iPad è ora disponibile anche in Italia e così ho dato un’occhiata al manuale italiano per vedere se fosse stato risolto il problema terminologico di cui avevo parlato qualche mese fa (iPhone e iPod), però non ho notato novità né per pinch né per un altro termine correlato, flick.
Nel lessico comune inglese flick può indicare il movimento veloce, spesso ripetuto, che si fa con un pollice o soprattutto con l’indice per spostare o eliminare qualcosa di piccole dimensioni, ad es. delle briciole, una macchiolina o un insettino da una manica.
Nei dispositivi con touch screen, specialmente in ambito Apple, flick indica il gesto rapido che si fa con un dito per far scorrere una pagina, per passare alla foto successiva di una raccolta, ecc. Nella documentazione italiana di iPhone e iPad, flick viene reso in vari modi, ad es. “dare un colpetto” (qui), “fare scorrere le dita”, “scorrere”, “scorrere le dita”, a volte anche nello stesso contesto in cui appare scroll, altro termine a cui viene associato il verbo italiano scorrere, e in alcuni casi si crea confusione (esempi qui, dai manuali in inglese e in italiano).
Ho pensato di parlarne perché pinch e flick mettono in evidenza un potenziale problema terminologico che, se non viene riconosciuto “a monte” nella lingua di partenza, può causare errori di localizzazione e incongruenze nelle lingue di arrivo.
Come pinch, anche flick è un esempio tipico di terminologizzazione, un meccanismo di formazione di neologismi semantici molto comune in ambito informatico: una parola del lessico generico acquista un nuovo significato e diventa un termine che rappresenta un concetto particolare in un ambito specifico (ne ho già parlato altre volte, ad es. qui, qui e qui).
Per chi si occupa di gestione della terminologia, è un processo linguistico molto interessante ma che può complicare il lavoro terminologico rivolto alla localizzazione:
- Raramente i neologismi semantici vengono identificati dai sistemi di estrazione automatica della terminologia (term mining), proprio perché hanno la stessa forma linguistica di parole generiche.
- Spesso sfuggono anche all’estrazione manuale, ad es. da parte del team di sviluppo del prodotto, specialmente se chi se ne occupa lavora solo nella lingua di partenza e non ha particolari competenze terminologiche: difficile che i neologismi semantici vengano riconosciuti come termini.
- Possono avere un impatto imprevisto sul contenuto e sui sistemi concettuali descritti nel database terminologico. Esempio: se viene documentato il termine ribbon (elemento di interfaccia), va creata una scheda terminologica anche per la parola ribbon (un elemento grafico generico) per evitare problemi nelle lingue di arrivo se appaiono nello stesso prodotto e le “traduzioni” per termine e parola sono diverse? Se sì, ci si può limitare a documentare solo il nome dell’elemento in questione, o, per coerenza, vanno aggiunti anche quelli degli altri elementi correlati, anche se abbastanza irrilevanti perché non rappresentano alcun concetto specifico, quindi di regola non ammessi nel database? Quando si progetta un sistema di gestione della terminologia, è importante porsi anche queste domande.
- Se non identificati, questi termini possono creare incongruenze nella lingua d’arrivo, come nel caso di pinch e flick, e impedire che un concetto importante venga facilmente condiviso (ad es. se si vuole parlarne senza ambiguità), con potenziali conseguenze sull’esperienza dell’utente.
È sicuramente superfluo dirlo ancora una volta, ma in tutti questi casi la collaborazione di chi localizza è davvero essenziale!
Vedi anche: Internet e determinologizzazione, per il processo opposto.
Luigi Muzii:
I sistemi di estrazione statistica sono in grado di individuare anche i “neologismi semantici”, mentre gli algoritmi a base linguistica sono, di solito, temperati da una componente statistica. L’affermazione mi sembra, quindi, un po’ apodittica.
Se i linguaggi controllati godessero di maggior fortuna, poi, certe ambiguità si potrebbero ridurre e controllare già in fase autorale, con grande sollievo anche per i traduttori. Semmai ci sarebbe da discutere del ruolo dei linguisti (e dei terminologi) in fase autorale.
La collaborazione dei localizzatori è quindi essenziale, ma intervenendo sempre ex post spesso non è sufficiente: la correzione di un problema presenta impatti, economicamente quantificabili, che si preferisce evitare qualora non sia assolutamente necessario apportarla. Si può fare il caso di “incorretto/a” nei messaggi di errore di Office che, per quanto inconsueto, ancorché non errato è percepito come tale dall’utente medio.
Licia:
@ Luigi Muzii: in effetti in teoria i sistemi di estrazione statistica sono in grado di individuare i neologismi semantici, in pratica però i risultati non sono molto soddisfacenti, come credo potrà confermare chiunque li abbia provati “sul campo”, tanto che non si può ancora rinunciare all’estrazione manuale, spesso molto più produttiva, specialmente in presenza di nuovi concetti (ribbon è un esempio tipico).
Sono totalmente d’accordo che il ruolo del terminologo è fondamentale e che si dovrebbe intervenire in fase autorale, in realtà sappiamo bene che non sempre è un’opzione possibile, ad es. la figura del terminologo è prevista in poche aziende oppure, se c’è, potrebbe essere materialmente impossibile gestire decine di progetti attivi contemporaneamente, quindi ci si deve per forza affidare a persone che potrebbero non avere una preparazione linguistica sufficiente. Si interviene con percorsi di formazione per chi deve dare contributi terminologici ma, anche in questo caso, un conto è la teoria e un conto è la pratica…
Di nuovo sono d’accordo che in un mondo ideale le segnalazioni dei problemi di localizzazione non dovrebbero più essere necessarie ma, nella realtà, continuano ad essere essenziali, anche solo per dare esempi tangibili dell’importanza di una corretta gestione della terminologia.
PS Avevo già accennato a incorretto qui.