È tornata nelle cronache la locuzione furbetti del cartellino, stavolta riferita ai dipendenti del comune di Sanremo che timbravano e poi si allontanavano dal luogo di lavoro o timbravano per colleghi assenti.
Viene subito in mente furbetti del quartierino, espressione usata dall’immobiliarista romano Stefano Ricucci, resa nota da un’intercettazione nel 2005 e subito entrata nel lessico italiano. Per il Vocabolario Treccani ha contribuito a fare acquisire a furbetto l’accezione specifica di “chi aggira le regole in modo fraudolento”.
Sul modello furbetti del …ino, ho trovato molto efficace anche furbetti del Maggiolino per i protagonisti dello scandalo Volkswagen.
Mi sembrano invece meno incisivi altri esempi come furbetti del casellino (chi non paga il pedaggio in autostrada), furbetti del tagliandino (finti tagliandi per parcheggi per disabili o dell’assicurazione) e furbetti del sacchettino (chi scarica l’immondizia nei cestini pubblici anziché fare la raccolta differenziata), probabilmente perché in questi casi i determinanti sono avvertiti come diminutivi usati per la locuzione ma per il resto non molto frequenti.
Sono infatti diversi da Maggiolino, nome proprio, e da cartellino, che non è un diminutivo ma un alterato lessicalizzato (una parola con un suffisso dell’alterazione che ha acquisito un significato autonomo: il cartellino degli impiegati non è un cartello piccolo).
I meccanismi di alterazione italiani sono molto espressivi e più flessibili che in altre lingue: da furbo possiamo ottenere non solo furbetto ma anche furbone, furbino, furbastro, furbaccio, furbacchione, furbacchiotto… Per noi parlanti nativi le differenze d’uso sono palesi, ma provate a spiegare le diverse connotazioni a uno straniero o a tradurgli questa vignetta di qualche anno fa: non è facile!
Una curiosità etimologica: l’origine di furbo è incerta, ma alcuni vocabolari la fanno risalire al francese fourbe (sec. XVI) voce gergale per “ladro”, da fourbir “ripulire (le tasche)”.
Aggiornamento 2020 – Durante l’emergenza COVID-19 sono emerse la locuzioni furbetto della mascherina, descritta in Neologismi: mask shaming, no mask, mascherati…, furbetto del Covid, chi ha usufruito di agevolazioni economiche che non gli spettavano, e in particolare furbetto di Montecitorio, con cui sono stati soprannominati i deputati che nonostante lo stipendio da parlamentari hanno richiesto il “bonus Covid” destinato ai possessori di partita IVA in difficoltà economica.
Sono una conferma della produttività della locuzione furbetto di x, che è ormai così diffusa e riconoscibile che non richiede più che x sia un sostantivo maschile con suffisso –ino. Si possono trovare decine di altri esempi di furbetti nella raccolta Neologismi del Portale Treccani.
Aggiornamento 2021 – A inizio campagna vaccinale è apparso anche il furbetto del vaccino, chi riesce a farsi vaccinare anche se non appartiene a una categoria prioritaria, senza aspettare che arrivi il proprio turno. Di altro tipo il furbetto del reddito di cittadinanza, chi lo percepisce senza averne diritto.
Vignette: Contemori e Greggio da Museo della satira
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Massimo S.:
A me pare che i fatti di Sanremo siano linguisticamente interessanti anche per un altra questione…
Come indicare, in italiano, per favore, l’operazione di registrazione degli impiegati all’entrata e all’uscita del luogo di lavoro, cercando di dar conto della ‘novità’ tecnologica per cui da tempo non si ‘timbra’ o punzona più il cartellino imprimendovi l’orario di entrata e uscita tramite un apposito macchinario, ma si compiono azioni diverse, a seconda del sistema in uso sul luogo di lavoro?
Chiarisco subito che in ogni caso personalmente preferisco l’espressione ‘timbrare il cartellino’, ormai usata in senso lato per ‘registrare l’arrivo/presenza del lavoratore sul luogo di lavoro’, ad altre che si sono sentite o lette in tv e sui giornali, quali “beggiare” (ma in questo caso, mi pare, parecchi impiegati più che “beggiare”, “bigiavano” il lavoro con l’aiuto dei colleghi compiacenti), “strisciare” e così via.
Mi pare anche di aver colto nei mezzi d’informazione un certo grado d’imbarazzo o difficoltà nel trovare un nome appropriato che ben descrivesse la modalità di registrazione degli impiegati comunali in uso a Sanremo, quasi che avvertissero che le parole di volta in volta usate non indicassero compiutamente tale modalità.
Mauro:
Devo essere sincero… all’inizio ho letto furbetti del cardellino e non del cartellino… e non capivo di cosa parlavi 🙁
Fabiola:
Trovo molto interessante il commento di Massimo, che ci fa riflettere su questo aspetto: in che modo si evolvono le lingue dei parlanti più propensi ad accogliere termini stranieri, oggi l’inglese soprattutto. Lingue che di norma traducono, o creano neologismi a volte basate sul “calco” – tipicamente il francese, o lo spagnolo – evolvono di più di lingue più propense ad utilizzare il termine straniero, magari storpiandone il significato, come spesso accade in Italia? In entrambi i casi, la comunicazione globale diffusa non sembra far evolvere le lingue verso un “sovranazionale” di chiara connotazione “inglese non madrelingua”?
Termini come “beggiare”, possono considerarsi neologismi ancorché poco piacevoli?
Poggy:
Licia, scusa l’ot, ma c’è una cosa che mi è saltata all’occhio o meglio all’orecchio vedendo The Martian e Gravity a stretto giro di boa: in entrambi i casi “abort” è stato tradotto con “abortire (la missione)”. A me personalmente è una scelta che suona come unghie sulla lavagna e preferirei di gran lunga il classico “abbandonare la missione”, ma mi domandavo se si trattasse di un goffo calco oppure di una scelta di adattamento valida.
Licia:
@Massimo: «mi pare, parecchi impiegati più che “beggiare”, “bigiavano”» 😀
@Fabiola, sicuramente “beggiare” è un neologismo, come tutte le invenzioni lessicali recenti o i nuovi prestiti riconosciuti e adottati da un numero sufficiente di parlanti (altrimenti sono occasionalismi). Tra l'altro tanto nuovo non è: sono sicura di averlo sentito già nel secolo scorso, d'altronde badge è entrato in italiano all’inizio degli anni ’80 (Devoto-Oli). Beggiare è anche molto diffuso: ogni volta che viene portato ad esempio come “parola degenere”, tutti lo riconoscono e proprio per questo mi stupisce che non sia stato ancora registrato dai principali vocabolari di italiano (che, ricordiamolo, sono descrittivi e non prescrittivi). Non si può neanche negare l’utilità del verbo beggiare: identifica con un’unica parola l’azione di passare il badge.
Beggiare è un derivato verbale denominale, una delle modalità di formazione di verbi più comune in italiano. Consente di usare basi diverse, ad es. il nome dell’oggetto prodotto dall’azione che si vuole descrivere, come film → filmare, clone → clonare, ma anche lo strumento usato per compiere l’azione: telefono → telefonare, computer → computerizzare, scanner → scannerizzare ecc. L’unico vero “problema” del verbo derivato da badge è ortografico: non si sa bene come scriverlo!
Qualche spunto da vecchi post: alcune note sull’estetica delle parole in Neologismi belli e brutti, c’è posto per tutti! e Idiosincrasie per le parole; riferimenti e punti di vista sull’influenza dell’inglese sull’italiano in L’invasione degli anglicismi. Un libro recente e molto divertente sulla storia e l’evoluzione dell’italiano è Comunque anche Leopardi diceva le parolacce di Giuseppe Antonelli.
@Poggy, di fantascienza ed esplorazione spaziale non so praticamente nulla, però posso dire che in inglese il comando abort è usato in informatica fin dai suoi albori, con il significato di terminare un programma o una procedura in modo improvviso. In italiano si preferisce terminare o interrompere, ma è molto diffuso anche il calco abortire, quindi non mi stupirei se fosse il termine privilegiato in ambito spaziale.
Elio:
Io lo conoscevo come “strisciare” (il cartellino/badge).
Proviene da quando è avvenuta la transizione da cartellino cartaceo a tessera con banda magnetica.
Mi risulta (anche se fuori da questo giro da svariati anni) che ancora adesso si usi lo stesso verbo per i tag RFID