Misteri ministeriali: l’origine di alcolock

Nelle notizie sul nuovo codice della strada è ricorrente la parola alcolock. Identifica un dispositivo la cui parte visibile è un etilometro collegato al veicolo che impedisce l’avvio del motore in caso di rilevamento di un tasso alcolemico superiore a zero.

Pensavo fosse uno dei soliti pseudoanglicismi usati a sproposito dai media, e invece è proprio il termine a cui ricorre il legislatore nel testo della Legge 25 novembre 2024, n. 177, Interventi in materia di sicurezza stradale e delega al Governo per la revisione del codice della strada, dove stabilisce che all’articolo 186 del codice della strada, Guida sotto l’influenza dell’alcool, venga aggiunto il seguente comma:

9-ter. Nei confronti del conducente condannato per i reati di cui al comma 2, lettere b) e c), è sempre disposto che sulla patente rilasciata in Italia siano apposti i codici unionali "LIMITAZIONE DELL’USO – Codice 68. Niente alcool" e "LIMITAZIONE DELL’USO – Codice 69. Limitata alla guida di veicoli dotati di un dispositivo di tipo alcolock conformemente alla norma EN 50436", di cui all’allegato I alla direttiva 2006/126/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006 […]

Alcolock però non è un anglicismo: in inglese questi dispositivi si chiamano [breath] alcohol ignition interlock device (BAIID) o più brevemente ignition interlock [device] (IID) o alcohol interlock [device].

In inglese la parola interlock indica genericamente un dispositivo di blocco che impedisce una specifica azione se non sono soddisfatte particolari condizioni o non è avvenuta un’altra azione. Nei veicoli gli ignition interlock non servono solo contro la guida in stato di ebbrezza ma possono avere anche altre funzioni, ad es. impedire l’accensione [ignition] del motore se non è stata allacciata la cintura di sicurezza. 

ALCOLOCK

Alcolock è invece un marchio registrato dell’azienda canadese Alcohol Countermeasure Systems (ACS) e stupisce alquanto che il legislatore italiano abbia optato per una volgarizzazione del marchio, ribadita anche dall’iniziale minuscola.

ACS non è l’unico produttore di questi dispositivi, offerti da varie altre aziende, e quindi la scelta di ricorrere ad alcolock suscita ulteriori perplessità: sarebbe come emanare disposizioni merceologiche denominando “carta di tipo scottex” qualsiasi carta assorbente da cucina.

Nomi italiani alternativi ad alcolock

I diversi produttori e le aziende automobilistiche che forniscono tali dispositivi li descrivono in italiano in più modi, sempre però ricorrendo a nomi trasparenti tra cui dispositivo di blocco dell’avviamento del veicolo, sistema di blocco automatico dell’accensione del veicolo e sineddochi quali etilometro blocca motore, etilometro blocca-auto, etilometro immobilizzatore di veicoli, etilometro antiavviamento ecc.

Perché allora per il codice della strada non è stata scelta una formula come ad esempio etilometro blocca motore, che sarebbe risultata immediatamente comprensibile, ed è stato preferito [dispositivo di tipo] alcolock, che invece non lo è?

Nel sito del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti non si trova nessuna definizione o altre informazioni che chiariscano una scelta terminologica così inopportuna.

Disposizioni europee

Il codice della strada rimanda alla direttiva europea 2006/126/CE sulla patente di guida, dove però non appare alcun riferimento a dispositivi di blocco, e alla norma EN 50436 del 2017, disponibile solo in inglese, che in italiano è descritta come Alcool interlocks – Metodi di prova e specifiche di prestazione.

Estendendo le ricerche ad altri testi in italiano in ambito UE, si trova una prima ricorrenza di dispositivo di tipo alcolock come equivalente dell’inglese alcohol interlock [device] nel 2015 nella Direttiva (UE) 2015/653 recante modifica della direttiva 2006/126/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la patente di guida:

Per migliorare la sicurezza stradale, diversi Stati membri dispongono o hanno in previsione di adottare programmi che impongono ai conducenti di guidare esclusivamente veicoli dotati di un dispositivo di tipo alcolock. Per agevolare la diffusione e l’accettazione dei dispositivi di tipo alcolock, e tenendo conto delle raccomandazioni dello studio sulla prevenzione della guida in stato di ebbrezza mediante l’uso di dispositivi di tipo alcolock, dovrebbe essere introdotto a tal fine un codice armonizzato.

La locuzione dispositivi di tipo alcolock appare anche in testi successivi, senza però che ne venga mai data una definizione. Esempi: il Regolamento (UE) 2019/2144 del Parlamento europeo e del Consiglio del 2019, il Regolamento delegato (UE) 2021/1243 (norme dettagliate in merito all’interfaccia di installazione di dispositivi di tipo alcolock nei veicoli a motore) del 2021 e alcuni altri documenti.  

Se si fa un confronto con altre lingue, si può vedere che solo l’italiano ricorre a un marchionimo, a differenza ad esempio del francese éthylomètre antidémarrage, dello spagnolo alcoholímetro antiarranque e del tedesco alkoholempfindlichen Wegfahrsperre (Alkohol-Wegfahrsperre).

In IATE, il database terminologico delle istituzioni europee, alcohol interlock device ha come equivalente italiano etilometro “blocca-motore”, ma è una voce con bassa affidabilità. A quanto pare, inoltre, la locuzione è stata usata unicamente in un riferimento a un’interrogazione parlamentare del 2011.

Si può però osservare che questa soluzione corrisponde al termine istituzionale svizzero etilometro blocca-motore, inserito nel database terminologico TERMDAT con la definizione “etilometro che impedisce l’avvio del veicolo su cui è installato nel caso in cui la concentrazione della massa di alcol nell’aria espirata superi il valore prescritto”.

Terminologia svizzera: Alkohol-Wegfahrsperre, éthylomètre anti-démarrage, etilometro blocca-motore, bloccada da partir alcoholisà, ignition interlock device

Perché solo per gli italiani è alcolock?

Non sono riuscita a stabilire cosa abbia fatto prevalere dispositivo di tipo alcolock ad altre possibili soluzioni, oltretutto in un contesto istituzionale europeo dove di solito c’è maggiore attenzione alla terminologia.

Una delle prime occorrenze che ho trovato in altri testi italiani è in un articolo del 2004 di Poliziamoderna, la rivista ufficiale della Polizia di Stato, dove alcolock è usato genericamente con iniziale minuscola. Anche notizie successive in media generalisti, tra cui un servizio RAI del 2014, Alcolock, il dispositivo contro la guida in stato di ebbrezza, ricorrono ad alcolock come se fosse un nome comune

La mia supposizione è che chi inizialmente ha usato alcolock non abbia capito che fosse un marchio ma abbia ritenuto fosse il nome effettivamente usato in inglese, e altri poi hanno seguito a ruota. Presumo che una combinazione di propensione all’uso di anglicismi, scarse conoscenze dell’inglese e mancanza di nozioni terminologiche abbia quindi impedito di riconoscere l’uso improprio ed evitarlo.

Non mi stupirei se chi a suo tempo ha tradotto la Direttiva (UE) 2015/653 avesse interpellato il Ministero dei Trasporti e avesse avuto l’indicazione di usare dispositivo di tipo alcolock, e che da lì l’uso sia stato poi propagato a successivi regolamenti e disposizioni europee.

Conseguenza: la standardizzazione di un termine inadeguato e poco trasparente che infine è apparso anche nel nuovo codice della strada, un testo destinato a chiunque abbia la patente, quindi anche a chi non conosce l’inglese e potrebbe non intuire il significato di un marchionimo canadese. A quanto pare nessuno se ne è mai preoccupato, e probabilmente ormai non è più possibile sostituire alcolock.


Vedi anche: Elenco di anglicismi istituzionali, con alcune considerazioni in tema e, in conclusione, i criteri di condotta di Francesco Sabatini sull’uso degli anglicismi.

1 Sei veramente padrone del significato di quel termine?  2 Lo sai pronunciare correttamente?  3 Lo sai anche scrivere correttamente?  4 Sei sicuro che il tuo interlocutore lo comprende?

5 commenti su “Misteri ministeriali: l’origine di alcolock

  1. .

    La tua supposizione è sicuramente è corretta, ma stupisce che l’utilizzo dell’iniziale maiuscola non abbia suggerito di approfondire la questione. Alle tua motivazioni per il mancato riconoscimento del’uso improprio aggiungerei presappochismo e sciatteria.

  2. .

    Ho trovato molto interessante questo articolo e anche il rimando al post in cui lei approva l’espressione “inglesorum” riferita all’abuso di anglicismi veri o presunti. Personalmente non condivido per niente l’uso di anglicismi non trasparenti nelle comunicazioni della PA e ancor di più in testi normativi, come in questo caso. Lei cita anche i criteri di condotta di Sabatini e questo mi conforta nel ritenere che tale posizione sia diffusa tra i linguisti. Come valuta allora l’irrisione di qualche linguista rispetto all’iniziativa del Comune di Castiglion Fiorentino citata in questo link https://www.comune.castiglionfiorentino.ar.it/it/news/il-comune-promuove-e-tutela-l-uso-della-lingua-italiana ?
    Voglio precisare che le mie posizioni politiche sono molto lontane dal colore dell’amministrazione di questo Comune, ma non trovo insensate le intenzioni espresse nel comunicato, al di là di una certa retorica e di qualche ingenuità. Tra l’altro il comunicato del Comune utilizza anche anglicismi acclimatati (“social media”), quindi non mi sembra esprima un’anacronistica intransigenza contraria ai forestierismi.

  3. .

    @Nicola, non sapevo nulla di questa iniziativa, grazie per la segnalazione. Ho cercato qualche altro dettaglio per capire il riferimento a “irrisione di qualche linguista” ma non ho trovato nulla, probabilmente sono commenti apparsi in qualche social che non frequento?

    Per ora l’unica reazione di linguista riportata dai media sembra essere quella del presidente dell’Accademia della Crusca, Paolo D’Achille:

    “Lodo l’iniziativa del sindaco Agnelli, perché cerca di evitare termini in inglese nella comunicazione verso i cittadini. E’ importante che le parole vengano comprese da tutti, specialmente da quella parte di popolazione più anziana nei confronti dei quali la comunicazione contenente termini stranieri non sarebbe così diretta come invece accade nel momento in cui usiamo termini in italiano”. “Quindi ben vengano iniziative che intendono servirsi dell’italiano, sfruttando le potenzialità della nostra lingua”, prosegue ancora il presidente D’Achille. Fa inoltre un rilievo – ma questo non c’entra con i termini inglesi, ma con il giusto utilizzo dei loro corrispondenti italiani – per quanto riguarda alcuni vocaboli. “Per esempio – prosegue D’Achille – in questi giorni abbiamo sentito parlare di ‘inaugurazione di Trump’ ma non è corretto, perché si inaugura un monumento o un evento e non una persona. Prestiamoci attenzione”.

    Fonte: L’Accademia della Crusca promuove Mario Agnelli che mette al bando i termini in inglese [Corriere di Arezzo; stesso testo riportato anche da altri media]

    Non posso che essere d’accordo con D’Achille: anch’io ho sottolineato spesso quanto sia inopportuno ricorrere ad anglicismi ingiustificati nella comunicazione istituzionale (in aggiunta ai post già citati qui sopra, rimando anche alle osservazioni in Preparedness e readiness nel setting scolastico, poi riprese anche in un comunicato del Gruppo Incipit dell’Accademia della Crusca).

    In attesa di avere qualche dettaglio sulle obiezioni mosse dai linguisti che avrebbero irriso l’iniziativa, chiarisco perché nella citazione riportata qui sopra ho evidenziato un inciso in grigio (“non c’entra con i termini inglesi”): sicuramente non si tratta di una precisazione di D’Achille ma di chi ha riportato le sue parole. Il riferimento del linguista infatti è proprio a un altro tipo di anglicismi, calchi e in particolare falsi amici, che sono molto più subdoli dei prestiti non adattati perché non immediatamente riconoscibili (non hanno l’aspetto di parole inglesi ma italiane) ma possono compromettere la comprensione, a volte anche in modo grave: esempi in 300 falsi amici.

    Infine, tornando al caso specifico del Comune di Castiglion Fiorentino, è sicuramente apprezzabile l’intenzione di rendere la comunicazione più accessibile e trasparente, però concordo nel descrivere l’iniziativa come caratterizzata da “una certa retorica e [di] qualche ingenuità”. Si può vedere, ad esempio, nell’equivalenza errata tra sistema linguistico (la lingua italiana) e singole parole (il lessico, il livello più superficiale della lingua), una confusione ricorrente tra chi non ha conoscenze adeguate dei meccanismi di funzionamento della lingua: si riscontra anche nelle varie proposte di legge per la tutela e la promozione della lingua italiana (che nel caso del Comune di di Castiglion Fiorentino diventa addirittura ripetuta necessità di difesa, come se l’italiano fosse in pericolo, minacciato da fantomatici nemici!).

    Ho qualche perplessità anche sulla scelta di esempi di anglicismi che ostacolerebbero una corretta comunicazione perché si tratta di parole che in gran parte sono in uso in italiano da decenni. Li riporto anche qui, direttamente dal comunicato del Comune di Castiglion Fiorentino, aggiungendo però l’anno di prima attestazione (fonte: Devoto-Oli):

    fake (falso/impostore) 1998  
    feedback (opinione) 1956
    font (carattere tipografico) 1990
    full-time (tempo pieno) 1963
    welfare (stato sociale) 1951
    smartworking (lavoro da casa) 2013
    help desk (assistenza) 1998
    meeting (riunione/incontro) 1819!!
    best pratice (buona pratica) 1998

    Come ho ribadito spesso, ritengo non abbia molto senso cercare di contrastare qualsiasi anglicismo, senza distinzioni, soprattutto se si tratta di prestiti in uso da tempo, e/o che hanno grande frequenza d’uso e ampia distribuzione e sono quindi facilmente riconoscibili, come ad es. smart working (tra l’altro il termine istituzionale corrispondente è lavoro agile, non lavoro da casa, e si potrebbero commentare anche altre equivalenze dell’elenco).

    Sarebbe più opportuno focalizzare l’attenzione su anglicismi più recenti che non sono ancora entrati stabilmente nell’uso e per questo risultano di difficile comprensione e possono impedire la fruizione di servizi e informazioni (di certo non è il caso di meeting!). Inoltre, se l’intento è di rendere più accessibile e trasparente la comunicazione, non ci si dovrebbe occupare esclusivamente dei prestiti non adattati ma andrebbero considerati anche altri aspetti linguistici (calchi, burocratese ecc.). Il rischio, altrimenti, è che il messaggio risulti poco credibile e appaia palesemente come una comunicazione politica “rivestita” con motivazioni linguistiche poco informate.

    Altre considerazioni in Anglicismi, che passione!? 

  4. .

    Il mio riferimento era a un post su un social che probabilmente lei non frequenta, Facebook, ed è di Vera Gheno. Il testo del post è il seguente “Dai, torniamo al maglioncino di casimiro e alla bevanda arlecchina presa alla mescita”. A me è sembrato un commento ingeneroso e francamente derisorio, mentre trovo molto opportune le sue osservazioni e le sue critiche, Licia, ad alcuni passi del comunicato, in particolare riguardo agli esempi di anglicismi da evitare, invero ormai acclimatati.

  5. .

    Se vogliamo essere precisi, neanche in inglese si inaugura una persone. Da questo di vista Trump’s inauguration non è corretto, ma viene usato come scorciatoia che sta per T’s inauguration ceremony, cioè the ceremony for the inauguration of T’s presidency. Ma per l’inglese è già troppo tardi.

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