Ritorno sulla discussa proposta di legge per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana per alcune considerazioni sull’articolo 7, che è l’unica vera novità rispetto alla proposta di legge del 2018.
L’istituzione del Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana sostituisce l’istituzione del Consiglio superiore della lingua italiana (di cui si discuteva già da anni), ma mantiene la stessa funzione: “organismo di ausilio al Governo nazionale, in cui la componente politica e quella culturale e accademica possano confrontarsi nell’ambito delle rispettive competenze”. Dubito però che chi ha redatto la proposta di legge abbia considerato le implicazioni pratiche di un organismo del genere.
Composizione del Comitato
La prima parte dell’art. 7 riguarda l’istituzione del Comitato, che è composto da 12 membri:
Non viene chiarito in base a quali competenze verranno scelte le persone e cosa le qualifichi per far parte del Comitato, né le modalità in cui dovranno o potranno operare. A quanto pare la componente politica prevarrà su quella culturale e accademica – non sono coinvolti né università né altri esperti.
In mancanza di altre informazioni, è curioso che venga precisato che non spetterà alcuna retribuzione, un dettaglio che fa supporre che non sia previsto nessun finanziamento per le attività del Comitato.
Promozione di “termini idonei”
Il comma 5 elenca le attività di promozione di cui dovrà occuparsi il Comitato, che sono alquanto varie:
Sono convinta che qualsiasi linguista che abbia letto questi punti si sia fatto parecchie domande su cosa verrà promosso, come sono state scelte le priorità (conoscenza di strutture grammaticali? pronunzia?), in che ambiti si opererà, chi saranno i destinatari, quali sono le finalità e come si pensa di poterle raggiungere.
Come terminologa sono estremamente colpita dal punto d. Trovo improbabile che persone che si incontreranno solo sporadicamente (hanno un altro lavoro a tempo pieno!) siano in grado di fornire indicazioni terminologiche in qualsiasi ambito (“mettere a disposizione dei cittadini termini idonei ad esprimere tutte le nozioni del mondo contemporaneo”). Temo che chi ha redatto questo punto non abbia le idee molto chiare su cosa comporti il lavoro terminologico.
Attività terminologiche: cosa serve
Per illustrare le mie perplessità parto da un esempio pratico che ho già descritto: come avrebbe agito l’ipotetico Comitato se avesse dovuto decidere alternative italiane agli anglicismi preparedness e readiness usati in un documento del Ministero dell’Istruzione e dell’Istituto Superiore di Sanità?
(dettagli: Preparedness e readiness nel setting scolastico)
Per mettere a disposizione “termini idonei” prima della pubblicazione del documento, nel giro di pochi giorni il Comitato (o chi ne svolge le funzioni) avrebbe dovuto, come minimo:
- ricevere segnalazione dei termini su cui intervenire;
- determinare i concetti rappresentati da ciascun termine e le relazioni con altri concetti (ad es., cosa distingue preparedness da readiness?), verificare se si tratta concetti già esistenti e noti o se invece sono nuovi concetti, e condurre tutte le ricerche necessarie;
- valutare le possibili designazioni italiane, anche in relazione ai destinatari, assicurarsi che siano congruenti e non creino conflitti con terminologia già esistente, selezionare i termini da approvare, e renderli disponibili ai richiedenti e al pubblico.
Per questi passaggi è necessario che sia stato definito un flusso di lavoro in cui sono state identificate procedure, ruoli, responsabilità, modalità di condivisione delle informazioni ecc. Serve, ad esempio, un sistema per la segnalazione dei termini che tenga traccia di tutte le richieste, della loro elaborazione e della loro risoluzione.
Perché le segnalazioni avvengano (punto 1) occorre però che in ciascun settore dell’amministrazione pubblica che ricorre alle consulenze terminologiche del Comitato ci sia chi è in grado di identificare i termini da sottoporre e corredarli di definizioni e informazioni di contesto. Per farlo serve perlomeno una formazione terminologica di base, credo al momento pressoché inesistente nella pubblica amministrazione (ne è una prova la quasi totale assenza di glossari e definizioni dei concetti chiave nei siti istituzionali, con pochissime eccezioni).
I punti 2 e 3 richiedono non solo competenze terminologiche (metodologia) ma anche conoscenze specialistiche in ambiti settoriali e di linguaggi speciali che non tutti i membri del Comitato potrebbero avere. A supporto si deve quindi disporre di una rete di esperti che possano intervenire in tempi brevissimi.
Inoltre, è necessario un database terminologico facilmente consultabile dove rendere disponibili i termini approvati, e si devono prevedere modalità di comunicazione della nuova terminologia a pubblica amministrazione, media e cittadini, altrimenti è altamente improbabile che venga adottata.
Per un lavoro terminologico efficace sono quindi necessarie risorse adeguate, con persone qualificate che se ne occupano a tempo pieno, e investimenti in formazione, strumenti, gestione e comunicazione. Chi ha redatto l’art. 7 invece sembra ritenere che possa bastare qualche riunione di un Comitato eterogeneo, evidentemente senza rendersi conto che potrebbe funzionare solo se ne facessero parte supereroi con superpoteri!
Il modello francese
Nei giorni scorsi l’onorevole Rampelli, primo firmatario della proposta di legge, ha confermato che il modello di riferimento è la legge francese Toubon. Presumo quindi che il Comitato, e nello specifico il punto d sull’arricchimento della lingua italiana, prenda spunto dalla Commission d’enrichissement de la langue française, che si avvale dei contributi di enti normativi, di università e di una rete di esperti da ambiti tecnici e scientifici (ma nessun parlamentare!). All’interno dei ministeri francesi operano specifiche figure professionali che gestiscono la terminologia, selezionano, documentano e sottopongono i termini rilevanti alla commissione, e partecipano alle riunioni della commissione per il proprio ambito.
I termini approvati sono resi disponibili nel database terminologico FranceTerme e vengono divulgati attraverso rapporti annuali, con spiegazioni dettagliate delle decisioni, delle procedure e delle metodologie usate per l’approvazione. Ça va sans dire che una struttura di questo tipo deve aver richiesto anni di pianificazione e notevoli investimenti.
In teoria quello francese è un sistema modello. In pratica succede però che in alcuni ambiti, come ad es. l’informatica, i social e l’economia, la terminologia approvata dalla commissione rimanga ristretta all’uso istituzionale. Io non parlo francese ma ho lavorato a lungo con colleghi terminologi francesi che si lamentavano delle soluzioni scelte, non sempre ottimali: a quanto pare, spesso arrivano con troppo ritardo o sono troppo lunghe o poco efficaci (ad es. microrécit vidé per story nel lessico dei social) e in tutti questi casi è improbabile che scalzino gli anglicismi ormai già nell’uso, quasi impossibile se sono internazionalismi. A volte le soluzioni scelte sono anche inappropriate, come nell’esempio di hashtag che nella terminologia istituzionale è mot-dièse, “parola diesis” (sono stati confusi cancelletto # e diesis ♯, due simboli diversi).
Il modello francese è sicuramente utile come riferimento ma se si decidesse di adottarlo bisognerebbe identificare anche i punti deboli ed evitare di replicarli. Tutti i membri del Comitato sarebbero in grado di farlo?
In tema lavoro terminologico, vedi anche:
- Terminologia e comunicazione – come identificare termini e concetti prioritari
- Brainstorming e formazione dei termini in L2 – perché nel passaggio da una lingua a un’altra i termini “non si traducono” ma vanno invece scelte soluzioni equivalenti
- Terminologizzazione e tecnicismi deboli – alcune note sui linguaggi speciali
- Preparedness e readiness nel setting scolastico – osservazioni terminologiche e sulla comunicazione istituzionale
- Terminologia svizzera e Terminologia multilingue in tema COVID-19 – esempi di database e risorse terminologiche istituzionali efficaci e facilmente accessibili
In tema con il post:
- Multa per chi usa anglicismi? Non è una novità – altre considerazioni sulla proposta di legge per la tutela dell’italiano
- Davvero fra 80 anni non si parlerà più italiano? – riferimenti alla legge Toubon
- Il ruolo dei linguisti nelle leggi sull’italiano – serve maggiore consapevolezza linguistica [nuovo post]
PS Al punto d dell’art. 7 non riesco a capire cosa si intenda con “favorendo la presenza della lingua italiana nelle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione”. Dubito sia un riferimento alle interfacce di app, software, social e altre piattaforme perché da decenni tutto ciò che ha ampia diffusione è localizzato in italiano.
Federica:
L’ho appena scoperta, blog bellissimo 🙂 per quanto riguarda il suo PS le posso dire che ci sono parecchie app che nascono in paesi dove si parla inglese e che non sono state localizzate adeguatamente (forse per mancanza di risorse e organizzazione interna, come ha spiegato lei). Non parliamo però di app del calibro di Instagram o Twitter. Quindi se vogliamo essere charitable la proposta del governo in merito potrebbe non essere così strana.
In ogni caso, articolo molto interessante!
alessandro:
I promotori della proposta di legge sono talmente esperti delle strutture della lingua italiana che inseriscono uno spazio prima di chiudere la parentesi: «valorizzazione della lingua italiana )»
Licia:
@Federica, benvenuta! Per la promozione delle versioni in italiano anche di app ecc. meno note o di nicchia, senza alcun budget a propria disposizione temo che l’unica cosa che potrebbe fare il Comitato è spingere per il crowdsourcing…
@Alessandro non direi però che sia un problema di strutture della lingua italiana ma semplicemente di convenzioni ortografiche non rispettate (che si nota anche nell’uso delle virgolette « francesi »): se si leggono le frasi incriminate a voce alta, chi ascolta non noterà alcunché di anomalo. Nel testo della proposta di legge trovo molto più discutibili varie affermazioni e formulazioni, specialmente nella premessa.
Francesca:
Grazie, molto interessante
Cosimo:
Carissima,
sono assolutamente d’accordo con te!
Le premesse sono alquanto preoccupanti.
Il modello francese – che ho sempre sostenuto (da francesista) – è al momento il modello che andrebbe preso come riferimento.
Un cordiale saluto da un Socio AssiTerm
Marco:
Salve. Sebbene condivida in concetto base del disegno di legge, limitare negli atti pubblici i termini stranieri, anche a me ha lasciato perplesso la composizione e l’utilità di questo comitato. In un’intervista il nasuto Rampelli disse che la legge si basava su quella famosa legge francese, e che sarebbe stata soggetta a migliorie, quindi ciò potrebbe presagire una composizione più seria del fantomatico comitato. Quello che non capisco è perché introdurre più personaggi politici che linguisti o specialisti di altri settori.