Vignetta: Bizarro
La vignetta ironizza sulle riorganizzazioni aziendali e gioca con la polisemia della parola inglese bullet, pallottola e proiettile ma anche il pallino • simbolo tipografico. Si chiama bullet point quando è posizionato all’inizio di ciascuna voce di un elenco, bullet / bulleted list, e per estensione di significato può avere anche altre forme.
In italiano il simbolo • è il punto elenco dell’elenco puntato. Molti però preferiscono usare l’anglicismo bullet, spesso storpiando la pronuncia in “ballett” perché ignorano che invece in inglese si dice /ˈbʊlɪt/.
La parola bullet arriva da francese boulet o boulette, “pallina”, diminutivo di boule dal latino bŭlla. L’etimologia è quindi la stessa della parola italiana bolla e del suo allotropo bulletta, un chiodo corto a capocchia larga (ma anche di bolletta, dalla risemantizzazione della parola latina bŭlla in “sigillo”, “bolla”).
Luca:
Grazie.
Non so se l’ho mai detto ad alta voce, ma tra me e me ho sempre pensato a bAllet,
Comunque penso che quando dirò bUllet qualcuno penserà che non so pronunciarlo giusto…
Mauro:
Interessante una cosa del tedesco: la stessa etimologia la ha la parola bulette che è un modo regionale per indicare le frikadelle, polpettine di carne appiattite tipiche del mondo germanico.
Christian:
C’è un film giapponese che si intitola “Bullet Ballet”…
Daniele A. Gewurz
@Luca: Infatti, se pronunci “bullet” non lo pronunci giusto… 🙂
Più in generale, Licia (o Luca che è uno di quelli che lo pronunciavano “a”), secondo voi come mai – considerando che la “u” (come segno grafico) in inglese può corrispondere a vari fonemi e dittonghi, fra cui appunto /ʊ/, nonché /u/, /ju/, /ʌ/ o niente, e che anche in altre parole più o meno simili come _bull_, _bully_ o _butcher_ si pronuncia sempre /ʊ/ – avrà prevalso proprio /a/ (come approssimazione di /ʌ/, suppongo)?
Licia:
@Mauro, grazie per il dettaglio. Le etimologie aprono porte inaspettate!
@Daniele, me lo sono chiesta anch’io. Ci sono molte parole inglesi del lessico di base che dovrebbero se non altro far considerare un adattamento italiano più simile alla forma scritta. L’ipotesi più probabile secondo me è ipercorrettismo influenzato da parole come but, butter, bug, bus, button, buy – spiegherebbe anche la pronuncia errata di bush, pensa ad es. a quanti sbagliano a dire Kate Bush nonostante anni di omonimi presidenti americani! E temo che anche butcher per molti italiani sia “baccer”.
Emy:
Ottima Licia, appena letto il tuo post stavo per scrivere un commento sulla penosa storpiatura di Kate Bush, ma vedo che mi hai preceduta. 🙂 E allora aggiungo Butch Cassidy, purtroppo pronunciato bʌʧ (alla faccia del vero batch, “lotto”). E chissà se ti ricordi la canzone “Dune buggy” dei primi anni Settanta? (io ero alle elementari) Non c’era radio libera italiana che non dicesse dʌn bʌgɪ, anziché djuːn ‘bʌgɪ.
E, sì, sono d’accordissimo con te: anche secondo me la radice del pasticciaccio brutto è proprio l’ipercorrettismo che fa prendere erroneamente a modello vocaboli di base come bus, but, butter ecc.
Emy:
ps: solo per non essere fraintesa da chi passa di qui, specifico che ovviamente batch (lotto) si pronuncia bæʧ, ma si sa che gli italiani con i suoni ʌ ed æ fanno spesso confusione, producendo una a italiana che non è né l’uno né l’altro.
Emy:
@Christian, scommetto che certi italiani storpiatori professionisti pronunciano “Bullet ballet” *ballet ballet! E invece non solo la u di bullet ha il suono ʊ, ma anche ballet ha una particolarità: la pronuncia inglese è modellata su quella anglicizzata della parola francese ballet. La differenza è che in inglese britannico l’accento tonico è sulla prima sillaba e in inglese americano sulla seconda. Quindi “Bullet ballet” in BrE è ˈbʊlɪt ˈbæleɪ e in AmE è ˈbʊlət bæˈleɪ.
Asandus:
Al di là delle questioni di pronuncia (spesso non sono d’accordo nemmeno tra anglosassoni): perché umpf-del-zumpf qui da noi continuano a voler fare a tutti i costi i fighi a parlare in farlocchese? Perché un benedetto “punto elenco” non può semplicemente essere chiamato così? A tutta questa gente che insiste a distruggere una lingua praticamente millenaria io pianterei un /ˈbʊlət/ in testa…
Mauro:
@ Asandus
È purtroppo un problema non solo italiano.
Anche qui in Germania il tedesco ne soffre.
E detto farlocchese viene chiamato Denglisch (che sarebbe il corrispettivo del nostro itanglese) oppure – con un’ironia altrove ignota ai teutoni – Neudeutsch (letteralmente “nuovo tedesco”).
Licia:
@Emy grazie per gli esempi! A proposito di “ma si sa che gli italiani con i suoni ʌ ed æ fanno spesso confusione, producendo una a italiana che non è né l’uno né l’altro”, probabilmente non mi sono espressa bene: con l’esempio di bullet non mi riferivo alla pronuncia di italiani che parlano inglese ma alla pronuncia italiana degli anglicismi, quindi parole inglesi in un contesto italiano.
In questo caso se non c’è un fonema italiano corrispondente a quello inglese è normale, come succede in tutte le lingue e in particolare per le vocali, che prevalga una pronuncia adattata che può comunque variare da parola a parola, condizionata da vari fattori. Ad esempio, la vocale inglese /æ/ di standard /ˈstændəd/ e di standby /ˈstændbaɪ/ (trascrizioni Collins Dictionary) in italiano viene adatta sia come /a/ per /ˈstandard/ che come /ɛ/ per standby /ˈstɛndbai/. Ma nel caso di /ˈbʊlɪt/ non dovrebbero esserci alternative: la /ʊ/ diventa /u/!
In Russiagate e altre pronunce radiofoniche avevo analizzato alcuni esempi e avevo concluso che nel caso di forestierismi e di nomi propri stranieri usati regolarmente in un contesto italiano per facilitare la comprensione è preferibile sempre l’adattamento fonetico agli allofoni italiani, quindi /ˈardwer/, /aʃˌtaɡ/ e /ˈzmartfon/ anziché /ˈhɑːdˌwɛə/, /ˈhæʃˌtæɡ/ e /ˈsmɑːtˌfəʊn/, anche per evitare di apparire eccessivamente affettati se invece si cerca di imitare la pronuncia originale.
Ci sono però molte aree grigie: come comportarsi quando in italiano prevale una pronuncia che si discosta troppo da quella originale? Penso ad esempio a Canterbury, che in italiano si dice con l’accento sulla seconda sillaba anziché sulla prima, oppure a Tucson: non so quanti italiani capirebbero che è la città dell’Arizona se in un contesto italiano il nome fosse pronunciato correttamente come /ˈtuˌsɑn/ senza alcuna /k/.