Ma l’Alpine Plume cos’è?

L’Alpine Plume non è la penna di corvo o di aquila sul cappello degli alpini, come potrebbe suggerire una traduzione maccheronica dall’inglese, ma un fenomeno meteorologico di cui parlano oggi vari media italiani a proposito del rischio grandinate nel nord Italia.

Viene descritto genericamente come “aria calda e secca che risale dal Mediterraneo e che comporta le condizioni adatte per forti grandinate”.  Ma cosa c’entrano le Alpi o comunque il riferimento alle montagne (Alpine)? Nessuno lo spiega, né si preoccupa di chiarire cosa voglia dire plume in questo contesto.

Le poche occorrenze restituite dai motori di ricerca sono molto recenti e fanno sospettare che Alpine Plume sia un nome coniato in questi giorni da qualche addetto ai lavori. Che senso ha propinarlo al grande pubblico come se fosse un termine attestato? 

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popularism <> popolarismo

Massimo Mantellini ha citato un articolo di Thomas L. Friedman, The Rise of Popularism, perplesso che nella traduzione di Repubblica il titolo sia diventato Il potere dei follower. Forse chi ha tradotto il testo in italiano ha voluto evitare di evidenziare un falso amico?

Friedman indica che popularism è un neologismo e ne spiega il significato:

I heard a new word in London last week: “Popularism.” It’s the über-ideology of our day. Read the polls, track the blogs, tally the Twitter feeds and Facebook postings and go precisely where the people are, not where you think they need to go. If everyone is “following,” who is leading?

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Dizionari e neologismi (e credibilità di chi scrive)

Mi ha colpita un articolo di un noto quotidiano italiano, Il linguaggio corre troppo veloce. I nuovi dizionari sono già vecchi, che ho fotografato perché al momento non ho a disposizione uno scanner:

Il linguaggio corre troppo veloce. I nuovi dizionari sono già vecchi. Pagina 42 (19 giugno 2012) - Corriere della Sera
(versione online non più disponibile)

Ci sono spunti interessanti, ad es. c’è un riferimento ai criteri, non sempre palesi per l’autore, per cui certi neologismi sono inclusi nelle versioni più recenti di alcuni dizionari, come paccata nell’accezione usata dal ministro Fornero, mentre ne mancano altri, come biscotto ed esodato, che sono parole comunque in uso da tempo.

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Paure moderne: nomofobia

Qualche mese fa Fritinancy descriveva il neologismo inglese nomophobia, la paura di trovarsi senza cellulare o di non poterlo usare (batteria scarica, mancanza di copertura ecc.).

Nomophobia è una parola macedonia composta da no + mobile + phobia, usata per la prima volta in Gran Bretagna nel 2008 (allora negli Stati Uniti non si diceva mobile ma cell phone).

immagine articolo Emanuela Di PasquaIeri ne parlava anche il Corriere, facendo riferimento agli stessi dati, ma dando a nomofobia un significato diverso: Ecco la nomofobia, così si chiama la paura di perdere il cellulare. Anche altri, ad es. il TG1, affermano La paura di perdere il proprio telefonino si chiama “nomofobia”.

Temo sia un ulteriore esempio della scarsa affidabilità dei contenuti tradotti dalla redazioni online dei media italiani.

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Dove si dice “cell free”?

cell freeA Udine è stata lanciata una campagna per scoraggiare l’uso dei telefonini in bar e ristoranti.

I media hanno ripreso la notizia usando la locuzione cell free, ad es. riportando che il sindaco si sarebbe impegnato a promuovere “riunioni di giunta cell-free”.   

Mi domando se cell in cell free sia da intendersi come:

1 abbreviazione italiana di cellulare, che assieme a free formerebbe una discutibile combinazione di itanglese;
2 abbreviazione americana di cell phone, nella convinzione che l’espressione più comune in inglese, in questo tipo di contesto, sia davvero cell free. 

Nella seconda ipotesi, forse chi ha proposto l’americanismo non è aggiornatissimo.

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populism ≠ populismo

In un articolo commemorativo su Whitney Houston la rivista americana TIME scrive:

« Houston, who died Feb. 11 [2012] at 48, was a populist above all. The music she chose to sing was a careful but thrilling blend of gospel, soul and pop that made her a staple of dance clubs and light-rock stations and helped her become America’s fourth-best-selling female artist of all time. […] And she used her voice to reach the broadest audience she could […]»

L’ho letto in treno e mi è venuto subito in mente un commento a Trenitalia o Trenispagna?, in cui linus fa notare un potenziale falso amico:

« i termini “populism” e “populismo” hanno significati diversi: in inglese il termine è positivo e significa “fare gli interessi delle persone comuni”, mentre in italiano è negativo e significa “convincere con propaganda demagogica il popolo” […] Una traduzione sbagliata rischia di diventare un concetto, sbagliato!»

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2 anni: 25 parole in inglese e in italiano

Parole e valutazione dell’apprendimento del linguaggio

È di questi giorni la notizia di una ricerca relativa a un test molto semplice, ricavato da un elenco di parole di controllo (cfr. MacArthur-Bates Communicative Development Inventory, CDI), che permette di identificare potenziali problemi di apprendimento del linguaggio nei bambini di età compresa tra i 24 e i 35 mesi e prevedere quindi interventi di logopedia.

Ne parla anche il Corriere della Sera, con una notevole approssimazione. In Quelle 25 parole da sapere a 2 anni si legge, tra le altre cose:

In genere, le parole pronunciate a due anni sono fra 70 e 225, ma venticinque di queste (mamma, papà, ciao, giocattoli, cane, gatto, bambino, latte, succo di frutta, palla, sì, no, naso, occhio, banana, biscotto, macchina, caldo, grazie, bagno, scarpa, cappello, libro, andati, di più) devono comparire per forza nel vocabolario del piccolo, perché sono quelle considerate base e la loro mancata conoscenza potrebbe essere indice di qualche problema di apprendimento assai più grave di un semplice «ritardo linguistico».

Parole inglesi e parole italiane

La giornalista si è limitata a tradurre letteralmente in italiano l’elenco delle parole che dovrebbe conoscere un bambino inglese di due anni (mummy, daddy, hello, dog, cat, baby, milk, juice, ball, yes, no, nose, eye, banana, biscuit, car, hot, thank you, bath, shoe, hat, book, all gone, more, bye bye), senza verificare se l’elenco avesse senso anche per un coetaneo italiano.

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Il CAI è radical chic?

Il Club Alpino Italiano ha iniziato il 2012 convertendo le due pubblicazioni riservate ai soci in una nuova rivista cartacea, montagne360°, e in una rivista online, Lo scarpone.

imageNell’ultimo numero di montagne360° c’è un articolo che inizia così:

Ciaspole, ciaspe, craspe, ciastre, e via di seguito, a seconda delle valli e delle regioni. I radical chic delle metropoli del nord (quelli che dicono di amare il climbing, il trekking, la fitness e lo shopping) preferiscono chiamarle snow shoes. Ma sempre di racchette da neve si tratta.

Il riferimento all’itanglese mi ha fatta sorridere non solo perché vivo a Milano ma anche perché proprio nel sito di Lo scarpone campeggia la scritta l’house organ del Club Alpino Italiano.

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Se l’ha detto l’agenzia…

Silvia Pareschi di Nine hours of separation mi ha segnalato La stampa italiana non può farcela da sola in Phastidio.net, che evidenzia come i media italiani abbiano riportato un intervento in inglese di Carlo Cottarelli del Fondo Monetario Internazionale attribuendogli l’affermazione drastica l’Italia non può farcela da sola [ad uscire dalla crisi economica] quando in realtà si era limitato a dire [sulla necessità di finanziamenti e “firewall” più solidi] and this goes beyond what Italy can do on its own (“va oltre quello che l’Italia può fare da sola”), come si può verificare dalla trascrizione dell’intervento.

L’articolo si conclude chiedendosi “Riusciremo ad avere una stampa che si libera della sindrome dello scoop e verifica le notizie, magari con un buon traduttore o con qualcuno che capisca qualcosa di economia?”

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