Ieri sono state presentate le Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo del MIUR. Promuovono “un uso non sessista e non discriminatorio dell’italiano” che combatte stereotipi e pregiudizi. Vogliono essere “un modo molto concreto per rafforzare l’uguaglianza di genere e favorire il rispetto delle differenze” ed è auspicato che vengano recepite anche in ambiti diversi dalla pubblica amministrazione.
Sono una lettura interessante grazie a un’analisi diacronica, riflessioni sul linguaggio e i suoi meccanismi e indicazioni pratiche per un uso più accorto del genere grammaticale. Possono essere utili anche per la traduzione, specialmente di testi da altre lingue che usano accorgimenti espliciti contro il sessismo linguistico.
Dissimmetrie linguistiche
Le linee guida del MIUR identificano alcuni aspetti critici nell’uso della lingua, in particolare le dissimmetrie grammaticali come il maschile inclusivo (forme maschili generiche, ad es. i cittadini per indicare tutta la popolazione) e la concordanza al maschile per il plurale (ad es. le atlete e gli atleti vincitori sono stati premiati).
C’è anche un accenno alle dissimmetrie semantiche, rappresentate da parole che rafforzano stereotipi (ad es. aggettivi che indicano fragilità, usati solo per le donne) o alcune polarizzazioni (ad es. le diverse accezioni dell’aggettivo in uomo libero vs donna libera).
Per evitare le dissimmetrie sono identificate due diverse strategie: oscuramento e visibilità del genere. La scelta dipende da vari fattori tra cui “l’intenzione comunicativa, il tipo di testo, la sua struttura, la sua lunghezza, l’importanza che assume l’esplicitazione del genere, la ricorrenza dei termini e la necessità di redigere testi il più possibile chiari e leggibili”.
Oscuramento del genere
Nell’oscuramento si ricorre ad espedienti grammaticali e sintattici che non indicano se le persone sono uomini o donne. Vengono privilegiati:
• parole che non implicano il genere, come persona, individuo o soggetto;
• nomi collettivi come corpo docente, utenza, personale;
• pronomi relativi e indefiniti come chi, chiunque;
• forme passive che non rendono esplicito l’agente dell’azione, ad es. la domanda deve essere presentata;
• forme impersonali, ad es. si deve fare domanda.
Il rischio di questa strategia è che i testi risultino macchinosi e poco scorrevoli, come nel burocratese.
Visibilità del genere
La strategia opposta prevede che quando ci si riferisce a esseri umani il genere grammaticale sia sempre esplicito.
La visibilità del genere si concretizza in due modi:
1 sostituzione dei nomi di professioni e di ruoli ricoperti da donne ma di solito declinati al maschile con i corrispondenti femminili (la ministra, la funzionaria);
2 abolizione del maschile inclusivo e sua sostituzione con le due forme maschile e femminile, se il caso abbreviate.
Esempio di indicazioni dalle linee guida:
A giudicare dai comunicati nei sito del Miur e dai tweet di @MiurSocial, la visibilità del genere è la strategia di comunicazione privilegiata al ministero.
Binomi lessicali: femminile+maschile
La sostituzione del maschile inclusivo con un binomio lessicale, come indicato al punto 2, si ritrova in tutti gli interventi della ministra Valeria Fedeli. Esempio:
Ho già fatto altri esempi in un aggiornamento a Binomi lessicali e sessismo linguistico, dove ho evidenziato che l’ordine degli elementi del binomio è determinato da tendenze fonologiche, metriche, semantiche e pragmatiche, ad es. uomini e donne è decisamente più frequente di donne e uomini.
Per i sostantivi con entrambe le forme di solito prevale l’ordine maschile + femminile, ad es. studenti e studentesse. Negli esempi del MIUR invece il femminile precede sempre il maschile, ad es. studentesse e studenti. A volte ne risultano frasi artificiose, soprattutto se sono usate anche le forme abbreviate. Esempio:
Il rischio di questa strategia è che può risentirne la leggibilità. Inoltre, va prestata particolare attenzione alla concordanza con altri elementi del testo e a un uso coerente dei binomi per evitare ambiguità o addirittura potenziali conclusioni indesiderate.
Anche per l’esempio che segue c’è da domandarsi se il contributo sia riservato solo agli uomini oppure se si tratti del biasimato maschile inclusivo:
Battute a parte, sarei curiosa di sapere, in percentuale, quante italiane preferiscono questa strategia perché si sentono discriminate dal maschile inclusivo. Saranno davvero molte le donne che trovano problematico l’articolo 3 della Costituzione perché non nomina esplicitamente cittadine e lavoratrici?
Per quel che mi riguarda, non mi ritengo minimamente emarginata: il maschile inclusivo è una convenzione dell’italiano (e di altre lingue) che risponde al principio di economia linguistica e come parlante nativa so interpretarlo correttamente.
Riscrittura e altre scelte stilistiche e lessicali
Per poter adottare più facilmente le due strategie di visibilità e di oscuramente del genere, le linee guida del MIUR suggeriscono di prestare attenzione alla finalità del testo e se necessario di riformularlo “in modo da alleggerirlo sul piano lessicale e sintattico, ristrutturando l’ordine delle informazioni e raccogliendole in elenchi che permettano di evitare le ripetizioni, utilizzando quando è possibile e necessario la forma passiva”.
Non scendono però in esempi specifici, ed è un peccato perché potrebbero essere utili per contesti diversi dal linguaggio amministrativo, dove ci sono più possibilità di cadere nell’uso di stereotipi.
Vengono in mente, ad esempio, le narrazioni distorte dei media sugli uomini che uccidono le compagne (“non riusciva ad accettare la separazione”, “tragico epilogo”, “improvviso raptus”, “accecato dalla passione”… poverino!). Mostrano che manca ancora piena consapevolezza dei potenziali aspetti sessisti delle scelte lessicali (dissimmetrie semantiche) e dei sottintesi che possono veicolare. Ne ho analizzati alcuni in Donne in marina, tra implicito e stereotipi.
Ho ricordato più volte che le indicazioni stilistiche sono molto rilevanti nella localizzazione, dove vanno preferite formulazioni che evitano di rivolgersi all’utente identificandolo come un individuo di sesso maschile (stereotipo!). Le forme impersonali o la seconda persona plurale sono utili perché consentono di esprimersi in modo più neutro: ad esempio, come descritto in Il bonifico, un’operazione maschile, il saluto plurale benvenuti è meno marcato e quindi più inclusivo di benvenuto.
Andrebbero inoltre considerati aspetti potenzialmente sessisti della comunicazione non verbale: in Comunicazione in rosa ne ho descritti alcuni.
In conclusione…
Trovo molto utili tutte le riflessioni sull’uso della lingua e apprezzo molto che il MIUR abbia messo a disposizione le proprie linee guida che, va sottolineato, non sono prescrittive ma danno indicazioni e consentono flessibilità nella loro applicazione.
Continuo però ad avere molte perplessità sul ruolo della grammatica nel combattere gli stereotipi e le discriminazioni che le donne purtroppo continuano a subire. Mi sembra esagerato imputarle alla morfologia e mi sento quasi presa in giro da chi afferma che solo il linguaggio rispettoso dell’identità di genere “fa finalmente uscire le donne dal cono d’ombra in cui la tradizione aveva permesso di avvolgerle”.
Temo infatti che alla questione del genere grammaticale – binomi lessicali e una manciata di nomi di professione – venga data un’importanza spropositata che privilegia la forma sulla sostanza. Mi rendo conto che è un cavallo di battaglia facile da cavalcare e che assicura molta visibilità, però sono priorità in cui non mi riconosco: ho spiegato perché in A Roma e Torino, sindaco o sindaca?
Mi auguro quindi che le linee guida del MIUR per l’uso del genere siano solo il primo passo di una riflessione linguistica più ampia. Spero che presto si analizzeranno con la stessa solerzia anche altri aspetti del linguaggio amministrativo che condizionano la comunicazione pubblica e la rendono poco inclusiva, ad esempio l’abuso di anglicismi istituzionali e di tecnicismi che per molti cittadini risultano incomprensibili e così creano discriminazione.
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Vedi anche:
♦ Donne e grammatica
♦ Genere grammaticale, naturale e sociale
♦ Binomi lessicali e sessismo linguistico
♦ Terminologia e comunicazione
♦ Questioni (anche) di genere: modest ≠ modesto (nuovo)
♦ Cos’è il singular they e come si usa (nuovo)
Buon otto marzo a chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui!
Luca:
Questi discorsi sono sempre complessi, sono tanti i pro e i contro e in fondo si sa che prescrivere delle norme linguistiche è sempre una forzatura che rischia di avere più casi di rigetto che efficacia.
Eppure le cose cambiano. Magari è solo una mia impressione, ma chiamare “la” Appendino sindaca oggi mi sembra più naturale che nel 2016, quando hai scritto il post a cui fai riferimento a fine articolo.
E pure quel “la”: perché usare l’articolo determinativo quando ci si riferisce al cognome di una donna e non quando lo si fa con un uomo?
Io rimango sempre dell’idea che ovviamente l’attenzione verso le consuetudini linguistiche non risolvano i problemi di fondo (e credo che nessuno lo pensi seriamente, per cui le solite obiezioni benaltriste lasciano il tempo che trovano…), ma un’attenzione anche a come parliamo, a come troppe volte il nostro modo di esprimerci porta a trascurare o rendere irrilevante la presenza femminile in un insieme, possa essere un buon esercizio che aiuta a tenere viva l’attenzione sul fatto che il problema femminile esiste, e che bisogna impegnarsi a risolverlo, per il bene di tutti, non solo delle donne.
E comunque a me avvocata, sindaca, ministra… sono termini che piacciono. Dottora no, ma magari cambierà anche questa sensazione…
Buon 8 marzo, comunque.
Vincenzo:
trovo la visibilità attraverso binomio lessicale assai pedante, e ancor più in forma abbreviata. Qualche anno fa in USA era di moda riempire i testi giornalistici di he/she, adesso gli è passata.
Propenderei per l’alternanza, sistematica o casuale: una volta maschile, una volta femminile, a caso. Oppure per legge, tutto al femminile per dieci anni, per abituarsi…
Marco:
Sono femminista da sempre, però i binomi lessicali femminile + maschile proprio non si possono leggere né sentire! Parole come bambini, cittadini, docenti comprendono sia il femminile che il maschile.
Anna:
Cara Licia,
grazie del post e della segnalazione. Neanch’io penso che il solo linguaggio serva a combattere gli stereotipi e le discriminazioni. La riflessione sul linguaggio, però, forse può contribuire a metterli in discussione. Personalmente, mi sono resa conto che, quando leggo testi in cui è presente solo la forma maschile, ho un’immagine mentale di soli individui di sesso maschile. Se leggo “insegnanti” o “traduttori” o “psicologi”, penso davvero a un gruppo di tutti uomini, nonostante si tratti di categorie professionali in cui la presenza femminile è forte e affermata da tempo. Magari è un problema mio! Da quando l’ho notato, cerco anch’io di usare un linguaggio diverso. Come giustamente sottolinei, il problema di “appesantire” i testi non va però sottovalutato.
Buon 8 marzo!
Marco:
Io sono per il maschile inclusivo. O il femminile inclusivo, se preferite (ma sarà dura cambiare).
Nell’esempio, correttamente bisognerebbe dire: “Le candidate e i candidati che supereranno le prove scritta e orale saranno ammesse e ammessi…”
Ma è corretto? Ho appena letto un testo di una ventina di pagine scritto così ed è una fatica!
luca:
Per me sindaca è un obbrobrio, come ministra. Preferisco La sindaco Appendino e Il sindaco Fassino, ad esempio.
Sulla declinazione cosa diventa una guida alpina? Un guido alpino? un guida alpino? un guido alpina?
E insegnante? La insegnanta? Lo insegnanto?
Senza contare il * per evitare di scrivere a/e/i/o sia mai che una donna/un uomo si senta discriminato dal testo.
A volte si cerca la parità ma si scende nel ridicolo del peggior politically correct.
Anna:
Anch’io preferisco il maschile inclusivo, facilita notevolmente la lettura e la comprensione di un testo.
Una curiosità: spesso all’inizio di testi o pagine web svizzeri si trova una frase come “Per facilitare la lettura si usa la forma maschile per entrambi i sessi”, in tutte e tre lingue ufficiali della Confederazione.
Flavia:
Ho molte riserve sui tentativi ‘governativi’ di trovare soluzioni grammaticali e sintattiche a problemi che sono di natura culturale.
Sono un’insegnante di lingue, mi ritrovo in questo elenco di professioni: https://it.wikipedia.org/wiki/Commedia_sexy_all%27italiana.
Potrei essere definita – oltre a professoressa di lingue – anche ‘esperta linguista’, ma preferisco di no e mi riparo volentieri dietro al ‘maschile inclusivo’.
zoppaz:
Concordo con te che il modello di regolamentazione linguistica si possa applicare anche all’abuso dell’inglese, come sostengo da tempo. E anche sul fatto che, nel caso della discriminazione di genere, non è certo l’uso di forme passive e altre soluzioni rocambolesche che rendono i discorsi poco lineari a risolvere il problema. Come diceva Freud il linguaggio è la spia dell’inconscio, e dunque il sessismo linguistico non è la causa, ma l’effetto, semmai. Comunque bisognerebbe sgomberare un equivico grammaticale diffuso: visto che non abbiamo il neutro, la maschilizzazione/feminilizzazione delle parole non ha nessuna corrispondenza logica, dal punto di vista grammaticale, con il sesso di ciò che designa. Dire che il canguro ha il marsupio, per esempio, sottintende la femmina del canguro, il maschio non ce l’ha affatto. E quindi la tigre, la giraffa, così come la guardia o la sentinella, sono grammaticalmente femminili, ma non significa nulla.
Licia:
Grazie a tutti per i riferimenti e i commenti. Come ha fatto notare Luca, a distanza di meno di due anni c’è già una percezione diversa sull’uso di sindaca e sarà quindi interessante vedere se fra qualche anno ci saremo abituati tutti alla doppia forma oppure se rimarrà un esperimento isolato e continueremo a usare il maschile inclusivo.
Questo post è stato discusso anche su Twitter. Vari tweet e relativi mi piace, in maggior parte di donne, mi fanno concludere che la preferenza va decisamente per il maschile inclusivo.
Un argomento che per ora non mi pare sia stato sollevato per l’italiano, a differenza di altre lingue, è la questione delle persone che non si sentono di appartenere né all’uno né all’altro sesso. In svedese, ad esempio, ai pronomi tradizionali di terza persona singolare maschile, han, e femminile, hon, è stato aggiunto il pronome neutro hen; in inglese è sempre più diffuso il cosiddetto singular they e ci sono stati tentativi di introdurre pronomi alternativi neutri come ze, hir o xem. Anche in tedesco pare che ci sia una notevole discussione in corso, cfr. Will a New Law Forever Change the German Language? Se anche in italiano si manifesterà questo tipo di necessità (non tanto per il pronome, visto che l’italiano non ne richiede l’uso, ma per altre parti del discorso), la strategia dell’oscuramento di genere sarebbe preferibile a quella della variabilità di genere per cui invece pare avere optato il Miur.
Nota: i nomi come guardia, guida, tigre, giraffa sono nomi di genere promiscuo. Li ho descritti in Genere grammaticale, naturale e sociale.