Mi ricollego a Cosa sono i “file declassificati”? per ricordare che in inglese la parola file ha vari significati e tra questi l’accezione “raccolta di informazioni su una persona o uno specifico argomento” è quella su cui si basa la risemantizzazione informatica.
Un file, nel significato acquisito anche in italiano, è una “raccolta di dati strutturati, memorizzati su un computer o un altro dispositivo sotto un unico nome”.
Esistono innumerevoli tipi di file – di immagine, di testo, video, audio, di sistema, di programma e molti altri – ma le azioni che si possono fare con ciascuno sono coerenti con la metafora della raccolta di informazioni che si crea, si apre, si chiude, si può spostare, conservare per uso futuro (salvare) o eliminare, si può classificare inserendola in appositi contenitori (cartelle) assieme a file attinenti; si può anche decidere chi ha l’autorizzazione ad accedere ai dati, a leggerli e a modificarli.
Dall’ufficio al computer
Nell’accezione informatica file fa inoltre parte della metafora computer as an office che ho descritto in Metafore e terminologia informatica e che in inglese include anche document, page, mail, attachment, folder, directory, archive, clipboard, desktop, wastebasket ecc. Sono tutti esempi di terminologizzazione.
Si nota subito che in italiano non sempre è stato operato lo stesso tipo di risemantizzazione dell’inglese. Sono congruenti con la metafora dell’ufficio i neologismi semantici come documento, pagina, posta (elettronica), allegato, cartella, appunti, scrivania (Apple), cestino. Non lo sono invece i prestiti come directory, (e)mail, desktop (Microsoft) e file, che rendono l’associazione con le azioni corrispondenti poco intuitiva.
File vs archivio
In italiano file è da tempo un anglicismo insostituibile ma nel secolo scorso è coesistito con l’alternativa archivio, diffusa grazie ai primi prodotti Apple.
Presumo che la scelta di archivio da parte Apple fosse stata condizionata soprattutto dalle funzioni del menu File, che però non prende il nome dal sostantivo ma dall’imperativo del verbo file (“schedare, archiviare”). In seguito comunque anche Apple si era uniformata alla terminologia prevalente in Italia e aveva sostituito le occorrenze di archivio con file.
Scelte di localizzazione
Le sostituzioni di termini ad alta visibilità ed alta frequenza com’era archivio richiedono valutazioni attente perché sono molto costose e potrebbero disorientare gli utenti. Forse però per Apple il cambiamento era stato anche una necessità perché il termine archivio risultava più adatto per altri concetti. Infatti, nelle versioni italiane di iOS il termine archivio ora è usato per altri due concetti, in inglese identificati da storage e da archive.
Il problema del termine che sarebbe perfetto per un nuovo concetto ma è “già preso” da un concetto preesistente non è insolito nella localizzazione: ho descritto l’esempio di wizard in Se non c’è la sfera di cristallo…
Se in una lingua di localizzazione mancano equivalenti adeguati, se la risemantizzazione non risulterebbe efficace (ad es. perché le metafore usate in inglese non sono congruenti con il proprio sistema linguistico e culturale) o se le scelte disponibili creerebbero ambiguità, allora il prestito può essere un’alternativa valida, anche se inizialmente poco trasparente.
Tornando a file, mi pare che nel contesto italiano si sia dimostrato comunque una buona scelta: è un termine conciso, facilmente riconoscibile, ha valore monosemico e non può essere confuso con altri concetti.
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Per approfondire:
♦ Metafore e terminologia informatica 1 (analogie imperfette)
♦ Metafore e terminologia informatica 2 (accettabilità)
♦ Oggetti, concetti e segni nelle interfacce (trasparenza)
♦ “Provate voi a tradurre home page” (un altro anglicismo).
vinab:
Interessante articolo; sempre utile ricordare la storia dell’utilizzo dei termini nei settori tecnici. Vorrei ricordare che agli albori dell’informatica italica si tentò, prima ancora di archivio, “flusso”. Non nel senso generale di “flusso di informazioni”, in inglese information flow, ma proprio nel senso di file informatico.
Di questo arcaico utilizzo mi pare che resti traccia solo nei “flussi informativi” che le Aziende sanitarie e le Regioni devono per legge fare confluire verso il Ministero, della Sanità prima e della Salute adesso. Sono diversi file, descritti precisamente dalle normative, e tutti li chiamano flussi informativi ancora oggi. Per cui se si scrive un articolo scientifico in inglese diventano “information flows”, ed io fatico a spiegare che sarebbe meglio dire “[structured] [data] files”. Qualche altra esperienza di questo tipo?
zop:
Dissento, come sai, sulla presunta insostituibilità di ogni foresterismo,da un punto di vista logico più che storico. File è “insostituibile” perché ormai le cose sono andate così, e parlare per esempio oggi di “unità di archiviazione” (a mio avviso perfettamente utilizzabile in ogni contesto) si scontra con l’uso, che di fatto si è imposto perché a suo tempo si è deciso di chiamarlo “file” invece che in altri modi, e la gente ha continuato a usare questa parola. E’ un circolo vizioso che rende gli anglicismi insostituibili/utili; e anche la loro sinteticità che li rende comodi è un alibi, se l’avessimo introdotto e scritto nelle interfacce dei programmi come “ua” (unità di archiviazione), oggi lo chiameremmo così e sarebbe ancora più conciso. (Perdona, ma non ho resistito a dire la mia, consapevole che non sei d’accordo ^_^ ).
Elio:
@zop: hai perfettamente ragione!
Vediamo anche di rispolverare il buon vecchio termine “direttorio”al posto del forestierismo “directory” !1!!1!! 😉
Licia:
@vinab, grazie, non lo sapevo. Ad aumentare la potenziale confusione non solo flow=flusso ma anche stream=flusso!
@zop attenzione però che unità di archiviazione è “già preso”: identifica un altro concetto, storage drive, e cioè il dispositivo di un supporto di memoria come può essere un CD, una scheda SD, una chiavetta USB ecc. in cui si possono memorizzare file. Ho descritto il termine unità in Dischi rigidi, fissi e “solidi”.
L’eventuale acronimo UA inoltre sarebbe stato ancora meno trasparente di file. In questi casi meglio essere pragmatici e resistere alla tentazione di “qualsiasi cosa purché non sia inglese”! 🙂
@Elio, me l’ero del tutto dimenticato, direttorio era un altro clamoroso falso amico! In inglese una struttura di catalogazione (cfr. phone directory, l’elenco telefonico), in italiano un regolamento ecclesiastico o un collegio direttivo.
Marco B:
Aggiungerei che i flussi nelle cartelle del direttorio sono fatti di ottetti. Anche quando il catalogo è incorretto.
Asandus:
Purtroppo in ambito tecnologico ci siamo messi in trappola da soli. Sapete cos’era il “computer” prima di essere un coso che in italiano ha avuto molti nomi poco azzeccati (calcolatore, puah, troppo generico; elaboratore, troppo complicato; cervello elettronico, ma va’, è tutto meno che un cervello…)? Era il contabile aziendale! Ma adesso pure quella figura professionale in inglese ha un altro nome (che non mi viene in mente ora). Comunque, adesso, come tanti termini tecnologici, è un termine che dobbiamo usare in inglese… Altri sono perfettamente traducibili (periferiche del computer: il mouse, l’hard disk, il monitor – parola latina, tra l’altro) ma vorremmo chiamarli “topo”, “disco rigido”? L’unico che possiamo salvare è il monitor: possiamo chiamarlo schermo.
zop:
Cara Licia, al di là del mio esempio forse infelice di “ua”, che era solo teorico, non una proposta, il punto non è “qualunque cosa tranne l’inglese” ma al contrario la nostra mentalità per cui “va bene tutto purché sia inglese”. “File” (in inglese un concetto tutt’altro che monosemico) non esiste come voce nella Wikipedia spagnola… perché lì lo traducono, a seconda dei contesti, nella loro lingua, e non se ne vergognano, mentre in Francia per es. nella versione di Word francese, non c’è la parola file, come al posto di home si trova accueil e via dicendo. Spacciare come intraducibili i termini come file, home page (invece di pagina principale ecc…) è una visione del mondo, non una necessità.
Licia:
@zop è innegabile che file è ormai insostituibile perché è comprensibile in modo univoco da chiunque abbia un minimo di familiarità con i computer. Inoltre è un grosso vantaggio che in italiano sia monosemico, a differenza dell’inglese! E dopo più di 40 anni che è nell’uso non credo sia molto utile discutere delle possibili alternative, anzi, meglio che non ce ne siano più perché così si evitano ambiguità. 🙂
Come ho già commentato nel tuo blog, nella discussione sugli anglicismi credo sia importante evitare di metterli tutti sullo stesso piano e vadano invece fatte alcune distinzioni che ho descritto in L’invasione degli anglicismi, ad es. tra lessico comune e specialistico, tra concetti nuovi e già esistenti, tra uso attivo e passivo, senza dimenticare gli aspetti diacronici.
Sono una terminologa e quindi per me sono fondamentali questi aspetti:
♦ approccio onomasiologico: orientamento al concetto anziché al termine;
♦ i termini non si traducono ma si cercano equivalenze tra lingua 1 e lingua 2;
♦ i termini non sono statici e isolati ma “competono” con altri termini (sistemi concettuali)
♦ vanno considerati anche gli aspetti pragmatici, comunicativi, diacronici ecc.
Inoltre, ritengo sia preferibile soffermarsi sugli anglicismi superflui e su quelli nuovi, senza perdere tempo su quelli in uso da tempo e ormai parte del lessico di base: non è realistico pensare di sostituirli o introdurre alternative.
Credo che queste distinzioni siano essenziali perché il dibattito sugli anglicismi possa essere rilevante per tutti, non solo per chi è già convinto che se ne stia abusando.
Non mi pare che tu sia su Twitter ma prova a considerarlo: lì puoi discutere di anglicismi direttamente con chi li usa e trovare molti esempi, ad es. io uso spesso l’hashtag #itanglese proprio per richiamare l’attenzione sugli anglicismi superflui.
Nuovo post in tema (2018): Anglicismi, che passione!?