Nelle notizie di politica italiana hanno avuto rilievo gli incentivi, le agevolazioni e gli aiuti alle famiglie del nuovo Family Act approvato dal Consiglio dei Ministri l’11 giugno 2020.
Nel nome Family Act riconosciamo subito la formula ormai familiare X Act, modellata su Jobs Act e poi adottata per Digital Act, Food Act, Social Act, Student Act, Tourism Act e altri provvedimenti di vario genere.
Nelle comunicazioni governative e dei media Family Act identifica un disegno di legge che elenca una serie di principi e criteri direttivi per stabilire “misure per il sostegno e la valorizzazione della famiglia”, al momento però non ancora delineate: il testo del DDL contiene solo indicazioni per futuri provvedimenti ma nessun dettaglio concreto.
Un Act che non lo è
Il nome Family Act è un’ulteriore dimostrazione che chi è al governo ignora il significato della parola inglese act in contesto legislativo e le attribuisce un’accezione inesistente, trasformandola così in uno pseudoanglicismo.
In inglese infatti act ha il significato specifico di “atto legislativo approvato dal parlamento e promulgato dal capo dello stato” ed è quindi improprio descrivere come act un disegno di legge, che in inglese si chiama invece bill: dettagli in Get your [Jobs] Act together!
Inglesorum per tutti
Errori a parte, trovo in ogni caso ridicolo che per rivolgersi ai cittadini italiani il governo italiano preferisca l’itanglese Family Act a una descrizione italiana come disegno di legge per la famiglia.
Credo però di avere capito perché la formula X Act piace tanto ai nostri politici. La parola di origine latina act è trasparente anche se non si parla inglese: richiama action e rimanda ad azione, messa in atto. È perfetta per comunicare indirettamente l’idea di fare, agire, procedere e quindi anche raggiungere risultati, senza però affermarlo esplicitamente.
Act consente di lasciare intendere anche qualcosa che in effetti non c’è ancora, come nel caso di Family Act che ci è stato presentato come riforma innovativa anche se il nuovo disegno di legge per ora è solo un progetto e non contiene alcuna misura concreta. Il nome Family Act appare quindi un tipico esempio di inglesorum usato ad effetto per rendere più attraenti, più appetibili o più importanti concetti che con un nome italiano risulterebbero meno facilmente mascherabili.
Sono sicura che i nostri politici non lo ammetterebbero mai, come ero sicura che la ministra Bonetti o i suoi collaboratori non avrebbe mai risposto al mio tweet dello scorso ottobre con richiesta di chiarimenti sulla preferenza per un nome inglese:
Aggiornamento – Il disegno di legge è stato approvato dal Consiglio dei ministri e presentato al Parlamento il 25 giugno 2020. Il titolo definitivo è Deleghe al Governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia e nel testo non appare mai l’anglicismo Family Act.
Ovviamente nessuna risposta neppure a un tweet successivo.
Vedi anche: Elenco di anglicismi istituzionali
Mauro:
Ma se buona parte del governo (e del Parlamento) neanche sa l’italiano, come puoi pretendere che sappia l’inglese?
Luigi:
Basta di questi anglicismi inutili!!!