Davvero fra 80 anni non si parlerà più italiano?

Pessimismo sul futuro dell’italiano minacciato dall’inglese:

«Questa anglicizzazione ossessiva rischia, nel lungo termine, di portare a un collasso dell'uso della lingua italiana, fino alla sua progressiva scomparsa che alcuni studiosi prevedono nell'arco di ottanta anni»  –  dall’interpellanza urgente 2-00040 presentata alla Camera da Francesco Lollobrigida il 4 luglio 2018

È una citazione da un’interpellanza urgente per la tutela della lingua italiana fatta il 4 luglio 2018 dal deputato Francesco Lollobrigida (Fratelli d’Italia) al Ministro dell’Istruzione in seguito a una diatriba già descritta in Anglicismi: Gruppo Incipit contro MIUR.

Studiosi misteriosi

Lollobrigida non specifica chi ha previsto la scomparsa dell’italiano nell’arco di ottanta anni, ma sono certa che nessuno dei più affermati studiosi della lingua italiana abbia mai avanzato ipotesi così catastrofiche.

Gli autori della previsione per ora rimangono sconosciuti: non sono riuscita a rintracciare nessuno studio che prospetti l’estinzione dell’italiano entro la fine del XXI secolo. 

Ho però scoperto che la stessa affermazione è già apparsa in due proposte di legge estremamente simili per la tutela e la valorizzazione (promozione) della lingua italiana, fatte da deputati dello stesso partito nel 2016 e nel 2018. Neppure in questi testi però viene chiarito chi siano gli studiosi allarmisti.  

Percentuali non verificabili

« Secondo le ultime stime, dal 2000 ad oggi il numero di parole inglesi confluite nella lingua scritta italiana è aumentato del 773 per cento, quasi 9.000 sono gli anglicismi attualmente presenti nel dizionario della Treccani su circa 800.000 tra lemmi ed accezioni. »

L’interpellanza e la proposta di legge del 2018 affermano che dal 2000 a oggi il numero degli anglicismi è aumentato del 773%.

La fonte non è citata ma la percentuale insolita la rende riconoscibile: non è uno studio scientifico ma un comunicato stampa del 2009 di un’agenzia di traduzione non più esistente. Per alcuni anni aveva pubblicato statistiche sull’uso degli anglicismi, senza però mai specificare come erano state ricavate (riferimenti, composizione del corpus e metodologie usate). 

Avevo espresso le mie perplessità sull’affidabilità dei dati in Dubbi su “Itanglese +440%”, dove si può vedere anche che il presunto aumento del 773% faceva riferimento al periodo 2000-2009 e non agli ultimi 18 anni (e quindi, ammesso che sia un dato realistico, non è neppure stato riportato correttamente nelle proposte di legge).

Non sono attendibili come indicatore di cambiamento linguistico neppure i numeri ottenuti da meri conteggi dei forestierismi nei dizionari, cfr. discussione in Anglicismi, che passione!? e [nuovo] “Se lo dice il dizionario…”, un mio articolo per il Portale Treccani.

Legge Toubon, un mito da sfatare

Nei tre testi si fa riferimento anche alla Francia: viene citata la Legge Toubon come esempio ottimale di contrasto agli anglicismi (“ha riscontrato un indubbio successo”). Andrebbe quindi presa a modello con l’istituzione di un Consiglio superiore della lingua italiana.

In realtà, come hanno già fatto notare vari linguisti, la situazione francese non è così rosea come appare dall’esterno: la legge riesce a regolamentare solo il lessico istituzionale, al di fuori del quale l’impatto è minimo. Anche i francesi preferiscono gli anglicismi già entrati nell’uso e raramente li abbandonano in favore della terminologia ufficiale approvata dall’apposita commissione governativa.

C’è un esempio efficace in un articolo recente sulla diffusione globale dell’inglese, Behemoth, bully, thief: how the English language is taking over the planet (The Guardian):

In some countries, such as France and Israel, special linguistic commissions have been working for decades to stem the English tide by creating new coinages of their own – to little avail, for the most part. (As the journalist Lauren Collins has wryly noted: “Does anyone really think that French teenagers, per the academy’s diktat, are going to trade out ‘sexting’ for texto pornographique?”) Thanks to the internet, the spread of English has almost certainly sped up.

Si possono trovare innumerevoli altri esempi con le ricerche anglicismes e franglais (français+anglais, simile all’itanglese).

In conclusione…

Anche altre osservazioni contenute nelle proposte di legge e nell’interpellanza sono poco convincenti e tradiscono conoscenze linguistiche non approfondite, espresse con terminologia imprecisa e senza citare fonti di riferimento affidabili.

Non mancano inoltre i luoghi comuni, come “il mondo della comunicazione e in particolare quello informatico hanno contribuito a diffondere un uso improprio della lingua, costituito da messaggi brevi e concisi che a lungo andare inaridiscono la mente e la standardizzano su livelli minimi”. È stato invece dimostrato che le nuove modalità di comunicazione non portano a un imbarbarimento della lingua: in Lingua spedita, lingua tradita? alcuni suggerimenti di lettura.

Sarà comunque interessante vedere se e quali sviluppi arriveranno da queste iniziative parlamentari. Per il momento però una cosa è certa: possiamo dormire sonni tranquilli, l’italiano non sta per scomparire!
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Vedi anche: Anglicismi, che passione!? dove ho già chiarito perché i catastrofismi sono fuori luogo e ho evidenziato alcune distinzioni necessarie in qualsiasi discussione seria sull’impatto dell’inglese sull’italiano.

Nuovi post:
►  Le lingue sono sistemi autoregolanti (sui timori infondati per la presunta degenerazione dell’italiano)
►  “Prima l’italiano”? (una parodia che evidenzia perché è ridicolo rifiutare qualsiasi forestierismo)
►  Parole ingegnose: quantifauxcation (utile per descrivere l’uso disinvolto di numeri e statistiche per quantificare fenomeni linguistici non facilmente misurabili )
►  Multa per chi usa anglicismi? Non è una novità (la proposta di legge del 2016 e 2018 è stata ripresentata nel dicembre 2022, stavolta con maggiore attenzione mediatica)


Per approfondire:

Perché nelle nostre istituzioni si rema contro la lingua italiana del linguista Michele A. Cortelazzo (con riferimenti alla Legge Toubon e osservazioni sull’efficacia molto limitata di obblighi e divieti linguistici)

La raccolta di saggi Attitudes towards English in Europe (2015), in particolare Attitudes towards English in France della sociolinguista Olivia Walsh che osserva, a proposito di atteggiamento dei parlanti francesi verso gli anglicismi e politiche di pianificazione linguistica:

«We must therefore query, firstly, the widely accepted assumption that French speakers are negative towards Anglicisms and, secondly, the validity of carrying out language planning in France, when it so clearly does not align with the behaviour and attitudes of the wider speech community. Indeed, the results of the current study would suggest that official language planning does not necessarily have any impact on the attitudes of the general language community.»

Ho citato Walsh in alcuni commenti a La politica linguistica francese: impariamo dalla legge Toubon [2] nel blog Diciamolo in italiano di Antonio Zoppetti, autore di libri e articoli molto critici sugli anglicismi e sui linguisti italiani che se ne occupano.

Aggiungo Rapport de la commission d’étude sur la communication institutionnelle en langue française dell’Académie française (2022), in cui viene espressa preoccupazione per il gran numero di anglicismi nella comunicazione istituzionale francese (nonostante la legge Toubon).

Situazione alquanto diversa nel Canada francofono, dove opera il famigerato Office québécois de la langue française (OQLF) che non ammette gli anglicismi che invece proliferano nel francese parlato in Francia. In tema, vignetta canadese di Côté, via Accent Formation, su un ispettore canadese al ritorno dalla Francia:

anglicismi in francese: shopping, building, low cost, week end, camping car, smartphone

Aggiornamento 2022 – Esempi di franglais istituzionale in una campagna di sensibilizzazione dell’amministrazione municipale del 10e arrondissement di Parigi per il rispetto dell’ambiente, degli abitanti, degli addetti alle pulizie e di se stessi. 

quadro della Gioconda con testo “when tu jettes ta clope on the floor et qu’elle te juge – be respectful of la planète”autoritratto di Van Gogh con testo “when les voisins cont se couper l’oreille tellement tu fais de brut under leurs fenêtres – be respectful of les riverains”

Si può notare che le parole inglesi usate non sono i tipici anglicismi che entrano nell’uso a imitazione di modelli culturali anglofoni, bensì parole del lessico di base inglese familiari dall’apprendimento scolastico (when, under, on the floor, tomorrow morning, because…), e riflettono alcune peculiarità degli anglicismi francesi: dettagli in L’erba dei vicini d’Oltralpe non è sempre greener!.

quadro Le Désespéré di Courbet con testo “Gustave, agent de la propeté de Paris tomorrow morning when il verra ton bordel – be respectful of les éboueurs”ritratto di Marie-Antoniette con rosa con testo “when ça sent pas la rose because t’as eu la flemme d’aller à l’urinoir– be respectful of toi-memê”

Fonte: Une campagne de sensibilisation; in ogni immagine in basso nella fascia blu c’è la “traduzione” en bon français! La legge Toubon infatti non vieta gli anglicismi ma prevede che, se usati in ambito istituzionale, vi venga sempre associata una traduzione in francese.


Riferimenti:

Interpellanza urgente 2-00040 presentata da Lollobrigida Francesco mercoledì 4 luglio 2018 

Proposta di legge 2016, Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della lingua italiana e delega al Governo per l’istituzione del Consiglio superiore della lingua italiana (27 ottobre 2016)

Proposte di legge 2018, “Modifica degli articoli 6 e 12 della Costituzione, in materia di riconoscimento della lingua italiana come lingua ufficiale della Repubblica e di proclamazione dell’inno nazionale” e Disposizioni per la tutela e la promozione della lingua italiana e istituzione del Consiglio superiore della lingua italiana” – nel testo viene però fatta confusione tra lingua (il sistema che regola gli atti linguistici all’interno di una comunità) e lessico (vocaboli e locuzioni). Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera e principale proponente, ha descritto la proposta in Stupefacente: l’italiano non è la nostra lingua.

Un dettaglio curioso: l’onorevole Rampelli critica l’uso degli anglicismi ma nel suo sito si trovano dichiarazioni come Tav, Rampelli: Toninelli è ministro delle infrastrutture non del Nimby (acronimo di “not in my backyard”).
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5 commenti su “Davvero fra 80 anni non si parlerà più italiano?”

  1. Enrico:

    Solo un ignorante può credere che una lingua istituzionalizzata e globalmente riconosciuta come l’italiano possa cessare di esistere in meno di un secolo.
    D’altronde, da un partito che si ispira a chi mise in atto politiche linguistiche repressive e fallimentari come Mussolini, non è che ci si possa aspettare molto altro.

  2. Stefano:

    Ma davvero si scherza? Pensiamo piuttosto all’uso sconsiderato del “piuttosto”… Quello sì da proibire per legge, con pene draconiane!

  3. Luigi Muzii:

    “politiche linguistiche repressive e fallimentari”

    Bagnasciuga vi ricorda niente?
    Cito l’articolo di Beatrice Dondi sull’Espresso di questa settimana che riesuma “Fenomenologia di Mike Bongiorno” di Umberto Eco: “«Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi». E ancora: «Mike Bongiorno parla un basic italian. Il suo discorso realizza il massimo di semplicità. Abolisce i congiuntivi, le proposizioni subordinate, riesce quasi a rendere invisibile la dimensione sintassi. Non è necessario fare alcuno sforzo per capirlo». «Mike Bongiorno porta i clichés alle estreme conseguenze». E infine: «Mike Bongiorno non provoca complessi di inferiorità pur offrendosi come idolo, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo»”.

    Perfino Eco commise l’errore di declinare un prestito…

    La difesa della lingua è soprattutto sintomo di avvertita debolezza che ritorna periodicamente in presenza di una classe dirigente priva di riferimenti culturali, magari incolta, che se ne serve come arma di difesa protezionistica, senza tuttavia intervenire concretamente in alcun modo, e nelle cui mani appare quantomeno stramba se non ridicola.
    Qualcuno ricorda lo scivoloso paragone tra “cuscus e involtini primavera” contrapposti a “la pizza e gli spaghetti” in cui si avventurò un infelice ex ministro?
    E del progetto StopItanglese?

  4. alessandro:

    @Luigi Muzii: per la verità in questo caso Eco non “commise l’errore di declinare un prestito”, giacché (almeno nell’edizione in mio possesso del suo “Diario minimo”: la ristampa Oscar Mondadori del gennaio 1976) quel “clichés” era in corsivo, rispettando così le norme redazionali delle varie case editrici in merito alle parole straniere non assorbite dall’italiano (e rispettando anche quanto specificava lo stesso Eco in “Come si fa una tesi di laurea”).
    Ti rimando a tale proposito al post
    http://blog.terminologiaetc.it/2018/06/20/plurale-forestierismi-non-adattati/
    e ai relativi commenti.
    Naturalmente si può poi discutere su quanto la parola “cliché” fosse o non fosse stata assorbita dall’italiano nel 1976 (o nel 1963, quando uscì la prima edizione di “Diario minimo”) ma questo è un altro discorso.

  5. Flavia:

    Concordo con Luigi Muzii sulla ‘debolezza’ dell’italiano in quanto lingua e classe dirigente: il problema nasce proprio col regime fascista che per vent’anni ha condotto una ‘valorosa’ battaglia contro i dialetti e le lingue straniere a favore di una lingua letteraria aulica e retorica che, proseguendo nell’assenza totale di una vera politica linguistica, ha creato solo indifferenza verso la lingua italiana, se non una vera e propria disaffezione.
    Non hanno colpa Mike Bongiorno buonanima e l’inglese nel disagio linguistico attuale.

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