Nei giorni scorsi i media hanno creato un nuovo caso “petaloso”, dimostrando grande superficialità nell’affrontare questioni linguistiche. Alcuni esempi di titoli:
Il riferimento è a una consulenza sul sito dell’Accademia della Crusca, Siedi il bambino! No, fallo sedere! del linguista Vittorio Coletti, che è stata travisata e banalizzata dai media. Risultato: indignazione e polemiche gratuite sui social.
Verbi intransitivi usati transitivamente
Coletti non ha approvato indiscriminatamente l’uso transitivo di alcuni verbi intransitivi, come uscire, ma ha invece spiegato che ci sono alcuni contesti e registri in cui è accettabile.
In particolare, ha osservato che la costruzione del verbo sedere con l’oggetto diretto di persona è ormai molto diffusa in ambiti come le istruzioni dei seggiolini da automobile per bambini e in questi casi non c’è motivo per proibirla: “ha una sua efficacia e sinteticità espressiva che può indurre a sorvolare sui suoi limiti grammaticali”.
Coletti non ha fatto gli esempi di sali/scendi il bambino dalla nonna ed esci il cane per sdoganarli, come hanno riportato erroneamente i media, ma per ricordarci che nell’uso popolare di alcuni italiani regionali ci sono alcuni verbi (uscire, salire e scendere e in alcuni casi entrare) che ammettono il complemento oggetto, soprattutto all’imperativo: è per questo che la costruzione transitiva risulta familiare a molti parlanti.
via @tueetterin
Aggiungo un esempio: in un contesto siciliano, come la manifestazione di protesta a Siracusa per far sbarcare i migranti soccorsi dalla nave Sea Watch, l’esortazione scendeteli risulta più incisiva e più immediata di fateli scendere perché espressa nella varietà linguistica locale usata in famiglia, la lingua dei sentimenti.
In contesti diversi, ad esempio in registri non colloquiali e formali, a scuola e nel settentrione, scendeteli è invece un errore da evitare.
Lo ha affermato Coletti e ancora più in dettaglio un’altra consulenza della Crusca, Entrare, uscire, salire e scendere: transitivi a furor di popolo?, eppure i media hanno scelto di far passare messaggi sensazionalistici completamente distorti. Anche dopo interventi chiarificatori dei linguisti Claudio Marazzini e Francesco Sabatini c’è chi ha continuato a usare titoli fuorvianti come questo:
Giornalisti incapaci di interpretare un testo correttamente o ricerca consapevole della polemica per qualche clic in più?
Lingua multidimensionale, con sfumature
I media e chi si è indignato per "siedi il bambino" ed “esci il cane” hanno dimostrato di ignorare che la lingua è un sistema multidimensionale: a seconda della situazione, dell’interlocutore e delle finalità comunicative si usano varietà linguistiche diverse che possono seguire regole diverse o comunque ammettere forme diverse.
Ne ho discusso in Si dice o non si dice? Dipende: lo spunto sono le diverse varietà dell’italiano contemporaneo e alcune distinzioni individuate dal lessicografo Silverio Novelli per analizzare errori veri e presunti (tra gli esempi, Hai uscito il cane?).
Purtroppo non tutti i parlanti hanno la consapevolezza dei diversi registri e delle diverse modalità di comunicazione e sono invece convinti che esistano norme linguistiche inderogabili che indicano cosa è giusto o sbagliato, senza alternative, in qualsiasi contesto: è una concezione molto rigida della grammatica che spesso si forma a scuola.
In realtà in tutte le lingue esistono molte zone grigie: è il tema di Grammatica, variabilità e norme interiorizzate, dove ho sintetizzato alcune considerazioni dei linguisti Luca Serianni e Francesco Sabatini sulle norme letterarie codificate nel tempo che impediscono di prendere atto delle variazioni della lingua.
Andrebbe sempre ricordato che lo studio della grammatica non prescrive regole astratte ma descrive la lingua contemporanea nella sua variabilità e nei suoi fenomeni di ristrutturazione e ristandardizzazione. È quanto fanno anche gli studiosi dell’Accademia della Crusca, che quindi non sono guardiani a difesa della purezza dell’italiano contro gli imbarbarimenti come invece si aspetta chi li critica sui social.
Infine, a chi è indignato da “esci il cane” – e ai giornalisti che diffondono notizie false sulla lingua italiana – suggerirei di informarsi meglio iniziando da una lettura molto piacevole che smonta pregiudizi e allarmismi: Comunque anche Leopardi diceva le parolacce di Giuseppe Antonelli.
Vedi anche:
- La gravità degli errori, sull’eccessiva importanza alla forma e a regole inderogabili
- Sugli integralisti della grammatica, sull’atteggiamento purista, pare dettato da ansie e timori di natura sociale e insicurezze di fondo
- Davvero fra 80 anni non si parlerà più italiano?, sulle conoscenze linguistiche inadeguate di chi vorrebbe legiferare sull’italiano
Nuovo post: Bufale linguistiche: l’approvazione dei neologismi
Aggiornamento 3 febbraio – Aggiungo un un intervento del linguista Francesco Sabatini al programma Timeline Focus:
Sabatini ricorda che l’uso transitivo di verbi intransitivi è un fenomeno comune all’italiano, ad altre lingue e al latino ed è un uso che risponde a un bisogno pratico della lingua parlata: velocità e brevità della comunicazione. Verbi come fumare (ad es. fumare la pipa) e vivere (ad es. vivere la città) un tempo erano esclusivamente intransitivi.
Aggiungo due esempi dall’informatica da due post del 2009, i verbi navigare e migrare usati in forma transitiva, un calco sintattico dei verbi inglesi navigate e migrate: a distanza di dieci anni ormai non appaiono più anomali come erano allora.
mav:
Una nota: non so se sono solo io e i miei “conterronei” :), ma a me molte di queste frasi esplicative del fenomeno suonano un po’ meridionalese farlocco.
Dalle mie parti (agrigentino orientale), l’oggetto di salire/scendere/entrare/uscire è tipicamente passivo e non semovente.
Si dice comunemente “esci la macchina” (sottinteso ad es. dal garage), in dialetto “niesci la machina”, ma nessuno direbbe “esci il cane” oppure “niesci lu cani”.
Piuttosto “fai uscire il cane” o “fa’ nesciri lu cani”; che può voler dire sia “apri e lascia che esca” sia “portalo fuori e fagli fare un giro”.
Si sale/scende un bambino se non cammina e bisogna portarlo, altrimenti si “fa salire/scendere”, nel senso di aiutarlo a salire/scendere.
“Scendi il bimbo da lì” mi suona totalmente innaturale, mentre “Fa’ scinniri lu carusu di ddruocu!” pronunciato da una nonna davanti a una giostra troppo alta o veloce è praticamente un ricordo d’infanzia collettivo.
efano:
Sull’uso transitivo di verbi intransitivi, in Romagna è normale dire “ho rimasto due mele”. Penso che neanche le maestre a scuola lo correggano
gerlo:
La notizia non è falsa, casomai è stata cavalcata furbescamente. Le pippe mentali di chi attacca sempre i giornalisti e guarda il dito e non la Luna (l’analisi al dettaglio del caso che avete fatto è perfetta ma rimane lo sdoganamento di una inesattezza, seppur limitata a contesti specifici) attirano poi le ore di vi chiama radicale chic
Daniela:
mav:, sono meridionale anch’io e da noi (punta della Calabria) si dice “esci…(per es.) il cane” o “scendimi le chiavi della macchina” (se sei in garage/nell’androne/per strada sotto la tua finestra e parli con qualcuno che si trova a casa/ai piani più alti, ecc). Capita anche di usare parole dialettali (faccio un esempio: “spasa” ossia il vassoio, che può essere quello dei dolci comprati in pasticceria o altro) ma, per quanto mi riguarda lo faccio nelle aree geografiche “apposite” e quasi sempre in tono estremamente colloquiale, per es. tra amici, direi anche scherzoso. E’ vero anche che a casa della mia famiglia non si è mai parlato il dialetto, anche perché mia madre non era calabrese. A me questi regionalismi piacciono finché si usano in ambito familiare, per una comunicazione veloce, dopo di che per me è no, decisamente. Applico le regole grammaticali dell’italiano. Premesso che, nel caso specifico trattato da Licia, son d’accordo sul fatto che la versione del linguista Coletti sia stata distorta, per il resto non so, l’apertura a certe concessioni in quest’ambito non mi convince più di tanto. Il fatto che i più sbaglino e quella data parola si sia diffusa o che ormai sui social si usino degli obbrobri (scusate, ma davanti a certe parole/espressioni a me viene l’orticaria), a mio parere, non dà adito ad avallare quella che ritengo una forma di ignoranza o frettolosità.
Riccardo Baldinotti:
Ieri mi è venuto in mente “sbarcare”: se “io sbarco” lo uso intransitivamente, ma dicendo “sbarchiamo la merce” è transitivo e accettato, e mi ricordava tanto “esci il cane”.
Flavia:
Si potrebbe dire che i regionalismi siano gli ‘errori’ dell’italiano standard letterario (e anche del neo-standard che comunque sempre al letterario s’ispira); poi accade che nell’italiano aulico, antico, letterario, poetico – a volte – vi sia coincidenza d’uso con il ‘regionalismo’.
In ogni caso, prendiamo il vb. ‘sentàre’ della mia variante di veneto: una frase come *siedilo è perfettamente traducibile con ‘senta-lo’ e sembra reggere anche alla prova del volgere il verbo al passivo ‘la mama la ga sentà el putìn’ > ‘el putìn l’è stà sentà da so mama’.
Con gli altri verbi (salire, scendere, uscire, entrare) di solito usiamo forme sintagmatiche (andare su-giù, andare fuori-dentro.
Massimo S.:
Concordo con il contenuto della riflessione di Licia e dei suoi rimandi.
Ma a volte a scatenare la polemica sono proprio gli specialisti che per reagire a supposte pseudo regole, ne invocano altre opposte da applicare con lo stesso manicheismo, senza evidentemente tenere conto dell’uso reale nella lingua o nella scrittura di tutti i giorni.
Mi riferisco al (giocosamente) polemico articolo di Giuseppe Antonelli sulla Lettura del 13 gennaio 2019 che invoca a gran voce il rispetto della convenzione per cui il pronome personale riflessivo “sé” va sempre accentato per distinguerlo dalla congiunzione ipotetica “se” e quindi va sempre scritto con l’accento anche in unione con “stesso” e “medesimo”, contrastando l’uso, registrato in numerose grammatiche scolastiche ed elevato a regola in molte di esse, di scrivere “se stesso” o “se medesimo”, paventando, tra l’altro, fraintendimenti col “se” congiunzione che a me profano sembrano davvero improbabili. E il bello è che Antonelli fa tutto questo benché proprio lui Antonelli ricordi nell’articolo che anche Leopardi scriveva “se stesso”…
Licia:
Grazie a tutti per i contributi, in particolare per gli esempi di uso dalla Sicilia, dalla Calabria e dal Veneto.
@efano: ho fatto quasi tutte le scuole in Romagna e confermo che parecchi insegnanti dicono ho rimasto senza rendersi conto che è una forma regionale non usata nell’italiano standard. L’ho descritto in Si dice in Romagna… assieme ad andarsi riflessivo e un uso particolare di volere.
Molti lombardi invece dicono avere bisogno una cosa, senza preposizione di, cfr. …e si dice in Lombardia.
Nel parlato colloquiale di ogni regione esistono forme non standard che non sono riconosciute come tali dai parlanti locali e che sono percepite come errori da chi viene da fuori, ma spesso sono attestate nell’italiano antico, come ha osservato @Flavia.
Ne ha parlato anche Francesco Sabatini in un intervento televisivo che ho aggiunto come aggiornamento al post (per chi preferisce leggere, cfr. Crusca, Sabatini: “Cittadini consapevoli parlino l’italiano che si evolve”).
A distanza di una settimana, rimane la sensazione sgradevole per la manipolazione della notizia e per la superficialità con cui è stata riportata e commentata, tanto che i profili social dell’Accademia della Crusca continuano a ricevere accuse e commenti offensivi, quasi sempre da chi non ha neppure letto la consulenza (anch’io su Twitter ho avuto a che fare con alcune persone poco disposte a riflettere). L’unico aspetto positivo è che c’è interesse per la lingua e per i suoi meccanismi.