A Parole in cammino, il festival dell’italiano e delle lingue d’Italia che si è svolto nei giorni scorsi, sono stati premiati Enrico Mentana e il bambino Matteo per i neologismi webete e petaloso, di cui si è tanto discusso nel 2016.
Ricorderete che l’Accademia della Crusca aveva spiegato che perché un occasionalismo si trasformi in un neologismo “bisogna che la parola nuova non sia conosciuta e usata solo da chi l’ha inventata, ma che la usino tante persone e che tante persone la capiscano”.
A distanza di più di un anno petaloso è sicuramente capito da tutti ed è effettivamente entrato nell’uso, come mostra anche il titolo di un libro di cucina recente:
Torte petalose è una descrizione efficace, scelta per rendere in italiano il titolo originale francese, Rose tartes. Nella presentazione del libro l’editore cita esplicitamente – e furbamente – la storia di Matteo e poi conclude:
[…] le torte di questo libro si potrebbero dire floreali o simili a rose, ma la descrizione più immediata passa senza dubbio da quell’aggettivo tanto (forse troppo) acclamato su social e quotidiani. Accanto a questo volumetto di ricette, però, petaloso sembra esistere da sempre, e non si può che sperimentare la sua incarnazione in cibo: petali di mela, pera e pesca delineano graziose roselline avvolte in gusci di pasta frolla […]. Adesso però, libro alla mano, dimenticate aggettivi, vocabolari e mode social per entrare in un vero giardino di delizie.
Ribadisco quello che ho già scritto allora: polemiche gratuite a parte, sono convinta che le discussioni su petaloso siano (state) una bella occasione per riflettere sui meccanismi della lingua.
O tempora:
Che tristezza…