Scuola, presentate le Linee guida per settembre è il comunicato stampa del 26 giugno 2020 con cui il Ministero dell’Istruzione annuncia decisioni che riguardano milioni di italiani. Un dettaglio che sta facendo discutere:
Cosa sono le “rime buccali degli alunni” e perché le parole sono tra virgolette? Non lo spiega né il comunicato stampa, né il sito del Ministero, né il documento delle Linee guida, dove il termine appare un’unica volta, nella Premessa:
…con riferimento alle indicazioni sanitarie sul distanziamento fisico, si riporta di seguito l’indicazione letterale tratta dal verbale della riunione del CTS tenutasi il giorno 22 giugno 2020: «Il distanziamento fisico (inteso come 1 metro fra le rime buccali degli alunni), rimane un punto di primaria importanza nelle azioni di prevenzione…». |
La rima buccale (o rima oris) è “l’apertura delimitata dalle labbra, a forma di fessura trasversale tra le due guance (buccae)”, quindi la parte esterna della bocca.
Perché ricorrere al latinorum?
Cosa spinge dei funzionari ministeriali a preferire un oscuro termine anatomico a bocca, parola comprensibile da chiunque? E perché non spiegano quali differenze comporta una misurazione tra le bocche degli studenti rispetto alla distanza di sicurezza interpersonale di 1 m che tutti conosciamo da quando sono state messe in atto le misure per contrastare il contagio da COVID-19?
Due ipotesi:
► maledizione della conoscenza – incapacità di rendersi conto che la maggior parte dei destinatari non conosce il termine medico e tantomeno cosa implichi;
► pigrizia e/o noncuranza – gli autori delle Linee guida e del comunicato stampa ignoravano cosa fosse una rima buccale e si sono limitati a riportare pedissequamente il riferimento senza preoccuparsi di capirlo e spiegarlo.
In entrambi i casi mi pare si tratti di comunicazione pubblica inadeguata e quindi di mancanza di rispetto per i milioni di cittadini a cui ci si rivolge.
Questioni di terminologia (e di distanziamento)
Per me è anche l’ennesima dimostrazione che nelle nostre istituzioni manca del tutto una cultura terminologica, fondamentale invece per i comunicatori pubblici perché li aiuterebbe a rendere i loro testi più accessibili ai cittadini. Come già descritto in Terminologia e comunicazione, se si hanno le competenze per individuare i concetti – e quindi i termini che li designano – diventa più semplice capire quali richiedono spiegazioni o esempi per risultare comprensibili.
È inoltre molto importante la coerenza terminologica che privilegia l’approccio un concetto ➝ un unico termine ed evita di ricorrere a sinonimi che rischiano di creare ambiguità e confondere gli interlocutori.
Purtroppo sono nozioni ignorate dagli autori delle Linee guida del ministero. Nel documento, ad esempio, si trovano occorrenze di distanza di cortesia, distanza sociale, distanza interpersonale, distanziamento fisico, distanziamento interpersonale, distanziamento tra le persone. Stesso concetto o concetti diversi?
Impossibile dirlo perché non c’è un glossario e neppure singole definizioni e l’uso dei diversi termini a volte appare contraddittorio. Alcuni esempi:
1 | Nelle misure organizzative generali della scuola il principio del distanziamento fisico rappresenta un aspetto di prioritaria importanza e di grande complessità. […] |
2 | Anche per le attività scolastiche, pur in presenza di specificità di contesto, restano validi i principi cardine che hanno caratterizzato le scelte e gli indirizzi tecnici quali: 1. il distanziamento sociale (mantenendo una distanza interpersonale non inferiore al metro); 2. la rigorosa igiene delle mani, personale e degli ambienti; […] |
3 | Per le attività di educazione fisica, qualora svolte al chiuso (es. palestre), dovrà essere garantita adeguata aerazione e un distanziamento interpersonale di almeno 2 metri (in analogia a quanto disciplinato nell’allegato 17 del DPCM 17 maggio 2020). Nelle prime fasi di riapertura delle scuole sono sconsigliati i giochi di squadra e gli sport di gruppo, mentre sono da privilegiare le attività fisiche sportive individuali che permettano il distanziamento fisico. […] |
4 | …il rito frequente dell’igiene delle mani, la protezione delle vie respiratorie, la distanza di cortesia, potranno diventare nuove “routine” da vivere con serenità e gioiosità. |
5 | Eliminare elementi d’arredo inutili e non funzionali che non garantiscono il distanziamento sociale tra le persone che frequentano gli ambienti (lavoratori, clienti, fornitori) |
Come già indicato in Distanza: sociale, fisica, interpersonale, su questi termini viene spesso fatta confusione e le Linee guida non fanno eccezione. Nell’esempio 2 distanziamento sociale dovrebbe indicare, correttamente, un insieme di misure di contenimento, mentre in 5 pare invece significare distanza di sicurezza interpersonale. In 1 non è chiaro se distanziamento fisico vada inteso come distanziamento sociale o come distanza interpersonale, e in 3 non si capisce se distanziamento interpersonale e distanziamento fisico siano usati come sinonimi o indichino invece due concetti diversi. Distanza di cortesia in 4 appare un’unica volta, in un riferimento ai bambini più piccoli (età prescolare e che iniziano la scuola primaria).
Incongruenze terminologiche simili si riscontrano anche nei riferimenti alle diverse azioni di Sanificare, igienizzare, disinfettare, sanitizzare e all’uso di saponi, detergenti, detersivi, disinfettanti e prodotti igienizzanti: le differenze o eventuali sinonimie non sono chiarite esplicitamente.
Potrei fare altri esempi ma credo questi siano sufficienti a ribadire perché sarebbe auspicabile un approccio terminologico sistematico nella comunicazione pubblica. Identificare i concetti e i termini che li rappresentano e descriverli con definizioni adeguate consentirebbe ai comunicatori di avere una visione più precisa e ragionata della materia e quindi di presentarla più chiaramente, riducendo le ambiguità. Metterebbe inoltre a disposizione dei cittadini riferimenti specifici da poter consultare facilmente, come ad es. glossari di riferimento.
Vedi anche:
La “regola droplet”, invenzione dei media? per un altro esempio di termine specialistico usato a sproposito nella comunicazione pubblica. Nelle linee guida per la scuola droplet appare in un elenco di criteri per decidere misure specifiche: Il rischio connesso alle principali vie di trasmissione (droplet e contatto) in particolare alle contaminazioni da droplet in relazione alle superfici di contatto.
Anglicismi: Gruppo Incipit contro MIUR per altri esempi di comunicazione oscura e poco efficace dovuta a mancanza di conoscenze e competenze terminologiche.
Definizione di rima buccale dall’Enciclopedia Treccani (1930); nel linguaggio medico rima è una fessura lineare posta tra due parti omologhe adiacenti.
Grazie a @aluollin per lo spunto per il post.
PS All’autore del comunicato stampa del ministero suggerirei un ripasso dell’uso della punteggiatura.
.mau.:
ma non è che sia un modo per dire “un metro di distanza laterale” ma un po’ di meno tra le file, visto che non ci sono labbra vicine essendoci il resto della testa?
granmadue:
Non conoscevo, fino a pochi minuti fa, il termine rime buccali. Ora che ne conosco il significato, trovo ancora più sorprendente che tra virgolette siano state messe tutte e quattro le parole rime-buccali-degli-alunni. Una scelta che sembra suggerire che le “rime buccali degli alunni” siano o abbiano qualcosa di particolare o esclusivo. Che per qualche loro particolare quanto misteriosa caratteristica, cioè, debbano distinguersi da quelle degli altri, dei non-alunni.
Incredibile.
Luca:
Mi viene da piangere, e non è per la commozione.
Luca:
@.mau. ma com’è scritto nell’articolo, perché non usare il vocabolo “bocca” o “labbra”?
alessandro:
Un qualunque redattore avrebbe anche rilevato incongruenze nell’uso delle «d» eufoniche (perché «ad oggi» ma «a aule»?) e più in generale delle preposizioni («inizierà settembre»), e anche delle virgolette (perché virgolette singole per ‘cruscotto’ e doppie per “rime buccali degli alunni”?).
E, a proposito di virgolette, mettere tra virgolette «rime buccali degli alunni» mi pare equivalga a indicare non tanto una particolarità loro (o degli alunni) quanto un’approssimazione, un «per così dire»: è come se avessero inteso «le cosiddette “rime buccali degli alunni”».
Ma anche «cruscotto»: non è precisamente la parola più adatta a indicare il sistema informatico che incrocia quei dati…
http://www.treccani.it/vocabolario/cruscotto
.mau.:
“Cruscotto” è l’italianizzazione di “dashboard”. La specificazione dei bambini è perché l’insegnante sta più lontano; detto tutto questo, concordo che “bocche” sarebbe stato più chiaro, ma continuo a pensare che bastava dire “di fronte o lateralmente un metro”.
Licia:
@.mau testa e corpo si girano facilmente (i bambini non hanno problemi di cervicale!!), quindi la misurazione da bocca a bocca è un criterio poco comprensibile e non a caso i media ne hanno dato interpretazioni diverse. L’impressione è che si tratti di un escamotage per poter fare stare più banchi in uno spazio limitato, rafforzata dal ricorso a un termine anatomico estremamente preciso ma oscuro.
Concordo con @Luca: cosa fa preferire rima buccale a bocca o labbra? A questo proposito, mi pare perfetta questa rielaborazione di Stefano Motta vista su Twitter:
@granmadue, @Alessandro colpisce davvero la scarsa attenzione non solo alle scelte terminologiche e lessicali ma anche alla punteggiatura (ci sono anche refusi, ad es. manca una a davanti a settembre), ed è solo la punta dell’iceberg. Non occorre neppure leggere le linee guida: basta scorrere il documento per notare a colpo d’occhio che sono stati usati tipi di carattere diversi, come se fosse frutto di un copia e incolla da varie fonti senza alcun tentativo di revisione per rendere uniforme e più coerente l’insieme. Dal Ministero dell’Istruzione ci si aspetta più attenzione anche a questi particolari, soprattutto se si considera che hanno avuto vari mesi a disposizione per produrre queste linee guida e che era facilmente prevedibile che il comunicato stampa avrebbe avuto una grande visibilità.
Carlo:
La deviazione e la caduta laterale della rima buccale possono essere un segno di ictus cerebrale o di paresi facciale.
Enrico:
+Mi permetto: credo che non ci sia da stupirsi di questi vocaboli “strani”… I politici parlano una lingua, il politichese, a noi semisconosciuta di cui riusciamo a riconoscere, in qua ed in la, qualche vocabolo… La loro primatia missione è quella di farci sentire “ignoranti” e di farci “confondere”… Non per niente l’Italia è uno se non il primo paese al Mondo con il più alto numero di leggi e normative… Molte delle quali alla fine dicono l’opposto rispetto a come erano nate inizialmente ed è per questo che la legge italiana è “interpretativa”… Cosa che invece non dovrebbe essere … e giustamente gli avvocati “godono” su questa situazione in cui “tu cittadino hai ragione e puoi vincere ma comunque sia hai perso e devi pagare e viceversa”… Detto questo, ritornando ai politici che emanano, sanciscono , pubblicano, dicono, utilizzando questo lessico aulico, molte volte utilizzato per riempirsi la bocca di belle frasi che alla fine non hanno senso e per allungare semplicemente un testo ssnsa dire niente, vogliono dimostrarci quanto loro siano bravi e noi dei poveri “ignoranti”…
Massimo:
Mi vergogni di essere rappresentato da queste persone indegne. La nostra lingua è così complicata ma anche semplice per comunicare. Basta il buonsenso
Flavia:
Penso che la distanza “da bocca a bocca” fra gli studenti si riferisca a quando stanno seduti al proprio banco: non potranno più mettersi “in banco assieme” e cioè accostare i singoli banchetti e in questo modo accorciare la distanza interpersonale. A me non è chiaro però il concetto di “distanza di cortesia”: di quant’è e a chi si applica nell’ambiente scolastico? Suggerisce l’idea del “mettersi in fila” ma non a scuola, piuttosto alla posta, in banca.
Maria Paola:
Oltre alla sciatteria e alla mancanza di rispetto per chi legge, evidenziate negli altri commenti, credo che conti anche il concetto stilistico inculcatoci a scuola che le ripetizioni siano da evitare, e debbano essere sostituite con un sinonimo o una perifrasi: ma questo non dovrebbe valere per testi normativi o in tutti i casi in cui è importante la corrispondenza precisa tra significante e significato.
emanuela:
Stupirsi o non stupirsi, questo non e’ il punto. La comunicazione, in particolare a livello istituzionale ed ufficiale, deve INCLUDERE, non ESCLUDERE gli interlocutori; dobbiamo esigere che sia chiara e trasparente. Famiglie, anziani, gli stessi studenti sono di gruppi linguistici, culturali e socioeconomici diversi e la comunicazione deve essere strutturata e pensata con questo tipo di destinatari in mente. Stiamo parlando della scuola di stato, non di un ente privato! E lo stato italiano e’ fatto di voci diverse.
efano:
@Maria Paola sono d’accordo con te, l’incubo della ripetizione è stato radicato in noi da tutte le maestre delle elementari e purtroppo continua ancora oggi a essere instillato: mia figlia ha appena finito la scuola media, ha un’insegnante di italiano bravissima ma le segnava errore a ogni parola ripetuta anche a 5-6 righe di distanza. Una fissazione che non aiuta certo a esprimersi più chiaramente.
Paolo:
Il problema della terminologia legale e della pubblica amministrazione è enorme e antico. Qualcosa che ne cela uno ancora più grosso: sembra che i burocrati (sono loro, alla fine, a scrivere leggi e regolamenti) siano scelti accuratamente tra i più ottusi e incapaci. Oltre allo stile involuto, oscuro e spesso ambiguo, le incongruenze logiche, gli insulti al buon senso sono presenti nella maggior parte degli atti governativi e della PA. Il rispetto ai cittadini, comunque, è quanto di più lontano dalle preoccupazioni della PA e della politica.
Hybris_Dike:
Ai commenti che ho letto, praticamente tutti condivisibili, aggiungerei che le carenze degli estensori delle disposizioni e dei comunicati governativi e della PA si possono classicamente suddividere nelle due tipologie di forma e di contenuto e le terrei distinte perché hanno origini diverse e quindi necessitano di contromisure differenti.
Quelle di forma (lo stesso concetto espresso con termini diversi o viceversa, terminologia oscura o inappropriata, etc.) derivano a mio parere da scarsa cultura e da “sciatteria cerebrale”; la prova se ne può avere dalla tipica replica: “Ma tanto si capisce lo stesso” pronunziata magari con la parlata romanesca e la cadenza strascicata…
Quelle sui contenuti (espressioni ampollose, frasi roboanti, italiano approssimativo, incoerenze logiche, etc.) derivano da un livello intellettuale inadatto a scrivere correttamente documenti prescrittivi (disposizioni, ordinanze, etc.) o descrittivi (relazioni, comunicati, etc.). Definire costoro come “ottusi e incapaci” mi trova emotivamente d’accordo come epiteti utilizzati, ma il problema fondamentale è che l’inidoneità al ruolo di quelli incaricati a redigere i documenti prima citati dipende in larga misura dalla sottovalutazione da parte dei “decisori” dell’importanza del ruolo e della difficoltà ad assolverlo efficacemente. In altri Paesi (non tutti, per nostra fortuna non siamo l’ultima ruota del carro) le classi dirigenti sono molto più consapevoli della criticità di una buona comunicazione scritta in tutti i campi in cui incomprensioni o fraintendimenti del testo o dei simboli utilizzati possono avere conseguenze rilevanti.
Il problema non è solo relativo ai comunicati della PA, ma è molto più esteso: ne è affetta gran parte delle disposizioni nel mondo lavorativo (procedure, istruzioni di lavoro, relazioni tecniche, etc.) ed è esploso con l’avvento di Internet e con l’occupazione degli spazi comunicativi da parte di gentaglia il cui unico interesse è avere tanti click e like esclusivamente per motivi economici, purtroppo favoriti in questo scopo da una massa sterminata di “affluenti eterodiretti” che li supportano con i loro comportamenti.
Ma il discorso si allargherebbe troppo e diventerebbe “Off Topics” rispetto al tema iniziale…