Qualche anno fa in Odore di “freschìn”, una questione di DNA?!? avevo descritto un odore sgradevole per me inconfondibile, lasciato da uova o pesce sulle stoviglie, che però non ha un nome italiano. Avevo notato che solo chi parlava una lingua o un dialetto in cui esisteva una parola era in grado di percepire l’odore e mi ero chiesta se potesse esserci un legame tra lingua e genetica.
Finalmente ho una risposta, grazie ad Anna D’Errico, neuroscienziata esperta di olfatto e autrice del libro Il senso perfetto. Mi fa molto piacere ospitarla sul blog con un intervento sui diversi aspetti di tipo biologico, psicologico e culturale che possono intervenire nella percezione degli odori e che possono riflettersi anche nella lingua.
Buona lettura!
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Le parole dell’olfatto…
di Anna D’Errico
Mi è stato chiesto recentemente della “spussa de freschin”, ovvero se ci sia effettivamente una molecola che corrisponda a questo odore.
La spussa di freschin è un termine veneto usato in dialetto già dal XIII secolo per indicare la puzza di pesce sulle mani dei pescivendoli e delle stoviglie usate. E, come spesso avviene con certe parole, richiama tutto un immaginario culturale e sociale: d’altra parte sappiamo che la lingua riflette anche il modo di pensare e gli immaginari di chi la parla. Le forme dialettali non sono da meno, ecco un altro dei motivi per cui funzionano e, anzi, a volte sembrino rendere il concetto e lo stato d’animo che si vuole esprimere meglio di altri termini in italiano.
Una delle molecole che caratterizza l’odore di pesce, soprattutto di qualche giorno, è la trimetilammina.
La domanda è: il freschìn si riferisce a questo?
Nì, sicuramente quando fu coniato il termine non si conosceva il legame tra trimetilamina e puzza di pesce; inoltre gli odori come li percepiamo sono il risultato di un mix di molecole, alcune più caratterizzanti di altre, quindi in questo caso per “freschin” è più corretto prenderne il riferimento qualitativo alla puzza di pesce in quel preciso contesto piuttosto che a una molecola specifica.
Vi è poi un’altra questione: perché non si riesce a trovare un equivalente del termine freschin in altre lingue e dialetti? Sarà forse perché tra la popolazione vi è una differenza genetica nella capacità di percepire quell’odore?
La risposta non è semplice e sono coinvolti diversi fattori. Innanzitutto, dal punto di vista più linguistico, ci troviamo di fronte a una situazione simile a numerosi altri casi: ogni lingua e dialetto ha parole “non traducibili” e questo è un fatto principalmente culturale, ma che si riflette effettivamente anche sulla percezione (è un discorso ampio, ma in generale, il fatto di avere un termine linguistico o un segno per una determinata cosa/percezione ne favorisce la percezione stessa). Sul come poi certi termini nascano e si diffondano lascio la parola agli esperti di linguistica. Ciò che però posso dire è che, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, in questo senso non c’è una base strettamente genetica. Ci sono molti studi in corso perché olfatto e linguaggio è un campo particolarmente complicato da esplorare, ma intanto i punti fondamentali:
1. Culture e lingue diverse hanno lingue e linguaggi per gli odori molto diversi e, mediamente, quelle occidentali sembrano essere meno ricche di altre: per esempio, alcune popolazioni indonesiane (come i Maniq) parlano delle lingue, della famiglia austroasiatica, in cui il vocabolario linguistico olfattivo è ricco, preciso e variegato. Inoltre queste popolazioni usano i termini olfattivi con la stessa dimestichezza e precisione di quelli visivi o auditivi.
2. Asifa Majid e altri scienziati hanno studiato a fondo la questione per capire se tali differenze fossero di tipo neurolinguistico o culturale e, dopo numerosi esperimenti e osservazioni sul campo, sono giunti alla conclusione che sono di origine principalmente culturale: insomma non siamo così – incapaci di sviluppare un linguaggio olfattivo adeguato – dalla nascita. Infatti, uno degli articoli scientifici pubblicati nel 2014 sull’argomento ha come titolo: “Odors are expressible in language, as long as you speak the right language”, insomma possiamo esprimere gli odori a parole, a patto di parlare la lingua giusta.
3. Ci sono poi altre questioni legate a come funziona l’olfatto, per cui la percezione è molto soggettiva e influenzabile, non è facile trovare e mettere a punto uno "standard", e i descrittori linguistici sono di tipo prevalentemente qualitativo.
4. La questione riguardo alcune varianti genetiche, come nel caso del gusto per l’amaro o il coriandolo, entra in gioco nelle variabilità individuali di percepire alcune molecole specifiche, ma nel caso del freschin, per esempio, andrebbe dimostrata ed è un’operazione difficile. Anche perché, come dicevamo, il termine fa riferimento non necessariamente a una molecola specifica, ma a una percezione odorosa che è anche legata a un universo mentale e socio-culturale caratteristico.
Nella percezione degli odori sono coinvolti molti aspetti differenti, di tipo biologico, psicologico e culturale. Per l’olfatto la faccenda è complicata dalla natura stessa dello stimolo sensoriale, gli odori, che sono molecole chimiche. Generalmente un odore è formato da un mix di molte molecole, nell’aroma del caffè, per esempio, ne troviamo almeno 400. È dalla loro combinazione che si genera quel determinato aroma. Tuttavia, non si è giunti ancora a un criterio chiaro e affidabile per classificare le molecole odorose e quelli usati sono di tipo qualitativo, non corrispondono a specifiche proprietà della struttura chimica di quella molecola. Ecco perché, per tornare al freschìn, il termine non può essere direttamente ricondotto a una specifica molecola.
Sul come poi ognuno di noi percepisca quelle molecole vi sono, invece sì, fattori anche genetici. Nel naso abbiamo circa 400 tipi diversi di recettori olfattivi e questi, in ognuno di noi, si presentano con delle varianti personali (si parla di alto polimorfismo genico): insomma così come ognuno ha una propria combinazione di colori per capelli e occhi, così ha anche un proprio portfolio di recettori olfattivi. E quindi, in un certo senso, ognuno ha una naso diverso e annusa il mondo un po’ a modo suo. Per via di questa variabilità, può inoltre capitare che qualcuno abbia delle anosmie specifiche, ossia sia incapace di sentire specifici odori o di sentirli meno di altri.
Anna D’Errico ha lavorato per diverso tempo sull’olfatto e il suo funzionamento facendo ricerca di base alla SISSA di Trieste e al Max Planck Institute a Francoforte, dove vive e lavora come ricercatrice. Si occupa inoltre di divulgazione scientifica e sviluppa progetti di arte e olfatto. Ha appena pubblicato un libro sull’olfatto: Il senso perfetto, mai sottovalutare il naso, nel quale c’è un capitolo su odori e linguaggio.
Trovate Anna sul blog Il senso perfetto, “di odori improbabili e puzze (im)possibili”, e su Instagram, dove ha iniziato a fare storie sul mondo di odori e olfatto: il_senso_perfetto/.
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Flavia:
L’ odore “da freschìn” è ineffabile; si può provare a descriverlo ma si rimane sempre insoddisfatti, come se mancasse sempre qualcosa… l’odore che rimane sulle mani, le stoviglie che sono entrate in contatto con il pesce e l’uovo crudo sì, ma anche la carne cruda sa “da freschìn” ( carne di coniglio e selvaggina ancor più); indumenti mal asciugati o ancora umidi di pioggia o nebbia, specialmente i colli di pelliccia… è un odore che io definirei ‘omeopatico’: la traccia, il passaggio di qualcos’altro di cui rimane come un’ombra, un’essenza. Luigi Meneghello in Maredè, maredè… BUR, 2002, pp.20-21 afferma che “l’odore ‘da freschìn’ è insieme disgustoso e delicato”; per me invece, non sempre è ‘disgustoso’: era anche l’odore con cui rientravano a casa i bambini dopo una giornata di giochi all’aperto d’inverno.
Paolo:
Da toscano trapiantato a Milano, mi ha sempre fatto simpatia l’espressione “sa di freschino”, che qui si usa riferita all’alone di odore che rimane ad esempio su un piatto in cui è stato un uovo. Espressione molto più leggera del corrispondente della mia zona d’origine: “sa di rézzo”.
Interessante che semanticamente questo odore venga inquadrato in zone diverse con parole diverse ma appartenenti al campo semantico che richiama il freddo (rézzo in toscano richiama a luoghi ventilati non battuti dal sole).
Flavia:
Aggiungiamo al tema (se non è già stato fatto) un interessante contributo di Vera Gheno su “Quell’odore particolare detto in Veneto freschìn” : https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/quellodore-particolare-detto-in-veneto-fresch%C3%ACn/255
in cui scopriamo – ed è vero – che è anche l’odore che rimane sul pavimento dopo aver passato lo straccio bagnato di acqua fredda e non perfettamente pulita.