Nelle notizie in italiano sull’ufficializzazione di Donald Trump come candidato repubblicano per le elezioni presidenziali 2024 ero sicura che avrei trovato due famigerati falsi amici, ricorrenti in notizie da paesi anglofoni sull’immigrazione irregolare.
Nel discorso con cui Trump ha accettato la nomination, la promessa di effettuare the largest deportation della storia americana è stata infatti tradotta erroneamente con la più grande deportazione, ennesima dimostrazione di conoscenze inadeguate sia linguistiche che storiche di chi ci informa.
In sintesi, nell’inglese degli Stati Uniti deportation indica prevalentemente l’espulsione da un paese di uno straniero indesiderato perché irregolare o per motivi di ordine pubblico e sicurezza:
In italiano deportazione indica invece una pena detentiva che relega i condannati in colonie penali o campi di lavoro; riguarda principalmente cittadini del paese stesso. È una parola connotata molto negativamente perché evoca i campi di concentramento e di sterminio nazisti. Se Trump avesse effettivamente promesso deportazioni, a temere dovrebbero essere i cittadini americani (avversari politici, giudici, giornalisti, critici…).
In italiano si chiama invece espulsione il provvedimento amministrativo di inibizione del soggiorno irregolare di un cittadino straniero nel territorio nazionale, specialmente per motivi di ordine pubblico e sicurezza.
Ho già descritto questi falsi amici nel 2016 in Trump e la “deportazione” dei clandestini. Ne ho discusso più dettagliatamente in Falsi amici: deportation ≠ deportazione, dove ho evidenziato alcune differenze terminologiche nel lessico giuridico di Regno Unito, Australia e Stati Uniti, con un confronto con i termini italiani corrispondenti.
Dubito che chi scrive nei media italiani sia consapevole di queste differenze!
Mass deportation
Aggiornamento 22 luglio – Nei media e sui social italiani la “deportazione di massa” promessa da Trump e richiesta dai suoi sostenitori ha generato interventi di opinionisti e discussioni in cui sono frequenti i rimandi al nazismo e ai campi di concentramento, che però non è quanto viene evocato da mass deportation nel contesto americano.
Ciò che vuole attuare Trump spaventa per modalità, crudeltà e numeri (“mass”), ma non per l’uso della parola deportation. Se davvero si trattasse di deportazione nel significato italiano, nell’inglese americano si direbbe internment (un riferimento storico americano: Japanese American internment).
Ho provato a segnalare a vari giornalisti italiani l’errore di traduzione ma nessuno si è degnato di rispondere.
Vedi anche: Elenco di falsi amici per ulteriori esempi di errori ricorrenti nei media italiani
Silvia:
Sempre più di frequente in ambito respingimenti vedo usati i termini “deportati”, “deportazione”, p.es. riguardo all’accordo con l’Albania. Ovviamente l’utilizzo ha una connotazione politica. Stranamente però ho trovato due documenti “istituzionali” in cui si parla di deportati. L ‘ENAC ha emanato delle “linee guida per l’allontanamento dei deportati” (sic) dove si ritrova la seguente definizione:
Deportato : si intende una persona che è stata legalmente ammessa in uno Stato dalle relative autorità o che è entrato in uno Stato illegalmente e a cui in un secondo momento è stato formalmente ordinato dalle autorità competenti di lasciare lo Stato. “
Sul sito italiano di un organismo europeo con tanto di logo del ministero dell’interno (emnitalyncp.it)
si legge “deportazione/espulsione:
Atto con cui uno Stato, nell’esercizio della sua sovranità, allontana uno straniero dal suo territorio, verso un altro luogo, in conseguenza del rifiuto di ingresso o della scadenza del permesso di soggiorno.”
Traduzioni dall’inglese sempre nell’ottica del risparmio? Solita sciatteria italiana?
Licia
@Silvia, grazie per gli esempi. Temo anch’io che sia una combinazione di uso pedissequo di fonti in inglese riciclate, traduzioni al risparmio e sciatteria, a cui aggiungo mancanza assoluta di quella che chiamo cultura terminologica, senza la quale non viene riconosciuta la terminologia rilevante e non si è in grado di farne un uso ragionato e coerente, confrontandola con altri termini nello stesso ambito e con verifica delle fonti già esistenti.
In particolare, la definizione di deportato mi ha fatto venire subito qualche sospetto e infatti cercando l’originale inglese ho avuto la conferma che in inglese il termine è deportee e cioè “someone who is being deported”:
Deportee: A person who had legally been admitted to a State by its authorities or who had entered a State illegally, and who at some later time is formally ordered by the competent authorities to leave that State. (ICAO)
Fonte: IATA, Guidelines for the Removal of Deportees (2020)
In inglese il suffisso –ee deriva da un participio passato francese, quindi formalmente è assimilabile all’italiano –ato, ma appare in parole che identificano chi sta subendo un’azione (employee, trainee, interviewee, antonimi di employer, trainer, interviewer) oppure la sta facendo (referee, absentee), quindi in inglese è sottintesa un’azione in corso.
Il participio passato in italiano invece implica un’azione già completata, e quindi che la persona sia già stata “deportata”.