immagine: Collins Dictionary
Tra le parole dell’anno 2022 scelte dal vocabolario britannico Collins Dictionary c’è anche sportswashing, ricorrente in relazione ai discussi mondiali di calcio in Qatar. Aveva già avuto rilievo anche nel 2018 per i mondiali di calcio in Russia e in entrambe le occasioni è poi apparsa anche nei media italiani.
Sportswashing descrive l’uso di un evento sportivo di rilevanza globale per migliorare l’immagine e la reputazione di un paese. In italiano l’operazione viene spesso spiegata erroneamente come una ripulita o un lavaggio ma si tratta invece di una metaforica “riverniciata” che distrae l’attenzione e copre e nasconde problemi di fondo che rimangono irrisolti, come mancanza di giustizia sociale e violazioni dei diritti umani.
L’espressione sportswashing è modellata sulla più nota greenwashing, l’uso di operazioni di facciata volte a conferire credibilità ambientale o far apparire come ecosostenibile ciò che non lo è. Non ha nulla a che vedere con “lavaggi” figurati, tantomeno di coscienza: come già descritto, all’origine c’è infatti whitewashing, imbiancare a calce, un modo veloce per migliorare l’aspetto di pareti sporche che in inglese ha anche il senso figurato di coprire, mascherare, occultare per nascondere qualcosa di sgradevole o sconveniente.
immagine: Ben Zimmer – The Wall Street Journal
X-washing
Il modello greenwashing, in uso dagli anni ‘80, è all’origine non solo di sportswashing ma anche di altre espressioni del tipo x-washing. L’elemento formativo –washing funziona come un suffisso e si combina con aggettivi o sostantivi in posizione x per identificare azioni e attività volte a migliorare la percezione di persone, organizzazioni o prodotti da parte dell’opinione pubblica (o, in modo più mirato, da parte di consumatori e fruitori di servizi).
Inizialmente l’elemento x dei nuovi composti corrispondeva al nome di un colore simbolico, da cui redwashing (tematiche sociali), purplewashing (femminismo), pinkwashing (cancro al seno), blackwashing (antirazzismo e altro). In seguito le possibilità di composizione si sono estese a parole correlate come l’arcobaleno di rainbow washing (LGBTQ) e quindi ad altre di vario tipo che hanno dato origine a social washing, openwashing, genderwashing, woke-washing, corona-washing ecc. Le ho descritte in Una mano di greenwash.
La frequenza d’uso di queste parole varia molto: greenwashing è la più nota e riconoscibile (ed è registrata anche da alcuni dizionari di italiano). Alcune come sportswashing e rainbow washing appaiono ciclicamente, legate rispettivamente a eventi sportivi mondiali e al mese noto come pride month; altre invece hanno un uso sporadico.
Se per qualche scandalo o polemica di impatto globale acquisiscono visibilità nei media di lingua inglese, poi è facile ritrovarle pedissequamente anche nei media italiani. Spesso sono accompagnate da spiegazioni in cui -washing viene inesorabilmente tradotto con “lavaggio” o “ripulita”, a dimostrazione che la metafora sottostante non è stata compresa correttamente: i problemi non vengono rimossi ma nascosti.
Attenzione all’ortografia: è sportSwashing!
Concludo con una nota grammaticale: una peculiarità di sportswashing è che sports è al plurale, mentre in buona parte dei composti inglesi l’elemento nominale con funzione di specificatore è al singolare. Sport però è una nota eccezione: si dice sportscar, sportsman, sportswoman, sportswear ecc. Ma nei media italiani è molto frequente la forma errata *sportwashing in cui manca una s. Esempi:
L’attenzione ai dettagli, questa sconosciuta!
Gianmaria Lari:
Grazie Licia!!
Marco:
Ma “tokenism” può essere considerato un sinonimo per “x-washing”? Faccio un po’ fatica a capire la differenza.
Licia:
@Marco tokenism e i vari tipi di washing hanno in comune l’essere operazioni di facciata, però hanno alla base metafore diverse.
Per chi non conosce già la parola, tokenism deriva da token, gettone, e in senso figurato qualsiasi cosa o gesto a cui viene dato un significato simbolico (può essere usato in senso neutro ma spesso è connotato negativamente da ipocrisia). Nello specifico, tokenism di solito indica la pratica di dare un ruolo a persone di una minoranza sottorappresentata o percepita come discriminata o svantaggiata (per sesso, genere o orientamento, aspetti socioeconomici, provenienza, gruppo etnico…) per dare l’impressione di inclusività, pari opportunità, equità ecc. nel lavoro, in ambito accademico, nei ranghi di un partito, nelle istituzioni, nel cinema… Può descrivere anche altri tipi di azioni, ad es. misure pro forma ma che non hanno veri effetti pratici, ma in genere riguarda persone scelte con calcolo per la loro “rappresentatività”.
L’idea sottintesa dai vari tipi di washing è invece quella di coprire, nascondere, occultare.
Marco:
In Spagnolo usano il calco “lavado” per tradurre “washing”, quindi “pinkwashing” sarebbe “lavado rosa”, anche se si usa spesso l’anglicismo. Non capisco perché non si possa trarne un calco ?
Licia:
@Marco [2] sono perplessa: non si capisce da quello che ho scritto nel post che -washing non ha nulla a che vedere con l’accezione più comune di wash, “lavare”? Significa che anche in spagnolo viene data un’interpretazione errata! Basta anche solo fare una ricerca per immagini per greenwashing, il “washing” più comune, per vedere che il concetto viene rappresentato spesso con pennelli e vernice, e se ne vede un esempio anche nell’illustrazione dell’articolo del lessicografo Ben Zimmer.
Immagine: studioerika.it
Marco:
Ho capito. Grazie mille della spiegazione, molto chiara, come sempre.
Marco:
Immagino che forse l’ultima risposta si riferisse a me. Se così non fosse chiedo perdono. Quindi si dovrebbe parlare più di “riverniciatura rosa”(o qualunque sia il colore) se si volesse applicare un calco?
Comunque al calco preferirei una traduzione più basata sul significato. La ringrazio per la risposta molto esauriente.
Lele:
“L’elemento formativo –washing […]”
“Spesso sono accompagnate da spiegazioni in cui –washing […]
Ben conscio di essere OT, mi piacerebbe capire la distinzione tra i tre segni grafici seguenti, per non doverli usare arbitrariamente e indistintamente.
il primo è la lineetta – (Alt + 45)
il secondo è il trattino breve – (Alt + 0150)
il terzo è il trattino lungo — (Alt + 0152)
Lele:
@Licia
Perdonami, ma mi sembra che nel mio commento precedente la lineetta e il trattino breve coincidano, ma nel tuo post la differenza si nota!
Licia:
@lele la mia intenzione era di usare il segno meno (-) ma se usato a inizio parola o isolato WordPress lo trasforma in lineetta (come hai visto anche tu nel tuo commento).
Anche se cerco di fare poi le correzioni manualmente qualcuno sfugge oppure viene riconvertito se viene fatto qualche aggiornamento.
Nomi e usi variano a seconda delle guide di stile che si consultano. Sui nomi riporto un pezzo di discussione nei commenti a “Virgolette” in Europa e in USA.
[…] il famigerato problema di come chiamare in italiano questi segni:
1 -
2 ‐
3 –
4 —
In inglese nella terminologia Unicode di riferimento sono 1 hyphen-minus (U+002D) 2 hyphen (U+2010), 3 en dash (U+2013) ed 4 em dash (U+2014). Ne approfitto per ricordare che en dash ed em dash si chiamano così perché la lunghezza dovrebbe corrispondere allo spazio che occupano rispettivamente N e M.
Nel post ho usato la terminologia del Dizionario di stile e di scrittura, che chiama 1 trattino, 2 segno meno e 3 lineetta, descrivendola come trattino allungato usato per incisi e discorso diretto o riportato (viene anche citato l’uso anglosassone di 4 em dash, a cui non viene dato un nome italiano, e viene spiegato che in inglese può essere usato per unire gli estremi di un intervallo, ad es. 2017—2018).
Altre fonti usano invece terminologia diversa. Aggiungo un altro esempio: la versione del Manuale di stile di Lesina del 1994 che possiedo io distingueva tra trattino (“più breve dello spazio occupato da un carattere”), segno meno (“spazio pari a quello degli altri caratteri) e tratto (“più varianti di lunghezza diversa”).
Lele:
@Licia
Consumo un commento per ringraziare e per rinnovare i complimenti per come e quanto è manutenuto questo interessantissimo blog.
Licia:
@Lele GRAZIE 🙂