manager americano ≠ manager italiano

[2015] Barack Obama ha annunciato una riforma delle norme sul pagamento degli straordinari, finora garantiti solo ad alcune categorie di lavoratori: dettagli in Obama Plans to Expand Overtime Eligibility for Millions. Nella notizia riportata del corrispondente dagli Stati Uniti di un quotidiano italiano si legge:

Sino ad oggi era possibile eludere il pagamento di straordinari, inquadrando come «manager» qualunque dipendente con salario sopra i 455 dollari a settimana, o 23.660 dollari l’anno. La qualifica conferiva competenze di supervisione, spesso assai limitate, ma soprattutto l’ineleggibilità al pagamento di lavoro extra.  – F. Semprini in La Stampa

Il riferimento a manager è tra virgolette e viene indicato che si tratta di attività di supervisione, ma mi pare comunque un esempio di maledizione della conoscenza: credo che il giornalista avrebbe dovuto chiarire esplicitamente che il significato che attribuiamo alla parola manager in italiano non corrisponde a quello di manager in inglese. Inoltre, il verbo inquadrare (“organizzare i dipendenti in ruoli e organici”) fa pensare a un preciso uso amministrativo della parola manager ed è quindi probabile che i lettori abbiano qualche perplessità.

Manager in inglese e in italiano

In inglese manager ha diverse accezioni ma in un contesto lavorativo indica chiunque gestisca (manage) o supervisioni persone o risorse, quindi anche capi operai, capi reparto, capi ufficio e, in generale, chi è responsabile di un esercizio o di un progetto per conto di terzi (esempi: store manager, restaurant manager, project manager e fast food assistant manager).

They’re called managers, and they sometimes work grueling schedules at fast food chains and retail stores. But with no overtime eligibility, their pay may be lower per hour than many workers they supervise.

In italiano invece manager identifica un “amministratore o dirigente di un’azienda o di un’impresa, con poteri decisionali nella condotta delle stesse”, ennesimo esempio che i forestierismi spesso hanno accezioni particolari assenti nella lingua di origine: se non è chiarito dal contesto, in inglese si indica un dirigente specificando senior manager, top manager ecc. o si preferiscono alternative come director, executive, head, administator.

Il significato più ampio e generico di manager in inglese si ritrova anche nell’uso in informatica, dove manager è un programma o sistema che controlla processi o dispositivi: program manager, file manager, task manager, server manager, printer manager ecc.

Nuovi post:
►  Non più AD ma CEO (con pronuncia fraintesa)
►  Covid Manager, nuova professione itanglese, sulla nuova tendenza del mercato del lavoro italiano di ricorrere a manager anche per ruoli né dirigenziali né prestigiosi (come vax manager).

1. Amministratore o dirigente di un’azienda o di un’impresa, con poteri decisionali nella condotta delle stesse. 2. Nel mondo dello sport e dello spettacolo, la persona che ha la cura e la rappresentanza degli interessi di un atleta, di un cantante, di un attore, di un concertista. – definizione di manager nel Vocabolario Devoto-Oli

(l’accezione 2 di manager coincide con l’uso inglese)

In alcuni sport, in inglese manager è una figura equivalente a direttore sportivo, allenatore o commissario tecnico, cfr. Eriksson “primo manager inglese d’Oltremanica” (nuovo post).


Falso amico: ineligibility

Nell’esempio che ho citato si nota anche un falso amico: ineleggibilità al pagamento di lavoro extra. In italiano infatti ineleggibilità è la  “condizione di chi non può essere validamente eletto a un ufficio o a una carica per cause oggettive o soggettive, determinate dalla legge”, mentre in inglese ineligibility indica la condizione di chi non ha diritto a particolari indennità, sussidi o retribuzioni. Altri dettagli in  Alitalia, politici ed eleggibilità.


Definizione di ineleggibilità dal Vocabolario Devoto-Oli

2 commenti su “manager americano ≠ manager italiano”

  1. Massimo S.:

    La ragione per cui per il dirigente, di norma, non è previsto lo straordinario, è che egli, pur dipendente del datore di lavoro, quale suo alter ego, per così dire, almeno ai livelli più alti, ha un ampio potere di iniziativa e una sfera di autonomia e di responsabilità e di funzioni (a cui di norma viene parametrato il compenso) che mal si accordano col rispetto di un rigido orario di lavoro e con una retribuzione che abbia a rigido riferimento le ore lavorate.

    Ciò non toglie che anche i dirigenti possano contrattare e regolare col datore di lavoro forme di straordinario, che poi le parti dovranno rispettare.
    In ogni caso nel diritto italiano del lavoro si ipotizza un limite assoluto di lavoro derivante dalla tutela della salute, diritto costituzionalmente garantito, per cui un dirigente potrebbe in ipotesi insorgere contro un datore di lavoro che lo assoggettasse in modo continuativo ad attività e compiti che per durata e complessità fossero potenzialmente dannosi per la sua salute.

    Inoltre nel diritto del lavoro italiano, al di là della qualifica o mansione dichiarata, si guarda alla prestazione effettivamente svolta, da cui si fa discendere la disciplina legale o contrattuale di lavoro da applicare in concreto.

    D’altra parte il lavoratore assunto per svolgere un determinato lavoro o mansione implicato dalla qualifica posseduta , non può essere adibito a mansioni inferiori perché ciò minerebbe la sua professionalità e la stessa possibilità di progredire nell’acquisizione di nuova professionalità, ma solo ad altre mansioni equivalenti per contenuto professionale a quelle implicate dalla sua qualifica.

    D’altra parte ancora, le recenti riforme del lavoro prevedono la possibilità di un demansionamento del lavoratore, possibilità legata a precisi parametri oggettivi, in un contesto di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale (col fine di salvaguardare livelli occupazionali che potrebbero essere posti in crisi da tali ristrutturazioni) e di mansioni divise in categorie legali di appartenenza, per cui l’adibizione alla mansione inferiore dovrebbe pur sempre riguardare mansioni appartenenti alla medesima categoria legale.

    C’è anche da dire che sono stati da tempo introdotti elementi di flessibilità rispetto ad un orario di lavoro rigido oltre il quale scatta per il dipendente il pagamento dello straordinario, dove è previsto, di norma pagato di più e con un limite di ore invalicabile, per venire incontro ad alcune esigenze datoriali di determinati comparti produttivi e far fronte a punte produttive che altrimenti non potrebbero essere sostenute con una organizzazione del lavoro troppo rigida, con conseguente perdita di commesse e lavoro per l’azienda.

    Inoltre, come è ben stato evidenziato da Licia e Mauro, in italiano, per le posizioni intermedie o non apicali, si adopera una nomenclatura che pone in evidenza la posizione di sovraordinazione gerarchica-di coordinamento (“capo“ del personale, “capo”progetto, “capo”sala) da cui discende un certo potere di gestione, di estensione variabile, di mezzi e risorse umane, del settore specifico di cui si è a capo o che si coordina per conto del datore di lavoro, piuttosto che far direttamente riferimento all’attività di gestione in sé che quella posizione di preminenza-coordinamento comporta.

    Infine sul problema della imprecisa resa in italiano di termini inglesi, pur ‘comuni’ ma adoperati nelll’accezione lavoristica americana, posta in luce da Licia, mi pare di poter condividere la conclusione espressa dal ricercatore Pietro Manzella a proposito del problema inverso di traduzione in inglese di termini e locuzioni del diritto del lavoro italiano:

    “(…) emerge palesemente la necessità di specializzarsi nelle discipline oggetto dell’attività di traduzione. Le conoscenze meramente linguistiche devono essere accompagnate da uno studio approfondito delle materie prese in esame al fine di evitare interpretazioni ambigue o fuorvianti. È altresì fondamentale selezionare accuratamente le fonti di riferimento. Spesso la soluzione è già presente in letteratura e non vi è necessità di “inventare” termini che potrebbero non essere compresi dal lettore internazionale. Infine più che la mera etichetta, è importante tradurre il concetto che accompagna una data espressione, magari anche a scapito di una equivalenza puramente linguistica”.

    http://www.bollettinoadapt.it/la-nota-del-traduttore-i-contratti-di-solidarieta-in-lingua-inglese/

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