Le comunicazioni sulla legge di bilancio 2018 sono anche di interesse lessicale perché si scoprono parole nuove: il mese scorso sono stati annunciati fondi per caregiver, in questi giorni invece per care leaver.
Sono parole finora sconosciute a gran parte degli italiani, non ancora registrate da tutti i dizionari e facilmente confondibili se non si sa l’inglese.
Cosa significano esattamente? Sono anglicismi insostituibili oppure esistono alternative italiane che non sono state prese in considerazione dai legislatori?
In breve
Caregiver non è un neologismo: è in uso da tempo in ambiti specialistici. I provvedimenti legislativi però sono rivolti a tutti i cittadini quindi andrebbe preferita una soluzione italiana comprensibile da chiunque e congruente con il lessico e la terminologia già in uso da chi è direttamente coinvolto.
Care leaver ha già un nome italiano, Giovani fuori famiglia “che si trovano in affidamento familiare o in comunità” e che grazie al provvedimento potranno continuare ad avere assistenza fino al compimento del 21° anno di età.
In questo lungo post troverete alcune note su care e caregiver in inglese, riferimenti ed esempi d’uso di caregiver in italiano, incongruenze terminologiche nei testi legislativi, proposte per termini italiani alternativi (familiare-assistente e accuditore) e alcune considerazioni sull’uso di anglicismi in contesti istituzionali.
Care in inglese
Il sostantivo inglese care è molto generico: indica qualsiasi attenzione, cura o altra azione di assistenza rivolta a persona o cosa per assicurarne il benessere fisico, materiale o psicologico, la protezione oppure la preservazione.
Tra i tipi di care più noti ci sono health care, l’assistenza sanitaria, customer care, l’assistenza ai clienti, e childcare, servizi o assistenza per l’infanzia.
Caregiver e carer
Caregiver è una parola dell’inglese americano molto generica che descrive chi si occupa di una o più persone che richiedono assistenza – come malati, disabili, anziani e bambini – e lo fa gratuitamente oppure a pagamento: negli Stati Uniti anche maestri d’asilo e badanti possono essere descritti come caregiver.
Nell’inglese parlato in Europa, che dovremmo preferire come riferimento, si dice invece carer:
Caregiver in italiano
In Italia l’anglicismo caregiver è usato da più di 20 anni in contesti accademici, nella letteratura settoriale e in ambiti assistenziali professionali. Esempio: uno studio del 1994 sulla cura di anziani non autosufficienti. Caregiver è entrato in italiano come termine specialistico con un significato più ristretto che in inglese e poi si è diffuso in alcuni ambiti specifici come l’assistenza a persone affette dal morbo di Alzheimer o da demenza senile.
Per il sito caregiverfamiliare.it, il termine anglosassone “caregiver“ è entrato ormai stabilmente nell’uso comune; indica “colui che si prende cura” e si riferisce naturalmente a tutti i familiari che assistono un loro congiunto ammalato e/o disabile.
Ho qualche dubbio che il termine sia davvero così diffuso. In un commento a Parole inglesi di cui potremmo serenamente fare a meno, ad esempio, un medico ha osservato che raramente i pazienti affetti da malattie neurodegenerative e chi li assiste conoscono la parola caregiver.
Nella mia esperienza di assistenza di un familiare in ospedale non ho mai sentito usare alcun anglicismo ma solo assistere, assistenza e assistito. Una ricerca nei siti di alcune Ausl e aziende ospedaliere me lo ha confermato: non ho trovato occorrenze di caregiver.
Ai media invece l’anglicismo piace, anche se sarebbe facilmente evitabile. In questo titolo, ad esempio, chi assiste sarebbe molto più comprensibile di caregiver:
In una puntata di Tutta la città ne parla, Alzheimer, cura e il lavoro invisibile dei caregiver, ho notato inoltre che gli esperti non concordano nell’interpretazione di caregiver e il suo uso in italiano: per i rappresentanti delle associazioni si tratta esclusivamente del familiare che assiste il congiunto, per una sociologa invece anche del badante retribuito che vive nella famiglia dell’assistito.
Aggiungo anche la voce caregiver del dizionario Garzanti, che ha una definizione ampia di chi assiste ma ristretta dell’assistito: “chi, a livello familiare o professionale, presta assistenza a un malato, specialmente terminale”.
Caregiver per il legislatore
La Regione Emilia-Romagna nel 2014 ha introdotto la legge regionale Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare (persona che presta volontariamente cura ed assistenza) e per la prima volta è stato usato il termine caregiver familiare in un testo legislativo, con questa definizione:
Si nota che viene specificato familiare e che riguarda un’attività volontaria e gratuita.
Negli anni successivi sono stati presentati anche tre disegni di legge nazionali: nel disegno di legge 2048 è usata la locuzione la persona che assiste il parente o affine e nessun anglicismo, mentre 2128 e 2266 usano caregiver familiare con stessa definizione della legge regionale E-R.
In settembre 2017 è stato introdotto uno schema di testo unificato delle leggi 2048, 2128 e 2266 e pare che negli articoli iniziali caregiver sia stato sostituito da Prestatore Volontario di Cura. È una locuzione molto burocratica che difficilmente entrerà nel lessico comune, ed è anche probabile che per questo i politici ignorino il nuovo termine e continuino a preferire l’anglicismo anche se effettivamente eliminato dal testo della legge.
Aggiornamento gennaio 2018 – Il comma 255 della legge di bilancio 2018 (27 dicembre 2017 n. 205) appena entrata in vigore fornisce una nuova definizione di caregiver familiare:
Terminologia istituzionale
Osservando i testi legislativi prodotti finora, è evidente l’incongruenza rappresentata da caregiver familiare rispetto agli altri termini dello stesso sistema concettuale:
– assistenza è l’attività (senza, parziale o totale); in 2266 anche attività di cura e di assistenza familiare
– assistere è il verbo che descrive il lavoro di assistenza; in descrizioni più generiche è usato anche prendersi cura
– (soggetto / familiare) assistito o persona assistita è chi ha bisogno di cura
– piano assistenziale è il contesto operativo
– caregiver familiare è chi fornisce assistenza
– vacanza assistenziale è il periodo in cui il caregiver non può prestare assistenza
– quadro assistenziale, carico assistenziale e risposta assistenziale sono altri termini ricorrenti
Sicuramente il legislatore ha usato caregiver perché è il termine usato nella letteratura specialistica. È anche facile immaginare che il sostantivo assistente sia stato scartato perché già usato in ambiti professionali con un altro significato, chi collabora con qualcuno in una determinata attività. In effetti assistente familiare farebbe pensare a lavoro retribuito (cfr. assistente sociale, assistente sanitario) e oltretutto è anche la locuzione non connotata per badante.
Ritengo comunque che una soluzione alternativa a caregiver familiare potrebbe essere familiare-assistente, e cioè una persona che ha il doppio ruolo di familiare e di persona che presta assistenza (userei il trattino per indicare che sono entrambi sostantivi). Familiare-assistente avrebbe il vantaggio di essere subito comprensibile e soprattutto coerente con gli altri termini dello stesso sistema concettuale.
Escluderei invece alternative con curante perché implicano che vengano prestate cure (diverso da prendersi cura), e quindi che l’assistenza sia solo di tipo sanitario, come quella fatta dal medico curante.
Non mi convince neanche la proposta il prendi cura perché è un calco poco riuscito e non congruente con lessico e terminologia già in uso. Ci ricorda anche che nel lavoro terminologico i termini non si traducono ma si cerca una soluzione che identifichi un concetto equivalente a quello originale, senza farsi condizionare troppo dalla lingua di partenza.
Aggiungo che trovo adatto solo a un contesto familiare ma non istituzionale CuraCari, un neologismo proposto dello scrittore Flavio Pagano.
Aggiornamento: accuditore
In un disegno di legge presentato nell’ottobre 2018, Norme in materia di priorità delle prestazioni domiciliari per le persone non autosufficienti, è stato usato accuditore in sostituzione a caregiver.
Come discusso più dettagliatamente nei commenti qui sotto, accuditore può apparire una parola insolita ma è ben formata perché deriva dal verbo accudire, facilmente comprensibile, e consente di mantenere coerenza terminologica tra azione, accudimento, persona che riceve assistenza, accudito, e persona che la presta, accuditore.
Care leaver
In inglese care leaver fa riferimento a una diversa accezione di care da quella descritta finora: è l’affidamento (affido) di un minore a un ente assistenziale, a una comunità o a una famiglia (put into care), dove rimane finché è minorenne. Al compimento della maggiore età chi è in care deve lasciare (leave) il percorso assistenziale.
Care leaver è senza dubbio un anglicismo superfluo, non riconducibile in alcun modo al concetto italiano di affidamento.
Caregiver e care leaver alla prova
Se seguite il blog sapete già cosa penso degli anglicismi istituzionali: trovo inaccettabile che le istituzioni facciano passare il messaggio che l’italiano non ha le risorse lessicali adeguate a denominare nuovi concetti. Usare anglicismi incomprensibili è mancanza di rispetto per i cittadini che non parlano inglese.
Inoltre, né caregiver né care leaver (nei comunicati scritto erroneamente con la –s finale) passano il test dei criteri di condotta definiti da Francesco Sabatini:
1 Sei veramente padrone del significato di quel termine?
2 Lo sai pronunciare correttamente?
3 Lo sai anche scrivere correttamente?
4 Sei sicuro che il tuo interlocutore lo comprende?
Caregiver e care leaver non risultano facilmente comprensibili e sono anche confondibili tra loro, inoltre la pronuncia si discosta troppo dall’ortografia: quante persone anziane che sentono “cherghìver” (o “cherlìver”) a un TG capiscono di cosa si tratta e che può riguardarle direttamente?
Faccio mie le conclusioni di Sabatini: quando anche uno solo di questi requisiti non è rispettato, vuol dire che chi usa l’anglicismo sta facendo una brutta figura, sta usando quel termine per pigrizia, oppure disprezza l’interlocutore.
Vedi anche: Elenco di anglicismi istituzionali.
Aggiornamento gennaio 2020 – Una conferma che caregiver è una parola ostica anche per chi propone leggi in merito – e quindi dovrebbe avere competenze in materia – si trova nel tweet di una senatrice che confonde cura (care) e automobile (car) e ripetutamente scrive cargiver (cfr. criterio 3 nel test di Sabatini):
Aggiornamento gennaio 2021 – Da un intervento sulle vaccinazioni del presidente della Regione Veneto arriva un esempio ancora più eclatante che l’anglicismo caregiver non è una parola trasparente e che l’errore descritto qui sopra non è un semplice refuso: convinto che il termine sia cargiver, Zaia ha spiegato che si tratta di “coloro che fanno da autisti, che portano in giro il disabile o il non autosufficiente”:
morgaine:
Il termine caregiver è così amato dagli psicologi e psicoanalisti italiani che ogni volta che in una traduzione ho provato ad usare un termine italiano o una locuzione composta da più parole mi hanno costretto a ripristinare l’inglese, sostenendo che non esiste una traduzione adeguata e per loro va bene così (e non è certo l’unico termine che mantengon fieramente in inglese, spesso anche a sproposito).
L’uso che ne fanno comunque è amplissimo: dai genitori alle badanti passando per tutte le figure intermedie immaginabili. Credo che questo termine abbia cominciato ad essere apprezzato quando ci si è resi conto che non è solo la madre a svogere il lavoro di cura per i bambini. Infatti a volte può essere il padre o una nonna o un parente una persona retribuita. Il termine inglese risulta così onnicomprensivo e permette anche di non specificare chi è la persona di cui si parla, anche se di solito è preceduto da un articolo maschile.
Confesso che care leaver non l’avevo mai incontrato.
Licia:
Grazie morgaine. Le tue osservazioni sono molto rilevanti anche perché evidenziano la necessità di fare scelte terminologiche adeguate alle aspettative degli interlocutori. In una comunità scientifica o tecnica ci si aspetta la terminologia standard, quella che usano effettivamente gli addetti ai lavori, come può essere il caso di caregiver (e presumo anche care leaver).
Negli ambiti istituzionali però l’interlocutore privilegiato non è la comunità scientifica ma il cittadino, a cui si dovrebbe garantire chiarezza e un uso responsabile della lingua, anche se in alcun casi potrebbe voler dire discostarsi da tecnicismi ed anglicismi prevalenti. Il legislatore però può permetterselo perché in un certo senso “ha il monopolio” della lingua in ambito giuridico e quindi può optare per soluzioni italiane (come è stato fatto ad esempio per whistleblower che è diventato autore di segnalazioni di reati o irregolarità).
Rere:
“Accuditore” non potrebbe essere un’alternativa valida?
Licia:
@Rere, grazie, non avevo pensato al verbo accudire che con le accezioni che ha nel lessico comune è molto adatto a descrivere cosa fa il familiare che si occupa di persone malate o non autosufficienti.
Approfondimento dal Vocabolario Zingarelli:
Il verbo accudire e i suoi derivati consentirebbero di mantenere coerenza terminologica tra azione, accudimento, persona che riceve assistenza, accudito, e persona che la presta, accuditore (parola che può apparire insolita ma che è ben formata).
Ho fatto una ricerca veloce e ho trovato che accuditore è effettivamente usato in questi contesti, però sia come sinonimo di caregiver che come figura diversa (ulteriore esempio che al momento anche in italiano caregiver ha un significato molto “fluido”).
Esempio un articolo del 2013, Demenza, cura e distress dell’accuditore, dove accuditore è il familiare mentre caregiver è una figura diversa, con un ruolo formale:
In una Proposta di regolamento della legge della Regione Piemonte n. 10/2010 “Servizi domiciliari per le persone non autosufficienti” del 2017 si trova la locuzione accuditore familiare: “[…] la persona che provvede ad assicurare le occorrenti prestazioni domiciliari viene denominato “accuditore domiciliare”. Possono svolgere l’attività di accuditore domiciliare i familiari, nonché gli affidatari ed i volontari […]”. La locuzione non è presente nel testo della legge regionale del 2010 a cui fa riferimento, che riguarda invece gli assistenti familiari, ruolo che esclude i parenti: Si definisce "assistente familiare" la persona professionalmente formata in base all’articolo 6, diversa da altre figure professionali già riconosciute e dai componenti del nucleo familiare dell’assistito.
In Iniziative per il diritto delle persone non autosufficienti alle prestazioni socio-sanitarie residenziali senza limiti di durata e a cure socio-sanitarie presso il domicilio, atto di indirizzo del 2016 di un gruppo di deputati della camera, si trova accuditore domiciliare che descrive familiari o terze persone che prestano cura ed assistenza liberamente.
Accuditore potrebbe essere una buona soluzione perché facilmente comprensibile e riconducibile ad accudire, accudito, accudimento. Se il legislatore decidesse di adottarlo per denominare un nuovo concetto, accuditore diventerebbe un termine giuridico e risulterebbe meno ambiguo perché associato a un concetto specifico.