L’anglicismo body shaming descrive la pratica di criticare pubblicamente qualcuno per l’aspetto fisico, in particolare se è grasso: fat shaming. È un comportamento riprovevole molto diffuso ma il nome inglese spesso è frainteso, non coinvolge emotivamente e impedisce di capire la gravità del fenomeno.
C’è un’alternativa italiana? Sì, spiega su Sette Costanza Rizzacasa D’Orsogna, con cui ho scambiato qualche idea:
Qui aggiungo alcuni dettagli lessicali sull’origine, l’uso e l’evoluzione del concetto di shaming nell’inglese americano. In breve: non significa né “svergognare” né “far vergognare”.
Da slut-shaming ad altri –shaming
Le espressioni come body shaming e fat shaming, che qui indicherò come x-shaming, sono modellate su slut-shaming, neoformazione apparsa nel 2005 e descritta dal lessicografo Ben Zimmer con questa definizione:
(slut è una parola dispregiativa per donna con molti partner sessuali)
La definizione evidenzia le caratteristiche distintive di slut-shaming che si ritrovano anche negli altri x–shaming:
➝ derisione pubblica per comportamento x o caratteristica x
➝ riprovazione per x, non per persona specifica
➝ non conformità di x con propri valori o visione del mondo
➝ convinzione che x sia modificabile, ad es. facendo leva su sensi di colpa o assunzione di responsabilità
Le espressioni di tipo x-shaming sono quindi focalizzate sul comportamento discriminatorio di chi richiama l’attenzione su x, e non su chi ne subisce le conseguenze.
Non vergogna ma stigma
Sbaglia quindi chi, affidandosi alle corrispondenze dei dizionari bilingui, traduce letteralmente shaming con svergognare o far provare vergogna, spostando l’accento dall’azione alla vittima e dimostrando così di non avere afferrato il concetto espresso in inglese.
Nei dizionari monolingui si vede invece che nelle definizioni dei vari x-shaming viene spesso usato il verbo stigmatize. In un contesto italiano si potrebbe quindi ricorrere al verbo stigmatizzare e al sostantivo stigma.
Stigma ha anche un’accezione specifica che si avvicina al concetto di shaming: “in psicologia sociale, attribuzione di qualità negative a una persona o a un gruppo di persone, soprattutto rivolta alla loro condizione sociale e reputazione: un individuo, un gruppo colpito da stigma psico-fisici, razziali, etnici, religiosi” [Vocabolario Treccani].
Sono inoltre in uso da tempo locuzioni quali stigma basato sul peso, stigma del peso, stigma dell’obesità ecc. che hanno un riscontro in inglese, nei registri più formali dei testi specialistici, in termini come weight stigma, obesity stigma e simili.
Proliferazione di x-shaming
Va però segnalato che in inglese l’elemento formativo shaming ha perso intensità perché è molto inflazionato e viene usato ormai per ogni genere di critica sui social che mette alla gogna comportamenti o caratteristiche x.
Alcuni esempi: mom shaming per criticare mamme ritenute inadeguate al ruolo; pet shaming, cat shaming, dog shaming per dileggiare un animale pubblicandone una foto con cartello che ne descrive le malefatte; drought shaming per chi fa uso eccessivo di acqua durante un periodo di siccità; vote-shaming per rimproverare pubblicamente chi non vota o lo fa in maniera non responsabile; grammar shaming per esporre a pubblico ludibrio personaggi famosi che si esprimono malamente; bitshaming per ridicolizzare chi si è dato molto da fare con i bitcoin ma non è riuscito a diventare ricco; tra informatici code shaming per mettere alla berlina chi ha scritto pessimo codice.
Ne ha discusso già nel 2013 un articolo molto citato di Slate, Shame on Everyone..
Flygskam, flight shame e “vergogna di volare”
L’estate scorsa ha avuto una certa visibilità la parola svedese flygskam, in inglese flight shame (≠ shaming!), che è stata resa in italiano con vergogna di volare o di prendere l’aereo. Non si tratta di vergogna neppure in questo caso ma equivale piuttosto a sensi di colpa per l’impatto ambientale e l’impronta di CO2 causati da questo mezzo di trasporto.
Questo esempio permette di evidenziare anche una differenza linguistico-culturale tra società con impronta cattolica, come la nostra, e società con impronta protestante, come nel nord Europa. La nostra maggiore “propensione” per il senso di colpa si riflette in senso figurato nel lessico: in italiano esclamiamo è un peccato e che peccato, in inglese invece si dice it’s a shame o what a shame.
Nuovo post (giugno 2020): Neologismi: mask shaming, no mask, mascherati… con i due significati del neologismo americano mask shaming.
Segnalo anche We Added New Words to the Dictionary for April 2020, sull’aggiunta di 535 nuovi lemmi al dizionario americano Merriam-Webster. Gli aggiornamenti includono la lemmatizzazione di body-shaming e fat-shaming che sono presentati come established terms for aggressive, judgmental, and cruel behavior. Le definizioni per entrambe le voci sono del tipo the act or practice of subjecting someone to criticism or mockery for…, un’ulteriore conferma che le espressioni di tipo x–shaming identificano un comportamento discriminatorio e non riguardano una presunta “vergogna” di chi subisce l’azione.
Licia:
aggiungo un altro esempio x-shaming in tema con l’emergenza da coronavirus: corona-shaming, mettere alla gogna i personaggi famosi che non rispettano il distanziamento sociale:
Surrexit vere:
In questo caso, per scongiurare il rischio di una traduzione raffazzonata, come grasso fobia, analoga nella sua inconsistenza a omofobia, appoggio l’uso di grecismi tecnici ma assolutamente chiari semanticamente (la chiarezza non deve essere necessariamente connaturata alla parola, il cui etimo spesso può ingannare anche i più preparati, perché si diffonda: la storia è piena di esempi di neologismi incomprensibili ai tempi ma ora comunemente usati), come steatofobia. E se proprio si vuole usare un prefisso che sia parola di uso comune, al più obesofobia…
Surrexit vere:
Inutile inoltre combattere contro il suffisso -fobia, che è ormai troppo diffuso perché si possa pensare ad una sostituzione più parlante come -stigma (nell’accezione di marchio negativo, condanna, biasimo sociale)