Il grafico di Google Trends mostra un improvviso interesse per l’espressione gig economy nel luglio scorso [2015], suscitato da una dichiarazione di Hillary Clinton durante la presentazione del suo programma economico:
«Many Americans are making extra money renting out a small room, designing websites, selling products they design themselves at home, or even driving their own car. This on-demand, or so-called gig economy is creating exciting economies and unleashing innovation. But it is also raising hard questions about work-place protections and what a good job will look like in the future.» |
Gig economy, un nuovo modello economico
Con gig economy si intende un modello economico sempre più diffuso dove non esistono più le prestazioni lavorative continuative (il posto fisso, con contratto a tempo indeterminato) ma si lavora on demand, cioè solo quando c’è richiesta per i propri servizi, prodotti o competenze.
Domanda e offerta vengono gestite online attraverso piattaforme e app dedicate: per il mercato americano, Clinton fa gli esempi dell’affitto temporaneo di camere (ad es. Airbnb), di attività da freelance come la progettazione di siti web (ad es. Upwork o Fivver), di vendita di prodotti artigianali (ad es. Etsy) e di trasporti privati alternativi ai taxi (ad es. Uber). Aggiungo le consegne a domicilio (ad es. di pasti pronti, come Deliveroo e Foodora).
Nella gig economy i lavoratori sono tutti in proprio (in inglese self-employed) e svolgono attività temporanee / interinali / part time / saltuarie / provvisorie.
Immagine: Collins Dictionary (aggiunta il 2 novembre 2017)
Origine del nome
Il neologismo gig economy è da poco al centro dell’attenzione – è significativo che per ora non ci sia ancora una voce di Wikipedia! – ma è stato coniato già qualche anno fa: è di gennaio 2009 The Gig Economy, uno dei primi articoli che ne hanno parlato, dove appare anche il nome alternativo gigonomics.
Gig* /ɡɪɡ/ è una parola dell’inglese americano informale che descrive un lavoretto o un incarico (nel senso di compito occasionale o temporaneo). Ad esempio, nella piattaforma Fivver, ogni servizio o micro-job è chiamato gig. Da gig worker deriva il sinonimo colloquiale gigger.
In italiano per ora chi ne parla riporta il nome inglese con una spiegazione. Credo che si potrebbe trovare facilmente un’alternativa italiana senza ricorrere a un anglicismo poco trasparente, ad esempio sfruttando la parola informale lavoretto (economia dei lavoretti), oppure descrivendolo come un tipo di precariato (ad es. locuzioni con l’aggettivo precario. A questo proposito, in inglese si sta diffondendo il neologismo precariat, prestito dal francese che però condivide solo una delle due accezioni di precariato in italiano: “categoria dei lavoratori precari” ma non “temporaneità di un rapporto di lavoro e la conseguente condizione di incertezza socioeconomica” (definizioni Devoto-Oli).
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* È più nota un’altra accezione di gig, l’esibizione dal vivo di un intrattenitore, in particolare il concerto di un cantante o di una band ma anche lo spettacolo di un comico. Nonostante questo parecchi giornalisti italiani pronunciano gig erroneamente come se fosse Jeeg /’dʒiːg/ Robot anziché gig /ɡɪɡ/. Per non sbagliare: gig economy si legge come se fosse scritto “ghigh” nell’ortografia italiana.
Nuovi post:
Uberizzazione, con altri esempi di gergo aziendale americano
Algocrazia: le nuove modalità di lavoro gestite dagli algoritmi
Rider? Meglio in italiano! – un anglicismo sostituibile con (ciclo)fattorino
Side-gigger e altri lavoratori della gig economy, con terminologia inglese e italiana: solopreneur, permatemp, imprenditore individuale, lavoratore accessorio (pagamento con voucher), lavoratore intermittente ecc.
L’idea per questo post mi è venuta da alcuni articoli recenti sulla gig economy e le sue implicazioni (da un lato maggiore varietà, nessuna routine e flessibilità nella gestione del proprio tempo, dall’altro insicurezza e assenza delle tutele e dei diritti – e anche dei benefit – del lavoro dipendente a tempo indeterminato). Alcuni riferimenti:
♦ The ‘gig economy’ is coming. What will it mean for work?
♦ The Doublespeak of the Gig Economy
♦ No More Moralizing About the Gig Economy
♦ Independent Contractors and the Emerging Gig Economy
Aggiornamento: nel 2016 questo post ha avuto più di 15000 visualizzazioni e risulta al primo posto nei motori di ricerca per “definizione di gig economy”. Parecchi giornalisti e blogger hanno scritto di gig economy citando questo post ma non tutti hanno indicato la fonte: c’è chi ha copiato solo alcune frasi e chi invece buona parte del testo. La maggior parte degli “autori” che sono riuscita a contattare ha però ignorato le mie richieste di aggiungere la fonte e così ho pensato di raccogliere alcuni esempi di scopiazzature in Il post più copiato dal blog Terminologia etc (includono articoli del Corriere della Sera e di Avanti!).
Alesatoredivirgole:
Il primo pensiero è stato “Lac” (Lavoro a chiamata) e quindi Laconomy, ma quello che propongo come alternativa a “Gig” è Aut.
Aut era utilizzato (fonte Wikipedia) nella frase latina, attribuita a Giulio Cesare: “aut Caesar aut nihil” (o Cesare o niente).
Nel nostro caso diventerebbe “AUT lavoro AUT niente” e potremmo parlare di “AUT economy”, ovvero di AUTonomy intesa come AUTonomia ma anche come Lavoratori AUTonomi …
Massimo S.:
Il dizionario cartaceo Inglese-Italiano dell’Enciclopedia di Repubblica, riporta tra i vari significati di gig anche
a.”leggera punizione” (sl. mil. amer.), ovvero
b.”truffa”, “atto criminoso” (amer.).
E allora, mettendo l’accento sulle non poche ombre del fenomeno denominato ‘gig economy’,
http://adapt.nova100.ilsole24ore.com/2015/06/22/lavoro-e-lavoratori-nella-sharingon-demand-economy/
e cimentandomi temerariamente in un gioco di parole in una lingua che non conosco, valorizzando i significati di cui più sopra esposti al punto b), proporrei di spiegare così, in inglese americano, con una tautologia solo apparente, “cos’è la gig economy”:
the gig economy is a gig!
Licia:
@Alesatoredivirgole, idea interessante ma non credo potrebbe avere successo perché non è trasparente (bisogna spiegare cosa vuol dire) e non si presta alla derivazione di nuove parole: qualche dettaglio in un vecchio post, Occasionalismi o neologismi?, dove ho riportato il metodo del linguista Allan Metcalf per la valutazione dei neologismi.
@Massimo, grazie per il link: approfondimento molto utile.
Alesatoredivirgole:
Ciao Licia, nessuna velleità di successo 🙂 il mio era solo un gioco di idee.
Grazie per il link 😉
Massimo S.:
@Licia
Ma il ‘gioco di parole’ da me tentato è o no grammaticalmente corretto e plausibile, sempre dal punto di vista grammaticale, e riconoscibile da un parlante inglese?
(A una prima lettura del tuo post deduco di no…)
Marco:
Scusate l’OT, ma ti/vi segnalo questo interessante post del professore di Linguistica italiana Mirko Tavosanis sulla sulla diamesia:
http://linguaggiodelweb.blogspot.it/2015/09/pistolesi-diamesia.html
Licia:
Grazie Marco.
Licia:
@Massimo, ti rispondo con un esempio italiano. 🙂 Come interpreteresti l’economia dei lavoretti è un lavoretto? È una frase grammaticalmente corretta, ma capiresti che sto usando sia il senso “lavoro occasionale” che “operazione disonesta”?
Un suggerimento: non prendere per oro colato quello che trovi nei dizionari bilingui. Meglio consultare fonti monolingui, ad es. Oxford Dictionaries (http://www.oxforddictionaries.com/) o Dante, a lexical database for English (http://www.webdante.com/), per vedere che significati hanno le parole nell’inglese contemporaneo e il loro uso in contesto.
Massimo S.:
@Licia
Me la sono cercata… 🙂
E ti ringrazio per il suggerimento e gli indirizzi.
Arguisco dalla tua paziente risposta che né ‘gig’, né lo stesso ‘lavoretto’ nelle accezioni (residuali, secondarie, non immediatamente percepibili) di operazione disonesta o truffa abbiano forza espressiva attuale, evidente e sufficiente a legittimare, in inglese come in italiano, l’ipotizzato gioco di parole.
Neppure se, magari, racchiusi tra virgolette… nel caso di utilizzo della parola scritta, oppure segnalati nell’accezione particolare con un cambio di intonazione… nel caso di utilizzo della parola orale.
Affinché il ‘gioco’ riesca è indispensabile, in inglese come in italiano, che il termine abbia vari ed espressivi significati, tutti noti, attuali e immediatamente percepibili.
Se, ad esempio, il ministro dell’economia Tizio definisse “pacco dono” un insieme di misure economiche per la collettività da varare a fine anno, perché da lui ritenute migliorative del regime esistente, e quelle misure fossero invece ritenute più sfavorevoli dai suoi detrattori, tali detrattori potrebbero ben commentare con scarse possibilità di non essere capiti, che <>
(Pacco è usato sia nel chiaro e diffuso significato, di “insieme di cose legate e avvolte in un involucro di carta o cartone”, e figuratamente qui di “insieme”, “gruppo” di provvedimenti, ovvero, come ‘pacco dono’ nel significato figurato di insieme di provvedimenti di assistenza e sostegno a favore dei più svantaggiati; sia nell’altrettanto noto e abbastanza diffuso e attuale significato gergale di “imbroglio”, “truffa”, “inganno”,
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/02/commerce-pacco-natale-servito-mega-truffa-italia-digital-fioccano-denunce/1309890/
)
(E’ un esempio in italiano, ma almeno pacco deriva dall’inglese pack, -a sua volta derivato dall’olandese pak, balla di lana – cioè da un termine inglese-olandese, il che permette a questo commento di conservare un minimo collegamento o relazione con l’argomento di questa discussione – che è, poi, il significato di certe parole o espressioni, inglesi o di altra lingua, e come conservarlo, renderlo efficacemente nella traduzione del termine in italiano o in altra lingua – e di non andare del tutto fuori tema)
Detto ciò, e (last but not least) ringraziato anche Marco per la sua segnalazione, mi taccio anche in questa discussione… 🙂
Massimo S.:
La frase del nuovo gioco di parole proposte nel commento e omessa nella pubblicazione del commento stesso per uso improprio delle virgolette è
“Il pacco dono del ministro Tizio è in realtà un ‘pacco’ tirato alla collettività… “
Pierluigi:
I cosidetti lavoretti sono sempre esistiti e sono sempre stati tollerati/identificati con il lavoro nero. Oggi con la progressiva crisi del lavoro tradizionale, la scolarità crescente e la scarsità di servizi causati anche dalla spending review potrebbero acquistare dignità ed essere una vero e proprio ammortizzatore sociale nelle pause tra il lavoro vero e proprio e l’ozio recuperando risorse altrimenti bruciate e necessità di servizi a pari dignità ma, proprio per questo devono essere sicuri, legalizzati,senza intermediari e burocrazia. Con il jobs act, i voucher inps sono stati portati a 7000 euro all’anno netti e aperti a tutti e per tutte le attività produttive (salvo casi particolari). Proprio per questo si prestano ad abusi ed illeciti e sono parzialmente contestati. Forse basterebbe uno sgravio fiscale per risolvere questo problema. Con l’introduzione della piattaforma peer to peer utum.it è possibile offrire o cercare servizi occasionali di qualsiasi natura (purchè leciti) e potrebbe essere una via nuova e facile per combattere le progressive disuguaglianze sociali. La gig-economy italiana potrebbe
essere utum.it (utility end user management)