L’immagine mostra titolo, sottotitolo e incipit di una notizia linguistica apparsa all’inizio di agosto 2019 su un noto quotidiano.
Senza procedere nella lettura, provate a riflettere sulle informazioni che ricavate sulla parola in discussione e sul dizionario in cui appare. Vi è del tutto chiaro di che lingua si tratta e in che contesto vengono usate le parole tra virgolette, oppure rilevate qualche ambiguità?
Donna in inglese
Si potrebbe innanzitutto pensare che il riferimento sia a un italianismo del lessico inglese: la parola Donna, da cui è derivato anche un nome proprio. È un appellativo o titolo di cortesia con cui ci si può rivolgere a una donna italiana in contesti formali, allo stesso modo in cui si usa Madam. Nel lessico inglese la parola donna appare inoltre nella locuzione prima donna.
La notizia che ho citato però non riguarda né l’italianismo né la parola donna e i suoi sinonimi in italiano, bensì la parola inglese woman.
Su woman, in italiano
L’aspetto dell’articolo italiano che mi lascia estremamente perplessa è che si discute della parola inglese woman senza mai usarla, neanche fosse una parola tabù. Non capisco questa scelta: woman è una parola del lessico di base inglese riconoscibile anche da chi ha conoscenze solo rudimentali della lingua – appare su etichette e confezioni di vestiario, nelle riviste femminili, nei titoli di canzoni e di film e molto altro. Evitare di nominarla crea molta confusione.
Di conseguenza non sono stati riportati neppure i sinonimi di woman che hanno scatenato la protesta della signora italiana. Si trovano però nel testo della petizione online che ne è seguita: piece, bit, bitch, mare, baggage, wench, petticoat, frail, bird, bint, biddy, filly.
Nell’articolo sono stati fatti solo tre esempi in italiano, di cui non è chiara la logica: 1 “cagna” traduzione di bitch, anche se le connotazioni non coincidono, 2 “puledra” traduzione di mare (letteralmente cavalla, giumenta), anche se in italiano non ha un significato metaforico offensivo, e infine un generico 3 “poco di buono”, un eufemismo che in italiano può essere usato anche per gli uomini.
Il resto dell’articolo non fornisce altre informazioni lessicali specifiche sulla parola: per il lettore italiano è difficile capire perché la petizione meriti di fare notizia anche in Italia.
Le traduzioni “cagna”, “puledra” e “poco di buono” risultano poco significative perché non consentono di mettere a fuoco la questione. Sono inoltre un disservizio per i lettori che conoscono l’inglese e a cui sarebbero stati utili i riferimenti originali, eventualmente anche per fare proprie ricerche e approfondire l’argomento (curioso però che non venga usata la parola woman ma venga invece citata la “famosa pubblicità” Every little helps, sgrammaticata e senza traduzione, anche se solo chi ha vissuto nel Regno Unito può riconoscere lo slogan dei supermercati Tesco).
Riferimenti ad altre lingue
Questo articolo è un esempio rappresentativo dell’approssimazione con cui parecchi media italiani trattano le notizie linguistiche che hanno origine in altre lingue. Spesso le parole vengono tradotte letteralmente, a volte addirittura senza specificare la lingua originale e dando per scontato che tutto quanto vale per una lingua, di solito l’inglese, valga automaticamente anche per l’italiano.
Si ha l’impressione che non venga verificata la corrispondenza di significati, connotazioni, registri, uso e aspetti culturali, sociolinguistici e pragmatici: l’anisomorfismo è un concetto sconosciuto!
Sono problemi ricorrenti di cui ho già discusso qui nel blog, ad esempio in 2 anni: 25 parole in inglese e in italiano e in Ingredienti audaci.
Oxford Dictionary ≠ OED ≠ Thesaurus
Un’altra ambiguità dell’articolo – ed errore rilevato più volte nelle notizie italiane sul lessico britannico – è la confusione sui dizionari, già evidenziata in occasione di varie parole dell’anno.
Nella notizia citata all’inizio, in mancanza di spiegazioni la frase “l’autorevole Oxford Dictionary” potrebbe far concludere che si tratti del prestigioso Oxford English Dictionary (OED), il mastodontico dizionario storico della lingua inglese che registra l’evoluzione della lingua ed è focalizzato su aspetti diacronici. Esempio: la voce woman.
Il riferimento è invece a uno degli Oxford Online Dictionaries (ODO), consultabili gratuitamente in un sito recentemente rinominato Lexico.com: stessa casa editrice dell’OED ma contenuti e finalità diversi, come spiega What are the main differences between the OED and ODO? Tra gli ODO c’è anche il dizionario dell’inglese contemporaneo. Esempio: la voce woman.
La notizia italiana fa anche qualche confusione tra due diversi ODO:
► il dizionario, con definizioni che descrivono il significato delle parole e numerose frasi di esempio per ciascuna accezione (cfr. la già citata voce woman);
► il thesaurus o dizionario dei sinonimi, che non contiene definizioni ma elenca invece una serie di parole alternative, differenziate da marche d’uso. Alcuni esempi dalla voce woman, tra cui le parole spregiative (derogatory) e offensive incluse nella petizione:
Le diverse marche d’uso indicano inequivocabilmente che le parole elencate non sono intercambiabili ma il loro uso è ristretto a contesti, ambiti e registri specifici.
Finalità dei dizionari
Chi vorrebbe escludere le parole offensive dalle risorse lessicali ignora le finalità descrittive e non prescrittive dei dizionari dell’uso: osservano e registrano come viene usata la lingua e quindi devono includere anche il lessico sgradevole, se effettivamente usato da un numero sufficientemente alto di parlanti.
I dizionari infatti non sono arbitri che convalidano le parole e ne normano l’uso: è una convinzione errata ma diffusa che purtroppo i media contribuiscono a propagare. Ne ho discusso in Bufale linguistiche: l’approvazione dei neologismi.
Dispiace quindi che nei media italiani si leggano titoli contro il dizionario X, per la difesa del significato di Y o per la rimozione della parola Z, perché preannunciano notizie superficiali e imprecise, che si prestano a fraintendimenti e non contribuiscono a diffondere conoscenze linguistiche valide.
Un suggerimento di lettura per chi fosse interessato agli aspetti ideologici del dibattito sulle definizioni e i sinonimi di woman: Dissing the dictionary della linguista Debbie Cameron.
Nota lessicale: diss è un verbo di origine informale (da disrespect) usato nel senso di criticare irrispettosamente, con disprezzo, anche offensivamente.
Aggiornamento novembre 2019 – Ho scritto un articolo per il Portale Treccani in cui descrivo alcune percezioni errate legate ai dizionari dell’uso. Dettagli in “Se lo dice il dizionario…”
Aggiornamento novembre 2020
Oxford University Press ha annunciato alcune modifiche ai propri dizionari, anche in seguito alla petizione. Sono state eliminate alcune frasi di esempio che risultavano sessiste e riviste alcune voci che apparivano sbilanciate a favore degli uomini. Nel caso specifico della voce woman, l’accezione 1.5 è stata modificata per renderla più inclusiva: a man‘s wife, girlfriend, or female lover è diventata a person‘s wife, girlfriend, or female lover.
I media italiani che hanno riportato la notizia hanno però rifatto gli stessi errori descritti sopra e ne hanno frainteso alcuni aspetti, ad es. hanno fatto intendere che l’accezione 1.5 sia la definizione primaria di woman.
Persiste inoltre la confusione sul ruolo dei dizionari, che non sono prescrittivi ma riflettono l’uso reale della lingua, quindi registrano e descrivono anche usi che possiamo trovare offensivi o sgraditi. La casa editrice OUP l’ha ribadito:
Fonte: Oxford Dictionaries amends ‘sexist’ definitions of the word ‘woman’
È per questo che il sostantivo bitch non è stato rimosso dal dizionario dei sinonimi, come invece richiesto dalla petizione.
Nel frattempo, l’autrice della petizione e altri hanno fatto richieste simili alle redazioni lessicografiche dei dizionari italiani. Donna, la risposta del Vocabolario Treccani, è molto utile per inquadrare correttamente la questione ed evitare fraintendimenti sul senso del lavoro lessicografico.
Aggiornamento marzo 2021
Insoddisfatta della risposta del Vocabolario Treccani, l’autrice della petizione Maria Beatrice Giovanardi ha promosso una lettera aperta firmata da altre cento persone in cui ribadisce le richieste di revisione del dizionario dei sinonimi.
È seguita una risposta della linguista e lessicografa Valeria Della Valle che ha chiarito alcuni aspetti fraintesi del lavoro lessicografico e ha spiegato perché le parole offensive non vanno rimosse.
La diatriba ha avuto molta visibilità e anche stavolta c’è stata parecchia confusione sulle funzioni di due diversi tipi di dizionario:
► il vocabolario che contiene definizioni che descrivono il significato delle parole e
► il dizionario dei sinonimi, che fornisce una serie di alternative differenziate da marche d’uso.
In un’intervista anche Giovanardi ha sfruttato questa confusione, ad esempio facendo intendere che la richiesta di modifiche riguardi le definizioni di donna, assenti invece dai dizionari dei sinonimi.
Sulla questione è intervenuta anche la sociolinguista Vera Gheno in Contro i vocabolari pulitini. Spiega perché i dizionari devono “continuare a fotografare la nostra lingua, anche nella sua parte schifosa, volgare, sconcia, riprovevole, maschilista, gretta, xenofoba, omofoba eccetera” partendo da considerazioni sul lavoro lessicografico, sulle funzioni dei diversi tipi di dizionari e sulle potenziali difficoltà di consultazione e interpretazione per chi non ha familiarità con le convenzioni usate.
Flavia:
Alla voce ‘donna’ nel vocabolario Treccani : http://www.treccani.it/vocabolario/donna/ ci sarebbe qualcosa da emendare nei diminutivi, forse, ma neanche tanto poi; m’incanta quel ‘donnetta’: in Veneto si augura sempre allo scapolone di trovarsi una brava ‘donéta’ col significato di “persona assennata”- non necessariamente “piccola e graziosa” – con cui ‘sistemarsi’. 😀
Vediamo gli equivalenti al maschile: donnetta/ometto; donnina/omino; donnino/donnino; donnicciòla/donnicciòla; donnàccola/omuncolo; donnona/omone; mancano, a me sembra, gli equivalenti di ‘donnuccia’, ‘donnucola’, ‘donnacchera’ e ‘donnaccia’.
Certo, nel costume italiano, per sminuire un uomo gli si dà della ‘donna’.