Un nuovo esempio per il mio elenco di anglicismi istituzionali:
In inglese public speaking indica genericamente la pratica o l’azione del parlare in pubblico e non rappresenta un nuovo concetto: la locuzione public speaking è in uso dal XVI secolo!
Un sinonimo inglese più formale di public speaking, poco usato nel lessico comune, è oratory, l’arte del parlare rivolgendosi a un pubblico (l’oratoria).
Sono concetti noti da secoli anche in italiano, eppure il Ministero dell’Istruzione preferisce ricorrere all’anglicismo, come si può vedere nel comunicato Il “public speaking” tra i banchi (dove si legge anche che gli studenti potranno raccontare le proprie idee con un proprio talk in 11 diverse categorie). Ho provato a chiedere spiegazioni al Miur:
Il mito della maggiore precisione dell’inglese
Le motivazioni che per il Miur rendono preferibile public speaking includono “termine molto utilizzato e diffuso”, “molto efficace in questo caso”, “rende meglio per sintesi e immaginario di parlare in pubblico”, non è “semplice parlare in pubblico” (ma non mi hanno chiarito eventuali differenze).
È la percezioni soggettiva, tipica di chi ricorre all’itanglese, che gli anglicismi siano più specifici e più evocativi di qualsiasi parola italiana.
Dalle istituzioni ci si aspetterebbe maggiore attenzione alla lingua: l’uso di anglicismi superflui propaga l’idea che l’italiano non ha le risorse lessicali adeguate a denominare nuovi concetti.
Anglicismi istituzionali
È ancora più preoccupante se il concetto è già esistente ma si preferisce seguire le mode o mascherarlo con un nome esotico per farlo passare come novità. La prova? Il Miur stesso scrive che l’iniziativa è volta a “incrementare le competenze argomentative e la capacità di parlare in pubblico degli alunni”.
Un’ulteriore conferma si trova nelle descrizioni dei media. Esempio: Imparare a parlare in pubblico […] oggi si chiama «public speaking» […] La culla dell’argomentazione è il nostro Paese, la capacità di argomentare non nasce negli Stati Uniti (in inglese manca un verbo efficace e specifico come argomentare!).
In Il “public speaking” tra i banchi di scuola anche il capo di gabinetto del Miur, Alessandro Fusacchia, evidenzia capacità oratorie e competenze argomentative (e cita Cicerone) ma non si preoccupa di chiarire* perché ora vadano chiamate public speaking.
Sono sempre più convinta che ricorrere ad anglicismi superflui, per quanto diffusi, sia una mancanza di rispetto per i cittadini. Ne ho già discusso sul Portale Treccani in Le comunicazioni istituzionali e il rischio dell’inglese farlocco, con vari riferimenti al Miur.
Speaker, speech e presentation
In inglese chi fa un discorso in pubblico (make / deliver / give a speech) è uno speaker. In italiano la ministra Giannini ha descritto come speaker i ragazzi che hanno parlato in pubblico, dimenticando che usiamo l’anglicismo con il significato di annunciatore (radiofonico, televisivo o di risultati a eventi sportivi ecc.) ma non con quello ulteriore di oratore, relatore o conferenziere che ha invece in inglese.
Trovo inoltre del tutto superflui gli anglicismi speech e talk, molto usati nell’itanglese aziendale. In inglese però sono due parole generiche con significati molto ampi, cfr. discorso, intervento, contributo, colloquio, conversazione, dialogo, conferenza…
In inglese si preferisce presentation se si parla a un pubblico in contesti aziendali e commerciali per illustrare un prodotto, un’idea o un nuovo concetto, di solito con l’ausilio di programmi come PowerPoint.
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* L’articolo cita anche l’elevator pitch, senza però chiarire di cosa si tratti (maledizione della conoscenza?). È un concetto “aziendale” americano che dubito sia noto nella scuola italiana, cfr. Into the MIUR, con elevator pitch!
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Vignette: Savage Chickens
Aggiornamento – Rimanendo in tema, vi suggerisco di leggere un intervento di Annamaria Testa, Anglo-pedagoghese: la strana lingua del Miur uscito oggi su Nuovo e utile.
Alpha T:
Per “elevator pitch” propongo “presentazione il tempo di una tazzina”, che sarà leggermente più lungo ma ha immediatezza nel nostro contesto.