Il significato di prequel ormai è noto: è un film, libro o altro che racconta una storia che precede quella di un’opera dello stesso tipo già in circolazione. La parola prequel è stata formata grazie a una rianalisi di sequel, la storia che invece segue quella già nota: il segmento se- è stato interpretato arbitrariamente come un prefisso sostituibile con pre-.
Quel libfix della serialità…
In inglese –quel può essere considerato un nuovo elemento formativo con funzione suffissale, del tipo noto come libfix, perché sul modello sequel → prequel sono nati parecchie altre parole ormai stabilmente nell’uso e qualche occasionalismo.
Sono termini usati soprattutto nell’ambito cinematografico e rientrano nel fenomeno della serialità nella cultura di massa, ossia meccanismi di narrazione basati sulla gestione del tempo che prevedono il ritorno di strutture costanti e allo stesso tempo la loro variazione.
Ho raccolto qualche esempio di parole formate con –quel.
Interquel – storia che avviene tra due altre storie già pubblicate, ad es. tra prequel e originale, oppure tra originale e sequel.
Midquel – per alcuni sinonimo di interquel, per altri invece indica in modo più specifico una storia che riempie un vuoto temporale nell’originale
Newquel – storia che ripropone lo stesso argomento di una storia già pubblicata senza però essere né l’antefatto né la continuazione.
Requel – storia che sfrutta temi di una storia già esistente (re- indica ripetizione) senza però essere un vero rifacimento e senza rientrare in uno specifica sequenza temporale.
Sidequel – storia che avviene “di lato”, in parallelo a quella originale e nello stesso arco cronologico, spesso con il punto di vista di personaggi non protagonisti nell’originale o nuovi.
Threequel – il sequel di un sequel (terzo episodio in una serie)
Altri termini
In questa immagine statica da Lexique du jargon d’Hollywood (interattivo nell’originale di Le Figaro) in aggiunta a prequel, sequel e sidequel si trovano altri termini correlati:
Il remake (di un singolo film o di un’intera serie televisiva) è una nuova versione della stessa storia, fatta anche cambiando ambientazione o epoca ma senza variazioni eclatanti a trama e personaggi principali.
Il reboot invece è il “riavvio” di una narrazione ormai esaurita che viene riscritta e rilanciata prendendo spunto solo da alcuni dettagli e personaggi dell’originale.
Revival si usa quasi esclusivamente con le serie televisive e descrive una serie che viene ricominciata a distanza di anni, riprendendo la storia con gli stessi personaggi interpretati dagli stessi attori.
Retcon, da retroactive continuity, indica una modifica alla forma o al contenuto di una narrazione già nota, in particolare di una serie televisiva o di fumetti, che consente di creare una sorta di universo parallelo dove è accettabile avere una trama o la reintroduzione di personaggi altrimenti in conflitto con la storia principale.
Spin-off è un film, serie televisiva, o romanzo incentrato su elementi o personaggi secondari di un’opera o una serie precedente.
Crossover descrive un film, un episodio di una serie televisiva, un videogioco, un fumetto o un romanzo in cui compaiono personaggi o elementi di un altro film, un’altra serie ecc. Esempio: Batman contro Dracula.
Alcuni di questi termini si possono combinare, ad esempio The Young Sheldon, serie televisiva che ha come protagonista Sheldon Cooper di The Big Bang Theory da piccolo, è descritta come uno spin-off prequel.
Fonti: sequel / prequel / newquel, Sequel, TV Tropes, A Short History of ‘Retcon’. Vignette iniziali: Peter Mueller e Mark Anderson.
Roman Empire – The Series (via Reddit)
Asandus:
Li odio, tutti ‘sti -quel. Un “sequel” normalmente brilla di luce riflessa vivacchiando sul successo del primo film/romanzo/videogioco/altra opera a scelta; un “prequel” lì deve arrivare e lì arriva, senza sorprese e senza colpi di scena, risultando alquanto noioso. Poi, anche roba senza il -quel raramente vale la pena. Uno spin-off con personaggi secondari che diventano protagonisti? Gran pastrocchio. Un remake di un’opera di successo? Non riuscirà mai neppure a fare le scarpe all’originale. Un reboot, cioè riscrivere una storia per renderla di nuovo appetibile? Puah.
zoppaz:
Come si diceva in altra occasione, mi pare che nel vuoto hollywoodiano dove non si sfornano altro che rifacimenti o trasposizioni dai fumetti (a parte poche eccezioni e gli spostamenti degli investimenti sulle serie) stia nascendo una vera e propria terminologia fatta di distinzioni spesso ridicole (a mio avviso) per indicare cose così sottili il cui significato si perde nell’inifinita possibilità degli esercizi di stile delle rivisitazioni.
Invece, mi dispiace molto che questa nomenclatura americana venga ripetuta a pappagallo senza nessuno sforzo di traduzione o di utilizzo di equivalenti italiani.
Vorrei ricordare che un “remake” in italiano è un “rifacimento”;
un “newquel” è una “rivisitazione”, una “variazione sul tema”, una “rielaborzione”;
un “reboot”, da te definito “riavvio” è meglio di niente (a mio avviso è un “rilancio” = che va in altre direzioni rispetto al riavvio di un computer che porta allo stesso percorso, anche se per te la mia proposta è una parola fuorviante);
un “prequel” è un “antefatto”…
Credo sia importante fare circolare le alternative, oltre alle definizioni, e mi sorprende la nostra incapacità di ricorrere a parole italiane e a perseverare nel diffondere in modo acritico le espressioni inglesi che non sappiamo fare altro che ripetere in modo succubo e passivo.
mario:
Gli americani usano parole come opera, melodramma, orchestra, director, tenor ecc. perché nella musica classica sono venuti dopo di noi. Noi usiamo lessico inglese perché oggi sono più forti e creativi loro. Anni fa prendevamo dal francese perché quella era la cultura vincente. Il problema linguistico è secondario: chi primeggia impone il lessico.
Emy:
Nel cartellone con le immagini il disegnatore ci ha regalato un classico refuso: *wierd (strano) invece di weird. 🙂 È una parola talmente “strana” che anche gli anglofoni nativi spesso la scrivono in modo scorretto.
Licia:
@Asandus, @zoppaz, @mario in questo caso però si tratta di termini di nicchia, non di parole del lessico comune e quindi credo siano accettabili gli anglicismi (cfr. grafico: anche il francese ha fatto questa scelta!). L’intenzione del post era comunque diversa: non quella di discutere di anglicismi in italiano ma di descrivere alcuni meccanismi di formazione delle parole tipici dell’inglese, in particolare la facilità con cui vengono creati i cosiddetti libfix come –quel che consentono una notevole coerenza denominativa che invece viene persa in eventuali equivalenti in altre lingue.
@Emy 😉