Il 16 ottobre il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato in visita ufficiale alla Casa Bianca. La conferenza stampa di rito ha fatto notizia non solo per i vaneggiamenti di Donald Trump ma anche per le espressioni della persona alle sue spalle. Alcuni esempi di titoli:
Le immagini sono diventate virali ma nel descriverle la maggior parte dei media italiani ha identificato erroneamente la persona come traduttrice anziché interprete, dimostrando così di ignorare una differenza di base tra due professioni in apparenza simili ma che invece richiedono competenze, abilità e formazione diverse.
Il traduttore traduce in forma scritta testi scritti, di solito solo verso la propria madrelingua.
L’interprete traduce oralmente testi orali o scritti da una lingua a un’altra, con modalità di lavoro diverse a seconda della situazione e delle esigenze. Le più note sono:
- interpretazione simultanea – una traduzione in tempo reale, ad es. degli interventi di relatori durante una conferenza con molti partecipanti; l’interprete lavora in apposite cabine e il pubblico ascolta la traduzione mediante un auricolare;
- interpretazione consecutiva – una traduzione di interventi o conversazioni fatta sedendo vicino ai partecipanti, prendendo nota di quanto dicono per poi, a intervalli regolari, tradurre le loro parole. È l’attività in cui era impegnata l’interprete alla conferenza stampa di Trump e Mattarella.
Altri dettagli e descrizioni di altre tipologie di interpretazione, come lo chuchotage e il bidule, nel sito di Assointerpreti.
Tradurre e interpretare Trump
Tornando all’episodio alla Casa Bianca, l’interprete aveva sicuramente un compito molto difficile che richiedeva un enorme sforzo di concentrazione, che si rifletteva nelle sue espressioni. Trump infatti ha fatto molte affermazioni sconclusionate e/o dal significato dubbio, come ad es. “Syria may have some help with Russia, and that’s fine. It’s a lot of sand. They’ve got a lot of sand over there. So there’s a lot of sand that they can play with” [fonte: trascrizione della Casa Bianca].
Da tempo vengono discusse le difficoltà di tradurre professionalmente in un’altra lingua l’idioletto molto particolare di Trump, paradossalmente anche perché caratterizzato da parole brevi del lessico di base, molte ripetizioni e sintassi rudimentale.
Ho raccolto vari esempi e riferimenti in “Lost in Trumpslation” (ma non è un film), che ho aggiornato con un breve video che mostra Trump e l’interprete durante la conferenza stampa con Mattarella.
Interpretazione o interpretariato? C’è chi distingue tra professione (interpretariato) e attività (interpretazione), chi invece usa interpretazione per entrambe le accezioni, come era prassi nell’università che ho frequentato io (sono laureata in traduzione in quella che allora si chiamava Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori, a Trieste).
In Language: lingua e linguaggio un altro esempio di parole spesso confuse dai giornalisti che traducono superficialmente dall’inglese.
Watkin:
A latere, vorrei far osservare che a me sembravano solo le espressioni facciali di una persona concentrata ad ascoltarne un’altra, non ci ho letto un giudizio personale…
Licia:
@Watkin concordo in pieno.
Daniela:
Purtroppo è dura far entrare in testa alle persone (clienti privati, pubblica amministrazione, ecc.) che c’è una bella differenza tra un interprete e un traduttore. Al Tribunale Civile dove sono iscritta come CTU mi è stato detto recentemente: “Ma se Lei non fa anche l’interprete il giudice non la chiama”. Pazienza. Alla CCIAA invece fanno distinzione, fortunatamente!
anna giambagli:
la parola traduzione è iperonimo della parola interpretazione.
Licia:
@Daniela purtroppo temo siano differenze palesi solo per chi ha una formazione linguistica, però sono rimasta comunque sorpresa che nei media così tanti abbiano sbagliato. A proposito di terminologia non nota, per chi lavora in ambiti diversi potrebbero risultare oscure anche le sigle CTU (consulente tecnico d’ufficio) e CCIAA (camere di commercio).
@Anna, anch’io ho usato il verbo tradurre come iperonimo; questo però non esclude che interprete e traduttore di solito siano invece coiponimi. Ovviamente dipende anche dal sistema concettuale di riferimento: traduzione può essere sia iperonimo che coiponimo di interpretazione (ad es. nei corsi di laurea della mia vecchia università).
anna giambagli:
@ Licia. Se interprete e traduttore sono coiponimi, quale è il loro comune iperonimo?
Licia:
@Anna, riconsideriamo usando la terminologia della terminologia: in un sistema concettuale di professionisti le cui competenze principali sono di tipo linguistico, traduttore e interprete rappresentano due concetti coordinati. Non mi pare che in italiano ci sia una singola parola per esprimere il concetto sovraordinato, in inglese invece mi viene subito in mente linguist.
anna giambagli:
@Licia. Ragionando pure in termini di metalinguaggio (quantunque il concetto di “sistema concettuale” mi paia di ardua applicazione a una “comunità di professionisti”, e posto che traduttore e interprete non sono dei concetti bensì dei termini), è certamente vero che Traduzione e Interpretazione sono due attività coordinate, il che non equivale tuttavia a identificarle come coiponime.
Ranuncolo e Bucaneve sono certamente coiponimi di Fiore, Traduzione e Interpretazione non sono coiponimi visto che, come giustamente dici, non esiste una parola a essi sovraordinata. Infatti il termine (non concetto) sovraoordinato è “Traduzione” – non fosse altro in ragione del suo etimo – che sul piano applicativo si dirama in due bracci: scritto e orale, nel qual caso assume il nome di Interpretazione (non interpretariato, vi imploro per favore). Il ‘Linguist’ non ricomprende esclusivamente chi si occupa di questioni interlinguistiche ma anche e soprattutto chi si occuopa di questioni intraliguistiche.
Licia:
@Anna, questo è un post estremamente divulgativo, rivolto a chi non conosce la differenza tra traduttori e interpreti.
Temo che non mi sia del tutto chiaro quale sia la finalità dei tuoi commenti sull’iponimia in questo contesto, provo quindi a chiarire meglio quale era l’intento del post, con la premessa che uso l’approccio tipico del lavoro terminologico.
Con l’affermazione che il traduttore traduce in forma scritta e l’interprete in forma orale ho evidenziato la caratteristica distintiva che consente di differenziare le due professioni: è la variazione scritto / parlato nel tipo di produzione (ma potremmo considerare anche un altro tipo di produzione, i segni della LIS o altra lingua dei segni, e aggiungere così una terza professione).
Una rappresentazione grafica dei concetti:
I concetti nella casella rosa e in quella gialla sono due concetti coordinati differenziati dalla caratteristica distintiva evidenziata in nero. In questo “mini-sistema” concettuale penso che, come me, molti professionisti del settore userebbero le “etichette” traduttore per la casella rosa e interprete per la casella gialla.
Mi pare di capire che tu invece preferisca “etichettare” i concetti in modo diverso: traduttore per la casella blu (concetto sovraordinato) e interprete per la casella gialla (concetto subordinato). Che etichetta usi per la casella rosa? O forse invece useresti un sistema diverso e identificheresti i concetti – e quindi i segni linguistici associati – in base a caratteristiche distintive alternative a quelle che ho individuato io?
Per eventuali lettori che che hanno letto fin qui e non hanno familiarità con questo approccio, tipico del lavoro terminologico, chiarisco che è orientato al concetto od onomasiologico: si identificano i sistemi concettuali e si valutano le “etichette” (segni linguistici: parole e termini) associate a ciascun concetto. Qualche dettaglio in Carne o pollo?, in captain ≠ capitano e in Le differenze tra rifugiati e migranti; cfr. anche arbitrarietà del segno linguistico.
Il lavoro terminologico multilingue mostra che non è raro che in alcune lingue rimangano “caselle vuote”, ma è in ogni caso possibile descrivere un concetto senza che abbia un nome: c’è un esempio in Le differenze tra rifugiati e migranti. Non condivido quindi l’affermazione che traduttore e interprete non possono essere concetti coordinati se non esiste una parola che rappresenti il concetto sovraordinato.
Su linguist, in inglese è un’unica etichetta che può essere usata per concetti diversi: come termine (ambito specialistico) corrisponde al concetto rappresentato da linguista in italiano ma come parola (lessico comune) può rappresentare anche un concetto molto più ampio che include translator, interpreter, language teacher, <language> speaker…
Flavia:
Comunque sia – nella descrizione dei quattro titoli riportati – Trump “parla” ma la reazione “confusa”, la “faccia”, lo “sguardo”, le “smorfie” sono attribuite all’interprete: una professione davvero difficile l’interpretazione.
anna giambagli:
@Flavia. L'”interpretazione” è difficile per chi non la sa fare. Come per qualsiasi mestiere.
Tradurre Donald Trump è facilissimo nella misura in cui, oltre alla morfosintassi primigenia e al vocabolario elementare, l’interprete coglie il messaggio veicolato dal non-detto, dal sottinteso e dal presupposto espressi in un modus dicendi apparentemente destabilizzante quale è quello veicolato da “In Syria there is a lot of sand you can play with”. Come mi confermano colleghi interpreti di conferenza che hanno tradotto in simultanea Mr. Trump durante recenti vertici europei.
anna giambagli:
@Licia. Il mio intento è quello di chiarire che “interpretazione” e “traduzione” sono termini sì correlati ma per certo non coiponimi, come da taluni asserito, per il semplice motivo che non sono riconducibili a un comune iperonimo. “Tradurre” è il verbo (“concetto”, se si vuole) primigenio, che ricomprende le due variazioni diamesiche scritto/orale.
Grazie per la nitida spiegazione di rispettivi ambiti attuativi, che di fatto sfugge a chi parla di questioni traduttive senza averne contezza e conoscenza.
Mi permetto di segnalare uno scritto, assai datato ma sempre valido, di Marianne Lederer, Scuola di Parigi: “Interpréter pour traduire”. Fa riflettere.
Licia:
@Flavia, davvero un incarico molto difficile per questa professionista (che è stata complimentata per il suo lavoro, anche da Trump, come si può vedere alla fine della trascrizione della Casa Bianca). Se si guarda il filmato della conferenza stampa si può vedere che mentre Trump parla l’interprete è quasi sempre intenta a prendere appunti e alza la testa pochissime volte: sono questi i fotogrammi che sono stati estratti e assemblati ad arte per farli diventare virali. Possono dare l’impressione che esprimesse proprie opinioni a cui, come hai fatto notare, sono stati attribuiti significati completamente diversi, ma se le sue espressioni si osservano in contesto appaiono per quello che sono: sforzi di concentrazione. Proviamo a immedesimarci nella professionista: deve essere veramente stressante non solo avere ricevuto così tanta attenzione ma soprattutto vedere che le siano stati attribuiti giudizi che sicuramente non stava dando.
A proposito dell’idioletto di Trump e perché è difficile tradurlo, Bérengère Viennot, traduttrice francese che ho già citato in Lost in Trumpslation” (ma non è un film), ha pubblicato un libro che è stato tradotto anche in italiano, La lingua di Trump, e in questi giorni vari media hanno pubblicato recensioni.
@Anna, ribadisco che questo è un post divulgativo per chiarire che traduttore e interprete sono due professioni diverse e i media dovrebbero tenerne conto. Non capisco questa insistenza nel voler spostare la discussione sui verbi interpretare e tradurre o sui sostantivi astratti interpretazione e traduzione, che sicuramente possono avere accezioni diverse e possono identificare più concetti, non sempre nello stesso tipo di relazione tra loro, ma non è l’argomento di questo post. Grazie per il riferimento, purtroppo però non parlo francese.
anna giambagli:
@flavia. La traduttrice che ha interpretato Donald Trump in regime di consecutiva è infatti una eccellente professionista AIIC di altissimo profilo (non occorre spiegare, mi auguro, di cosa stiamo parlando). I fotogrammi estratti dal contesto e resi su immagine fissa in effetti sono totalmente fuorvianti e non hanno il benché minimo senso se non quello di corroborare una divulgazione da sempre inquinata. in questo caso, una presupposta situazione di inadeguatezza e sperdimento, il che ben ovviamente è falso.
@ Licia. Non insisto affatto sul “verbo”: lo stesso principio argomentativo vale per il nome, per l’aggettivo e per l’avverbio del medesimo campo semantico. Di fatto, non occorre parlare francese per comprendere il senso (traslato ma neppure tanto) veicolato del titolo dell’articolo citato, estremamente eloquente già di per sé. I due mestieri sono certamente distinti quanto a modalità esecutivo-procedurali e quanto al rispettivo prodotto finale, non certo per il processo cognitivo sottostante a entrambe e da entrambe condiviso, come le più autorevoli scuole di pensiero accademiche europee asseriscono da sempre.