In un articolo recente del vocabolario Merriam-Webster è descritta la parola americana patchwriting. È usata in contesti accademici e giornalistici per descrivere la pratica di riprodurre testo altrui apportando però qualche modifica: si sostituiscono alcune parole con sinonimi, se ne eliminano altre, si riformulano alcune costruzioni o si sposta qualche dettaglio, ma la struttura e il significato del testo originale rimangono invariati.
È riconoscibile il riferimento a patch, toppa o pezza (cfr. patchwork), e ai verbi patch up e patch [something] together, mettere insieme alla meglio, raffazzonare.
Esempio di patchwriting che aveva come origine un mio post:
Una metafora visiva simile a patchwriting si ritrova anche nell’espressione alternativa mosaic plagiarism – in inglese mosaic può essere anche una combinazione di elementi eterogenei male assortiti.
Per alcune fonti il patchwriting è plagio solo se non viene citato l’autore, per altre lo è sempre. Va inoltre distinto dal paraphrasing, in cui un testo viene riscritto con l’intento di semplificarlo.
Spinning
Ha aspetti simili al patchwriting lo spinning, una tecnica che qualche anno fa era molto usata dagli spammer. Consiste nel “riscrivere” contenuto altrui sostituendo automaticamente alcune parole con loro sinonimi per generare testi in apparenza nuovi, come descritto in Spamming, spinning e spimming.
Patchwriting in italiano?
In Italia il patchwriting è una pratica diffusa che si ritrova spesso in articoli o altro contenuto per il web. Non conosco però espressioni paragonabili a quella inglese: si discute di copia parziale o plagio nascosto o mascherato, oppure si usa il verbo parafrasare nella sua accezione negativa:
Nel software antiplagio viene usato genericamente parafrasi.
Se in italiano avessimo un’espressione figurata efficace come patchwriting, la userei ogni volta che trovo frasi o pezzi dei miei post scopiazzati e riprodotti letteralmente o con qualche modifica all’interno di altri testi, senza fonte.
L’esempio più clamoroso è una definizione di gig economy che ho scritto nel 2015. È già stata riprodotta in centinaia di pagine ma sono poche quelle che rimandano al mio post, e se si chiede una rettifica è raro ricevere risposta.
Temo sia innanzitutto una questione culturale: in Italia l’abitudine alla copia si forma a scuola ed è significativo che non venga stigmatizzato chi copia ma chi non fa copiare!
È plagio?
Concludo con Is it plagiarism?, un diagramma di Poynter da Is it original? An editor’s guide to identifying plagiarism che classifica i diversi tipi di copia di testo e di idee che si possono riscontrare nel giornalismo contemporaneo:
Manca un tipo di plagio poco rilevante nei paesi di lingua inglese ma comune nelle redazioni di alcuni media italiani: il plagio da traduzione fatto assemblando pezzi di articoli tradotti da testi in origine in inglese, senza indicare le fonti.
Un’altra parola che ha a che fare con la copia di contenuti è copypasta, gioco di parole su copy&paste che descrive testo o immagini che si ritrovano un po’ ovunque, copiati e incollati innumerevoli volte: esempi tipici sono citazioni, vignette o altro che continuano a circolare sui social. Dettagli in Words We’re Watching: ‘Copypasta’.
Vedi anche: Copycat crime: cosa c’entra il gatto?
Asandus:
“Scopiazzare” rende comunque l’idea. Come quando si scopiazza a scuola, cercando di alterare qualcosa per rendere meno evidente l’allungamento a periscopio degli occhi sul compito del vicino di banco (e poi comunque l’insegnante ti sgama lo stesso…). Non abbiamo bisogno di scopiazzare termini stranieri per illustrare il concetto.
Anna:
Ciao Licia,
molte volte i tuoi post mi danno lo spunto per scrivere testi sul gruppo “Inglese:quello che le grammatiche non dicono”. Molto spesso invece ricopio il post citando espressamente la fonte (facendo un copia incolla ho notato che i membri sono pigri e non leggono l’articolo). Anche io ho trovato molti dei miei scritti in giro per la rete e mi ha molto ferito. Contattando i responsabili mi è stato risposto: “I contenuti sono di Zuckemberg, non tuoi”. Ci vorrebbe un’etica dei credits, passami la licenza.
Emy:
Per rendere patchwriting mi viene in mente il buon vecchio “rimaneggiare”.
Un testo rimaneggiato è un testo scopiazzato e poi modificato in alcune sue parti, anche solo qualche parola qua e là. Forse non ha la stessa connotazione negativa di patchwriting (ma solo perché, come ben sottolinei, “in Italia l’abitudine alla copia si forma a scuola ed è significativo che non venga stigmatizzato chi copia ma chi non fa copiare”!), ma per me indica la stessa ignobile pratica.
Ciao, Licia! 🙂
Emy
Flavia:
A me viene in mente ‘taroccare’; anche ‘arrangiare’ e l’arrangiarsi dello scopiazzatore a produrre i suoi lavoretti raffazzonati.