Il 15 novembre la Camera ha approvato in via definitiva la proposta di legge Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato (C. 3365-B).
Media e politici hanno commentato l’approvazione ricorrendo all’anglicismo whistleblowing, che però non appare mai nel testo della legge. Non sempre danno una spiegazione della parola inglese, come se tutti ne conoscessero già il significato.
Non credo che in Italia il significato di whistleblowing sia davvero così trasparente, anche perché è basato su una metafora che non appartiene alla nostra cultura.
Fino a qualche anno fa era quasi sconosciuto: i media ne discutono regolarmente solo dal 2013, in seguito a uno scandalo americano (rivelazioni di Edward Snowden). In quell’occasione credo che Whistleblower, un concetto poco italiano sia stata la prima analisi sistematica dell’uso del termine in inglese e dell’inadeguatezza del lessico italiano.
Allora i riferimenti nei media riguardavano quasi esclusivamente il mondo anglosassone e avevo concluso che in mancanza di un termine italiano equivalente era accettabile ricorrere al prestito, whistleblower, spiegandone però il significato.
Avevo comunque specificato che se anche in Italia si fosse diffusa la pratica di segnalare illeciti e il legislatore l’avesse tutelata, allora il linguaggio giuridico si sarebbe dovuto adeguare trovando una soluzione italiana. Così è stato:
Il legislatore ha fatto queste scelte terminologiche:
• segnalazione di [reati o] irregolarità whistleblowing
• segnalante di [reati o] irregolarità whistleblower
Ora che abbiamo una legge in materia è arrivato il momento che media e politici rinuncino all’anglicismo (basta whistleblowing!) e privilegino invece la terminologia italiana. È una questione di coerenza, di buona comunicazione* e di rispetto per i cittadini.
Per altri dettagli sull’origine della metafora americana del fischietto e sulle diverse alternative italiane discusse in questi anni vi rimando a Whistleblower, un concetto poco italiano (aggiornato più volte).
Vedi anche: Elenco di anglicismi istituzionali
* Ho il sospetto che non tutti i giornalisti abbiano afferrato in pieno il concetto inglese di whistleblowing, altrimenti non userebbero parole connotate negativamente, come pasionario della soffiata, spifferare, spifferatore, e non descriverebbero chi fa la segnalazione come sentinella, che implica un’attività continua e consapevole di vigilanza.
Paoblog:
Per quanto riguarda l’asterisco, temo che in Italia chi denuncia o segnala malaffare o scorrettezze sia considerato sempre con una valenza negativa.
Che sia a scuola oppure al lavoro, l’etichetta che ti appioppano è sempre quella di “spia”.
D’altro canto ben pochi hanno capito che lo Stato siamo noi e che i singoli cittadini messi insieme formano la Società civile e che quindi rientra nei doveri del cittadino segnalare e, nel caso, denunciare. Peccato che sia poi lo Stato a “remare contro” per primo vedi anche la scarsa tutela dei testimoni, di chi denuncia il pizzo e via dicendo…
P.S. Credo che i politici usino questo termine senza sapere esattamente cosa significhi, al solito. Non lo spiegano e non usano altri termini più comprensibili, perchè loro per primi non sanno di che stanno parlando.
zop:
Gli anglicismi legislativi arrivano o dall’espansione delle multinazionali che impongono i loro termini di diritto nazionale/internazionale (come leasing, franchising…) oppure dal linguaggio mediatico che ribattezza all’inglese la normativa italiana (ho analizzato tra questi esempi il caso di stalking, mobbing, grooming) fino a che, più che nelle leggi vere e proprie, si impongono nel linguaggio comune, quindi quello di giudici e avvocati e infine nelle sentenze. Mi sembra che il tuo esempio si inserisca in questa tendenza e la confermi, anche se al momento non è chiaro se whistleblowing sia un occasionalismo destinato a passare o a entrare nella nostra lingua. Di certo i giornali alimentano questo linguaggio, perché lo preferiscono, perché hanno rinunciato alle regole (per es. di Sergio Lepri) di arrivare a tutti e preferiscono puntare sui termini che evocano e che incuriosiscono invece di spiegare, e poi partono tutti dalle stesse fonti (perlopiù americane) di cui ripetono i termini (come tu spesso testimoni) non necessariamente con un perché o con il significato giusto, basta che suonino inglesi. I politici usano ormai lo stesso linguaggio, che spesso si cela dietro l’inglese per sembrare innovativo, o per motivi eufemistici (meglio parlare di gig ecomomy invece che di sfruttamento dei lavoratori e di abolizione dell’art. 18). La spirale è questa. Se il “dire basta” non passa per la protesta dei cittadini, consumatori o elettori che si possono organizzare a fare sentire la loro voce come è accaduto in Germania nei confronti delle Ferrovie… temo che vie di uscite non ce ne siano.
Licia:
@Paoblog, non a caso avevo intitolato il mio primo post Whistleblower, un concetto poco italiano 🙁
@zop whistleblowing ormai è così diffuso che va scartata l’ipotesi occasionalismo.
All’origine degli anglicismi legislativi aggiungerei anche regolamenti, direttive e altro dell’UE, o meglio, i media che fanno riferimento ai comunicati stampa o altre fonti in inglese anziché usare la documentazione italiana (nelle istituzioni europee c’è un enorme sforzo per denominare in italiano ogni nuovo concetto giuridico). Qui nel blog ho vari esempi, ad es. in ambito migrazione hotspot e relocation.
Ridimensionerei invece il ruolo delle multinazionali: che interesse avrebbero a imporre terminologia inglese?
Visto che l’hai citata: Cos’è la gig economy (di tutti i miei post, uno dei più visualizzati).
Legato:
La traduzione più appropriata che mi viene in mente è “sicofante”, anche se ha acquistato una connotazione negativa.
Se invece si cerca un termine connotato positivamente, mi piacerebbe venisse usato “parresiasta”. Il significato non è completamente sovrapponibile, ma porta con sé l’idea del rischio che si è pronti ad assumere rivelando la verità per il bene della comunità. E’ un po’ troppo “fuori moda”?
(E’ la prima volta che intervengo su questo blog, anche se lo seguo con interesse ormai da diverso tempo. Ne approfitto quindi per fare i complimenti al lavoro di Licia)
Licia:
@Legato, grazie, mi fa molto piacere che i lettori mi facciano sapere cosa pensano del blog. 😊
E grazie anche per avermi fatto imparare una parola nuova, parresiasta.
Voce parresia dal Dal Vocabolario Treccani: [dal gr. παρρησία «libertà di parola»]. – Schiettezza, franchezza; estens., libertà di parola eccessiva, sfrenata.
Ci sono vari fattori che possono determinare il successo di una parola (cfr. Occasionalismi o neologismi?). Tra questi, è importante la trasparenza: le parole che si capiscono senza spiegazioni e che per questo possono essere ricordate facilmente hanno maggiore possibilità di successo. Temo che parresiasta non abbia questa qualità. Mi pare inoltre che descriva il carattere della persona: è sempre così. Il whistleblower invece è definito dalla particolare azione che si ritrova a fare, può darsi per la prima e l’ultima volta nella vita.
Come hai già evidenziato, la parola colta sicofante nel suo significato esteso ha connotazioni negative che la avvicinano a delatore, calunniatore o spia e quindi la rendono inutilizzabile per rendere whistleblower.