familiari che le ritroviamo in senso figurato anche nel lessico comune: un esempio è il verbo italiano informale copincollare, usato metaforicamente per l’azione di copiare pedissequamente parole o idee altrui.

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Coronavirus: conteggi errati di “ricoverati”

Un esempio di notizia sull’epidemia di COVID-19 tradotta malamente dall’inglese:

Testo della notizia: Il numero dei morti da coronavirus è salito a 1875, mentre le persone contagiate son 73337 e quelle ricoverate 13124. In Cina contagiati 3019 operatori sanitari.
(da un tweet di Luca Fois) 

Stando a quanto si legge, al 18 febbraio 2020 si contavano 1875 deceduti da COVID-19, da sommare a 73337 contagiati e a 13124 ricoverati, per un totale di 88336 persone (la congiunzione mentre ha valore avversativo e indica che si tratta di dati contrapposti).

Sono stati fatti due errori grossolani, uno di traduzione e uno di interpretazione delle statistiche, che nei media di lingua inglese hanno questo formato (dati del 20 febbraio):

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La cultura, software della mente

È scomparso lo psicologo olandese Geert Hofstede, un ricercatore che ha avuto un ruolo rilevante nella comprensione delle differenze culturali, in particolare in contesti professionali.

La notizia mi ha fatto subito pensare all’espressione software of the mind, che Hofstede aveva coniato negli anni ‘80 per descrivere il concetto di cultura: una “programmazione collettiva” della mente umana che accomuna i membri di un gruppo o una categoria di persone e li distingue da altri, e cioè un sistema condiviso per l’interpretazione di realtà ed esperienze.

Hofstede aveva identificato le manifestazioni della cultura rappresentandole in un diagramma “a cipolla”. Più un aspetto è esterno e più facilmente è riconoscibile ed eventualmente riproducibile da altre culture:

diagramma a cipolla: Simboli: parole, gesti, immagini, oggetti; Eroi: modelli di comportamento, personaggi di riferimento; Rituali: saluti, cerimonie, aspetti pragmatici; Pratiche: visibili all’osservatore esterno,  significato culturale invisibile

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Fat shaming: in italiano, senza vergogna

L’anglicismo body shaming descrive la pratica di criticare pubblicamente qualcuno per l’aspetto fisico, in particolare se è grasso: fat shaming. È un comportamento riprovevole molto diffuso ma il nome inglese spesso è frainteso, non coinvolge emotivamente e impedisce di capire la gravità del fenomeno.

C’è un’alternativa italiana? Sì, spiega su Sette Costanza Rizzacasa D’Orsogna, con cui ho scambiato qualche idea:

Come tradurre «fat shaming»? Significa mettere alla gogna i grassi. Troppo spesso, anche sui giornali, «fat shaming» viene tradotto erroneamente come «vergogna del grasso». Invece è la discriminazione contro le persone grasse -- di Costanza Rizzacasa D’Orsogna

Qui aggiungo alcuni dettagli lessicali sull’origine, l’uso e l’evoluzione del concetto di shaming nell’inglese americano. In breve: non significa né “svergognare” né “far vergognare”.

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COVID-19 non è il virus ma la malattia!

Alcuni titoli dell’11 febbraio 2020:

Immagine di coronavirus ed esempi di titoli:  Il coronavirus si chiama Covid-19; Il nuovo coronavirus ora ha un nome ufficiale: Covid-19; Oms: “Abbiamo un nome per Coronavirus, Covid-19”

Per molti media italiani l’Organizzazione Mondiale della Sanità avrebbe annunciato il nome ufficiale del coronavirus responsabile dell’epidemia in corso in Cina: COVID-19.

Hanno preso una cantonata: il virus ha già due nomi ufficiali, coronavirus 2019-nCoV (usato finora da OMS e media) e SARS-CoV-2 (nuovo nome usato dai virologi di ICTV)*. Quello annunciato l’11 febbraio dal direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, è il nome della malattia causata dal virus. Nel nome COVID-19 la lettera d sta infatti per disease, malattia, morbo o infezione.

C’è quindi da chiedersi quanto siano affidabili le notizie date da chi fraintende informazioni così semplici come il testo inglese del tweet dell’OMS (e viene in mente il concetto di infodemia):

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Flexare (come, dove e perché)

foto molte banconote da 50€ con il commento Faccio il figo, flexo i soldi di mia mamma

Conoscete già il verbo informale flexare?

Alcuni esempi d’uso:
➝  Vai Antonio, flexalo sto Cash. I SOLDI VANNO FLEXATI
➝  fare il figo e flexare è il mio hobby
➝  sì amo le mie scarpe e le flexo
Smettila di flexare le AirPods
➝  in qualche modo dovevo flexare il mio 10 in filosofia
➝  Buonasera vado a flexare con la mia nuova maglia cute
➝  Ora può flexare in giro con la copia cheap in offerta da unieuro delle airpods

Nella maggior parte dei casi flexare equivale a sfoggiare, ostentare, esibire, mettere in mostra, sbandierare, vantare o vantarsi, tirarsela.

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