Nelle notizie del 2 marzo 2020 sulle misure urgenti del governo per gestire l’emergenza epidemiologica da COVID-19 è ricorrente l’anglicismo droplet. Alcuni esempi di titoli:
A seconda delle testate, droplet sarebbe il nome di una regola, di una norma o di un criterio, oppure una misura che determina la distanza che impedisce il contagio del coronavirus.
Se però si consulta il Decreto del presidente del consiglio dei ministri del 1 marzo 2020, non c’è nessuna occorrenza di droplet, e neppure nel comunicato stampa del Ministero della Salute. Sarei molto curiosa di sapere perché i media hanno deciso che droplet dovesse diventare la nuova parola chiave e se si rendono conto che la usano impropriamente.
Droplet in inglese
In inglese droplet è una parola generica del lessico comune che vuol dire gocciolina. In ambito medico ha subito un processo di terminologizzazione e ha assunto un significato più specifico:
Come termine medico, droplet indica una delle innumerevoli goccioline di secrezioni respiratorie e salivari, di diametro minimo di 5 µm per alcune fonti, che vengono espulse quando si starnutisce e si tossisce, possono coprire distanze fino a 2 m e rimangono per un breve tempo sospese nell’aria. Sono una fonte comune di diffusione di agenti patogeni da una persona all’altra.
In inglese però non esistono concetti medici identificati da locuzioni come droplet rule o droplet criterion, e neppure droplet distance, quindi non si capisce l’origine di espressioni ibride come regola del droplet o criterio Droplet o distanza droplet .
Aggiornamento: per capire l’uso del termine droplet in relazione alle misure per limitare il contagio è necessario fare riferimento alle diverse modalità di trasmissione di virus respiratori, un’informazione che i media non hanno fornito e che ho aggiunto alla fine del post.
Droplet in italiano
Nelle pagine del Ministero della Salute sui virus rivolte a tutti i cittadini, quindi testi non specialistici, non viene mai usato l’anglicismo.
Alcuni esempi da FAQ – Nuovo Coronavirus COVID-19:
Come si trasmette il coronavirus: la via primaria sono le goccioline del respiro delle persone infette […] Il nuovo coronavirus è un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso il contatto con le goccioline del respiro delle persone infette […] il virus è contenuto nelle goccioline di saliva e può essere trasmesso col respiro a distanza ravvicinata […] |
Altri esempi da Nuova influenza da virus A(H1N1) (la cosiddetta “influenza suina”):
L’influenza da virus AH1N1 si trasmette attraverso le goccioline di saliva e secrezioni respiratorie in maniera diretta (tosse, starnuti, colloquio a distanza molto ravvicinata), ma anche indirettamente (dispersione delle goccioline e secrezioni su oggetti e superfici) |
Solo in alcune pagine più tecniche l’anglicismo è indicato, ma appare tra parentesi. Esempi:
· secrezioni salivari (droplets)
· goccioline respiratorie (droplet)
· goccioline di secrezioni respiratorie (droplet)
Stesso approccio nel sito dell’Istituto Superiore di Sanità.
L’uso da parte dei media appare quindi ingiustificato, soprattutto durante un’emergenza: la comunicazione deve essere il più chiara possibile, comprensibile anche da chi non parla inglese, e la terminologia deve essere coerente con quella usata dalle istituzioni.
Mi pare che i media facciano anche molta confusione e non si chiedano come una singola gocciolina possa dare il nome a regole di comportamento o a norme legislative (varie occorrenze di Droplet con l’iniziale maiuscola!), o rappresenti addirittura una distanza di sicurezza o un’unità di misura.
Alcuni esempi:
◆ Il termine inglese si può tradurre letteralmente con «gocciolina» ma in realtà indica il criterio di tenersi alla giusta distanza affinché le «goccioline di saliva» non arrivino agli altri ◆ viene usato per indicare la distanza minima necessaria per impedire che le "goccioline di saliva" non arrivino ad altre persone ◆ si introduce la regola ‘droplet’, affinché venga garantita la distanza tra le persone di almeno un metro l’una dall’altra ◆ Il primo giorno del droplet, l’indicazione da parte del governo sui comportamenti da tenere negli esercizi pubblici e attività commerciali per evitare il contagio da coronavirus ◆ [ristoranti e bar] saranno soggetti al cosiddetto “criterio droplet”, ovvero il mantenimento di una distanza di almeno un metro tra i clienti ◆ la parola d’ordine sarà droplet, che è calcolata in almeno un metro di distanza ◆ Uno dei primi esempi di applicazione del “droplet” si è visto ieri in Vaticano per gli ingressi a Piazza San Pietro
Non ho seguito molto le notizie nei giorni scorsi e quindi non so se magari l’anglicismo droplet possa essere stato usato in programmi televisivi da qualche virologo o epidemiologo con un’accezione specialistica e poi reinterpretato a proprio modo dai media.
Ho però una certezza: l’abuso di anglicismi è inversamente proporzionale all’effettiva conoscenza dell’inglese. E ai giornalisti suggerirei di verificare i criteri di condotta di Francesco Sabatini sull’uso degli anglicismi:
Si può inoltre riflettere sull’opportunità di usare nuovi anglicismi nella comunicazione pubblica in una situazione di emergenza: quanti cittadini capiscono davvero cosa vuol dire droplet?
Grazie a @gabrinterprete per lo spunto e per il dettaglio di un’assurdità che ha sentito dire da una giornalista in televisione: “bisogna rispettare il droplet”.
Aggiornamenti
Aggiungo la sintesi dell’epidemiologo Paolo D’Ancona che spiega perché in ambito sanitario è stato usato il termine droplet per descrivere la trasmissione della malattia COVID-19, causata dal virus SARS-CoV-2:
In ambito specialistico si tratta quindi di distinguere tra due diversi tipi di trasmissione di virus respiratori, 1 via aerea o aerosol (particelle di dimensioni inferiori a 5 µm che permangono sospese a lungo nell’aria) e 2 via droplet (goccioline di secrezioni respiratorie). Hanno implicazioni diverse non solo per la distanza minima di sicurezza ma anche di tipo pratico e organizzativo perché determinano il tipo di dispositivi di protezione individuale (DPI) necessari al personale sanitario per evitare il contagio. Peccato che non si riesca a ricavare facilmente questo tipo di informazione da nessuno dei media che ha usato l’anglicismo!
A quanto pare il primo riferimento pubblico a droplet è stato fatto il primo marzo dal presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, in un’intervista sulla bozza del decreto poi uscito il 1/3/2020: “con le limitazioni del droplet”, “con la distribuzione droplet per i cittadini”, “abbiamo chiesto che venga inserita la partita del droplet”, “garantire il droplet”, “droplet vuol dire un metro di distanza”. Chi ha raccolto le dichiarazioni purtroppo non ha chiesto alcuna delucidazione.
Un articolo di Il Mattino di Padova, Coronavirus, cosa è il droplet e perché riguarda musei, chiese e centri commerciali, aveva preso spunto dalle parole di Zaia per dare una spiegazione del concetto medico di droplet in relazione alla trasmissione del virus, senza però trasformarlo in un nome di regola o norma o in una specie di unità di misura di contagio come invece hanno fatto in seguito gli altri media.
Aggiornamento 4 marzo – In una prima bozza del 29 febbraio di quello che è poi diventato il Decreto del presidente del consiglio dei ministri del 1 marzo 2020 si trovano due occorrenze di (cosidetto “criterio droplet”), in note tra parentesi poi eliminate dalla versione definitiva. A quanto pare i media hanno usato come riferimento solo la bozza del decreto, senza preoccuparsi di verificare se il testo finale fosse stato modificato (grazie ad @AlessiaBerti per la segnalazione).
Altre osservazioni nei commenti qui sotto e in un nuovo post, Lockdown vs distanziamento sociale; cfr. in particolare la nuova locuzione distanza interpersonale, il termine che ora viene usato dal Ministero della Salute per la distanza di sicurezza da tenere tra persone per impedire il contagio.
Aggiornamento 7 aprile 2020 – Nel nuovo post Distanza: sociale, fisica, interpersonale altre considerazioni, con l’esempio della distanza minima che va tenuta negli Stati Uniti, 6 piedi, che era stato convertito con precisione eccessiva in 1,82 m in alcuni articoli in tema droplet.
Aggiungo anche il riferimento a un nuovo documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 29 marzo 2020, Modes of transmission of virus causing COVID-19: implications for IPC precaution recommendations. In inglese i due tipi di trasmissione di virus respiratori sono identificati come 1 airborne transmission, attraverso particelle di diametro <5 μm denominate droplet nuclei, e 2 droplet trasmission, attraverso respiratory droplet di dimensioni >5 μm.
In tema emergenza coronavirus:
► Coronavirus: è infodemìa
► COVID-19 non è il virus ma la malattia!
► Coronavirus: conteggi errati di “ricoverati”
► Il curioso caso degli hashtag con errore
Vedi anche: Elenco di anglicismi istituzionali
Paolo:
Mi piacerebbe sapere la tua opinione sulla misura esatta di 1,82 m nel titolo “Coronavirus: mantenersi a distanza sì, ma quanto? Un metro poco, uno e 82 più sicuro”.
Licia:
@Paolo, avrebbe avuto molto più senso dire circa 2 metri anziché fornire una misura “al centimetro” che è la conversione di 6 feet, sicuramente da fonte americana. L’incapacità di distinguere tra misure precise e approssimative purtroppo è diffusa: altri esempi in Problemi di conversione (e di localizzazione), Precisione tedesca esagerata! e Rifiuti sull’Everest malamente quantificati.
Cinzia:
Segnalo che nella Direttiva n. 2/2002 a firma del Ministro per la Pubblica Amministrazione (a pag. 3) si parla di “distanza di sicurezza interpersonale (c.d. distanza droplet)”.
http://www.funzionepubblica.gov.it/sites/funzionepubblica.gov.it/files/Direttiva_2_20.pdf
FF:
A proposito di invenzioni dei media, su Repubblica del 13 marzo il “dossier” sembra diventato una persona:
Titolo:
Coronavirus, la Germania invierà un milione di mascherine all’Italia
Sottotitolo:
Lo rivela fonti vicino al dossier del ministro della Salute, Jens Spahn.
Poi stendiamo un velo sul traballante italiano di tutta la frase…
Mau:
Ho sentito un medico, virologo, affermare nel corso di un suo intervento televisivo: “Bisogna rispettare la distanza sociale, quella che noi specialisti chiamiamo dropLESS”.
Si tratta di una variante di “droplet” oppure è un errore di pronuncia?
Licia:
@Cinzia grazie per il riferimento, in particolare a distanza [di sicurezza] interpersonale, un’ottima soluzione che mi pare sempre più diffusa anche perché ora è usata anche nel sito del Ministero della Salute. Nel frattempo droplet è apparso anche altrove, ad es. sabato 21 marzo in un’ordinanza della Regione Lombardia:
Mi domando per quanti cittadini lombardi l’inciso fatto salvo il distanziamento (droplet) risulti comprensibile. Eppure in questa situazioni di emergenza è fondamentale che la comunicazione sia il più chiara possibile!
@FF non mi è mai capitato di vederlo, forse un refuso o un copia e incolla frettoloso?
@Mau presumo un errore. Se avesse voluto dire distanza che garantisce non si entri in contatto con goccioline avrebbe dovuto dire “dropletless” perché in ambito medico il termine è droplet e non drop, la goccia. Temo inoltre che abbia tradotto letteralmente distanza sociale dall’inglese social distance che rischia di essere confuso con un concetto diverso, il distanziamento sociale (le azioni di contenimento per rallentare o fermare la diffusione di una malattia contagiosa, in inglese social distancing). Come già indicato, il Ministero della Salute invece usa distanza interpersonale e indica che deve essere “di almeno un metro”.
Cheshire_ari:
Sono sicura che la ragione per cui viene utilizzato “droplet” è che è un termine tecnico normalmente usato dagli addetti ai lavori, la traduzione “gocciolina di saliva” è una perifrasi utilizzata solo come spiegazione per chi non ha mai sentito la parola. In ambito biologico è una cosa molto comune, basti pensare a “fitness”, ovvero successo riproduttivo di un animale, “intake” per introito di nutrienti, “feedback” per risposta ad uno stimolo elettrico/chimico.
Io solitamente preferisco mantenere i termini originali, nel caso spiegati brevemente, in modo da rendere più fluida la discussione e non creare eccessiva distanza tra un eventuale esperto chiamato a parlare e la popolazione non competente.
Licia:
@Cheshire_ari grazie per il commento. Il punto è proprio “termine tecnico normalmente usato dagli addetti ai lavori” e quindi inadatto per una comunicazione che deve raggiungere ed essere comprensibile da tutti i cittadini in un momento di emergenza.
Va sempre ricordato che la lingua è un sistema multidimensionale e le scelte linguistiche, tra cui quelle terminologiche e lessicali, dipendono da molte variabili.
In questo caso credo sia significativo che distanza / regola / misura droplet siano praticamente scomparsi dai media, a favore di distanza di sicurezza e distanza interpersonale, a dimostrazione che per denominare questo concetto il riferimento a droplet non era necessario (al cittadino non è necessaria la distinzione specialistica tra droplet e aerosol per imparare a quanta distanza deve stare dalle altre persone).
Sull’uso degli anglicismi nella comunicazione istituzionale, alcune considerazioni in Le comunicazioni istituzionali e il rischio dell’inglese farlocco; ribadisco anche i criteri di condotta indicati da Sabatini qui sopra.
Nel nuovo post Respiratori e ventilatori: attenzione alla traduzione! qualche altra considerazione sulle variabili da considerare nelle scelte terminologiche e di traduzione: spesso non esiste un’unica soluzione.
FRANCA BONARI:
GRAZIE DI CUORE PER LE PREZIOSE INFORMAZIONI SUL SIGNIFICATO DI DROPLET E SULLE DISTANZE INTERPERSONALI E DI SICUREZZA. TUTTI DOVREBBERO INFORMARSI SOPRATTUTTO CHI FIRMA I DECRETI !
Cordiali Saluti
Franca dalla Toscana
Lorenzo:
Buondì.
Se lasciamo impunemente (e scioccamente) passare nel nostro linguaggio anche questo ennesimo orrendo anglicismo, dopo il recente “l…down”, allora siete (siamo) davvero tutti rincoglioniti!
Ma possibile che nessuno, senza bisogno di un’ Autorità linguistica (che giammai avemmo per nostra penosa falla), difenda il nostro prezioso idioma dai prorompenti, e ormai desolatamente pervasivi, forestierismi?!
Io mi rifiuto di accettare tale continuo scempio.
Io fieramente dico e scrivo: BLOCCO.
E sono rimasto alle vecchie, più simpatiche, goccioline (di Plugge)!
Lorenzo:
Buondì.
Se lasciamo impunemente (e scioccamente) passare nel nostro linguaggio anche questo ennesimo orrendo anglicismo, dopo il recente “l…down”, allora siete (siamo) davvero tutti rincoglioniti!
Ma possibile che nessuno, senza bisogno di un’ Autorità linguistica (che giammai avemmo per nostra penosa falla), difenda il nostro prezioso idioma dai prorompenti, e ormai desolatamente pervasivi, forestierismi?!
Io mi rifiuto di accettare tale continuo scempio.
Io fieramente dico e scrivo: BLOCCO.
E sono rimasto alle vecchie, più simpatiche, goccioline (di Pflugge)!
Licia:
@Lorenzo grazie per il contributo ma non mi è chiaro a chi è rivolto il messaggio, in particolare la minaccia di BLOCCO.
In ogni caso, penso sia utile analizzare il fenomeno dei forestierismi evitando catastrofismi ed estremizzazioni e tenendo presente la distinzione, se rilevante, tra lessico comune, in particolare la comunicazione che deve raggiungere tutti i cittadini, e linguaggi settoriali. In questo caso il termine scientifico usato dagli epidemiologi italiani è da tempo droplet e non sarebbe molto sensata una richiesta di cambiamento però, come spero di essere riuscita a spiegare nel post, non è necessario ricorrere al termine specialistico nella comunicazione istituzionale.
Altre dettagli sulle considerazioni necessarie nell’analisi dei forestierismi in Anglicismi, che passione!?