In una notizia alla radio sull’abolizione dei voucher per il lavoro occasionale ho sentito dire più volte “giòbbon col”, senza alcuna spiegazione. Ho dovuto riflettere per capire che era una sequenza per me insolita di tre parole inglesi, job on call.
Definizione di job on call dal sito dell’INPS: “contratto di lavoro subordinato con il quale il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro per svolgere prestazioni di carattere discontinuo o intermittente”. L’INPS specifica anche che job on call è sinonimo di lavoro a chiamata e di lavoro intermittente.
Questo tipo di contratto è stato introdotto nel 2003 (Legge Biagi) e aggiornato nel 2015 con il cosiddetto Jobs Act, nello specifico dal decreto legislativo 81/2015 con l’articolo 13, Lavoro intermittente. Come si può facilmente immaginare, il legislatore usa solo terminologia italiana e non ricorre mai all’inutile job on call.
Job on call, pseudoanglicismo
L’aspetto più ridicolo però è che job on call non è neppure una locuzione inglese ma uno pseudoanglicismo, traduzione letterale di “lavoro a chiamata” costruita con l’ordine errato del determinato (job) prima del determinante (on call), cfr. inglese reale on-call employment.
Purtroppo job on call è l’ennesimo esempio di inglese farlocco, pensato da italiani per italiani, ancora più grave in un contesto istituzionale come l’INPS che invece dovrebbe privilegiare terminologia comprensibile a tutti i cittadini. Ed è una pessima idea usarlo alla televisione o alla radio: “giòbbon col” è difficile da capire se non si è mai visto scritto.
Altre osservazioni in tema nel mio Elenco di anglicismi istituzionali.
In inglese on call si usa soprattutto nella locuzione to be on call che indica il servizio di reperibilità per urgenze, tipico ad esempio dei medici o di altri tipi di assistenza: tonight I am on call equivale a stasera sono in reperibilità. Altri esempi in Oxford Dictionaries.
John Dunn:
Nel Regno (finora) Unito c’è un contratto di lavoro che si chiama: Zero hours contract. Non sono esperto in questa materia, ma a mio parere uno zero hours contract sarebbe più o meno uguale a lavoro a chiamata.
Licia:
@John, grazie. Una conferma anche da un esperto in materia:
Massimo S.:
Il prof. Claudio Giovanardi in Inglese-Italiano 1-1, Manni 2003, a pag. 198, ha sostenuto che “job on call” è una polirematica come “lavoro su chiamata”, sebbene più sintetica, e che “nei siti di rete anglofoni, comunque, compare la locuzione job on call col valore di ‘lavoro interinale'”.
Secondo la ricostruzione di Giovanardi la locuzione inglese, effettivamente esistente, sebbene usata con diverso significato, sarebbe entrata in auge da noi con l’approvazione nel 2003 della legge n. 30, la legge delega di riforma del lavoro, ed è stata poi tradotta dai giornali nella locuzione italiana anzidetta.
In realtà, come ha ben notato Licia (e feci a suo tempo notare al professore con apposita email), il testo della legge 30 non contiene locuzioni inglesi e così neppure il D. Lgs. attuativo n.276/2003, ma all’epoca fu tutto un fiorire sui giornali di job on call, job sharing, staff leasing e così via…
Ad ogni modo fu subito chiaro a molti che nel concreto contesto italiano le nuove forme di lavoro introdotte o regolamentate avrebbero portato ad un peggioramento della condizione lavorativa generale senza neppure offrire vere ed efficaci tutele ai prestatori dei nuovi lavori.
Percezione all’epoca icasticamente palesata dalla proposizione scherzosa, su taluni giornali, della traduzione “operaio squillo”, segnalata sempre da Giovanardi nel libro citato (pag. 197) e da lui definita “spiritosa” ed “espressiva”.
tagliasiepi:
E’ da molto che navigo e mi sono imbattuto in questo blog.
Veramente ben fatto. Un caro saluto!