Un tweet che ha avuto molta visibilità:
Self Bar, il nome sui distributori automatici di bevande delle principali stazioni italiane, è un tipico esempio del fenomeno che descrivo come inglese farlocco: sono combinazioni di parole inglesi (o che ne hanno l’apparenza) pensate da italiani per italiani e facilmente comprensibili da chi ha conoscenze solo scolastiche della lingua, ma che agli anglofoni risultano agrammaticali o poco idiomatiche, se non incomprensibili.
Da dove arriva Self Bar?
Per capire come nasce il nome Self Bar si deve risalire a locuzioni inglesi come self-service restaurant e self-service petrol station (o filling station / pump ecc.) che in italiano sono state abbreviate in self-service, creando un sostantivo inesistente in inglese.
In seguito self-service è stato ulteriormente abbreviato in self, usato in particolare per distributori di benzina fai-da-te nella cosiddetta self area.
Dopo queste trasformazioni self si presta a essere riutilizzato in combinazione con altre parole per nuovi esempi di inglese farlocco, come i marchi Self Bar, Self Shop e i servizi iperself e megaself.
Self, doppio pseudoanglicismo!
I sostantivi italiani self-service e self sono esempi di pseudoanglicismi nati da meccanismi impropri di accorciamento che si riscontrano quando da parole composte o da sintagmi inglesi viene
► eliminato il determinato (l’elemento linguistico che viene determinato e caratterizzato da un altro elemento, come i sostantivi restaurant e pump in self-service restaurant e in self-service pump; il determinato è la parte più generale e più importante del composto, che nei composti inglesi è la parola più a destra) e
► preservato il determinante (l’elemento linguistico che ne determina e caratterizza un altro, come i modificatori self-service e full-service in self-service restaurant e in full-service restaurant).
Self derivato da self-service opera un ulteriore accorciamento che rende ancora più opaco il determinato. In inglese inoltre l’elemento self- (con trattino!) esprime qualcosa fatto da sé o automaticamente solo in combinazione con parole che indicano l’azione fatta autonomamente o automatizzata, ad es. self-service shop, self-help group, self-loading pistol, self-locking door.
Se la parola self è usata individualmente, in inglese può apparire come un sostantivo e prevalgono così altri significati, relativi ad esempio alla coscienza di sé. Ecco così che marchi come Self Bar e iperself risultano incomprensibili per gli anglofoni.
Bar automatico?
In italiano la parola bar, in uso dalla fine del XIX secolo, ha un proprio significato di esercizio pubblico dove si consumano bevande di ogni genere o cibi leggeri, mentre in inglese un bar è un locale dove si servono soprattutto bevande alcooliche, come già descritto in Bar, barman e barista e in Il bar della stazione, in inglese.
Si può quindi capire che un anglofono sia perplesso (baffled) anche dalla scelta di descrivere come bar un distributore automatico (vending machine) di acqua e bibite. Il contesto però perlomeno consente di escludere altre accezioni della parola bar come barra, sbarra o impedimento.
Vedi anche: Prenoting: inglese farlocco (rappresentativo!) e vari altri esempi di pseudoanglicismi associati al tag inglese farlocco
Aldopaolo Palareti:
Non è lo stesso meccanismo che in inglese ha portato a “latte” per “caffelatte”?
Tra l’altro, hanno conservato la seconda parte, forse interpretandola come il determinato?
Licia:
@Aldopaolo: proprio così.
Nei composti che esprimono una relazione di determinazione, l’ordine degli elementi è diverso in inglese e in italiano (e altre lingue romanze).
In inglese sono del tipo determinante+determinato, con l’elemento più generale e rilevante a destra (ad es. global warming, keyword).
Al contrario, in italiano prevale il tipo determinato+determinante (ad es. riscaldamento globale, parola chiave…).
Il caso di caffelatte è un po’ diverso perché si tratta invece di una relazione meno comune di coordinazione: i due elementi che compongono la parola contribuiscono allo stesso modo al significato del composto. Ma questo gli anglofoni non possono saperlo! 😉
Maurizio:
Anche “target” nel senso di gruppo di riferimento o clienti fa parte del meccanismo improprio di accorciamento? Cioè, se in un discorso in lingua inglese utilizzo “target” per indicare gli utenti principali di un sito web, un inglese mi capisce oppure dovrei usare “target group” o “target audience”?
Licia:
@Maurizio, dipende dal contesto! Se è chiaro che si intende l’insieme dei destinatari di un prodotto o di un servizio e non si confonde un obiettivo particolare, anche in inglese viene usato il sostantivo target.
In caso di dubbio e per evitare potenziali fraintendimenti o ambiguità, credo che per i parlanti nativi sia preferibile ricorrere a locuzioni in cui target è usato in forma aggettivale, quindi target group, target audience, target customer(s), target market, target segment ecc.
Una risorsa per l’inglese pensata proprio per parlanti non nativi dove verificare usi e collocazioni e trovare molti esempi è Oxford Advanced Learner’s Dictionary.