Sicuramente avete saputo della polemica sui questionari di alcune scuole superiori del Regno Unito che discriminerebbero etnicamente gli italiani, costringendoli a identificarsi come Italian (Napoletan), Italian (Sicilian) o Italian (Any Other).
In realtà si tratterebbe di una classificazione linguistica per poter fornire eventuale supporto a parlanti stranieri, quindi non c’entrano né il razzismo né la Brexit. Pare anche che in seguito alla protesta dell’ambasciatore italiano a Londra i Language codes incriminati, esistenti da tempo, verranno eliminati, cfr. UK Apologises To Italians Over School Admission Forms Error.
I media italiani hanno comunque distorto la vicenda: ne discutono Antibufala: questionario scolastico britannico chiede "Italiani, napoletani o siciliani?” e L’infondata indignazione sulla "schedatura" dei meridionali a Londra.
Rimangono però parecchie perplessità sui criteri di classificazione usati per l’italiano dal Department for Education britannico. Non mi pare abbiano alcuna utilità pratica ma non credo si saprà mai cosa li ha motivati. Posso comunque provare a fare qualche osservazione linguistica.
Perché proprio italiano-napoletano e italiano-siciliano?
La notizia potrebbe far supporre che gli italiani di origine napoletana e siciliana siano prevalenti tra i circa 150.000 connazionali ufficialmente residenti nel Regno Unito. Mancano però dati pubblici a sostegno di questa ipotesi.
Sospetto invece che c’entrino i dati forniti da Ethnologue, organizzazione la cui finalità è la diffusione della bibbia in più lingue possibile e i cui criteri di classificazione e di valutazione del numero di parlanti sono parecchio discutibili. Eppure Ethnologue ha fortemente influenzato lo standard per la classificazione delle lingue ISO 639-3 (e 639-2, cfr. commenti) e viene ritenuta una fonte attendibile.
Per Ethnologue, in Italia si parlano ben 34 “lingue” diverse. La principale è l’italiano, al secondo posto Napoletano-Calabrese (Neapolitan in ISO 639) con 5,7 milioni di parlanti e al terzo Sicilian con 4,7. Per chi non ha familiarità con la realtà linguistica italiana sono numeri che appaiono molto importanti.
Lingue e dialetti
Va anche tenuto presente che i concetti identificati da language e dialect in inglese non coincidono con lingua e dialetto in italiano: qualche dettaglio in Esempi di “dialetti” inglesi.
In Italia ci sono opinioni contrastanti (e spesso motivate ideologicamente) su cosa sia lingua e cosa sia dialetto. La distinzione superficiale che avevo imparato a scuola è che solo sardo e friulano sono lingue perché formano il plurale aggiungendo una –s, un’importante differenza morfologica rispetto all’italiano e i suoi dialetti che invece cambiano la desinenza del singolare. A questo proposito interessante notare che tra i codici linguistici dei moduli scolastici britannici è incluso anche il sardo, indipendente dall’italiano, ma non il friulano: forse anche in questo caso contano i numeri, nettamente inferiori per il friulano.
Per distinzioni più precise si può consultare la voce dialetti dell’Enciclopedia dell’Italiano Treccani. Fornisce informazioni dettagliate sulle classificazioni e sulle differenze tra i sistemi dialettali, ad es. si ha la conferma che il napoletano e il siciliano, entrambi dialetti dell’area meridionale, hanno caratteristiche comuni che riguardano tratti fonetici, lessicali e grammaticali.
Supporto linguistico a napoletani e siciliani
L’apprendimento di una lingua straniera (L2) da parte di un adulto è condizionata dalla propria madrelingua (L1). Ad esempio, uno spagnolo non avrà difficoltà a imparare l’uso dell’imperfetto in italiano, un inglese invece sì perché è un tempo inesistente nella sua lingua.
Proprio perché le caratteristiche dei dialetti meridionali italiani sono comuni, in un contesto di lingua inglese non si capisce come dovrebbe differire un eventuale supporto linguistico L2 per un napoletano e per un siciliano (ma anche qualsiasi altro italiano) e che tipo di competenze specifiche dovrebbero avere i loro insegnanti.
Da un punto di vista didattico la distinzione fatta nel Regno Unito non mi pare in alcun modo giustificata: i problemi linguistici dovrebbero essere simili per tutti gli italiani, indipendentemente dalla loro provenienza geografica.
Gli italiani e il dialetto
Avrebbe senso distinguere invece tra chi parla italiano standard e chi solo dialetto? In un contesto L2 direi di no, a meno che non si voglia ricavare informazioni su ceto o classe sociale, peraltro difficilmente interpretabili al di fuori del paese d’origine.
È comunque estremamente improbabile che un italiano che inizia a frequentare le scuole superiori nel Regno Unito in questo decennio sia solo dialettofono, quindi neppure questa eventuale classificazione avrebbe molto senso.
Un riferimento utile è il rapporto Istat L’uso della lingua italiana, dei dialetti e di altre lingue in italiano per l’anno 2012. Si trovano le percentuali di uso di italiano e dialetto per età, sesso, ripartizione territoriale, titolo di studio e contesti relazionali. Aggiornamento: ora sono disponibili i dati per il 2015.
Si scopre che nella fascia di età 18-34 anni parla esclusivamente dialetto in famiglia solo il 5% dei giovani (2% delle donne), e che con estranei la percentuale di chi parla dialetto scende allo 0,5%.
È un’ulteriore conferma che la schedatura linguistica degli studenti italiani nelle scuole del Regno Unito non ha ragione di esistere.
.
Vedi anche: Esempi di “dialetti” inglesi e L’idioma dei giornalisti.
In inglese “napoletano” si scrive Neapolitan e non *Napolitan come invece appare nei moduli e nei documenti di riferimento del Department for Education.
Gianmaria:
Avevo seri dubbi sia sull’utilità della cosa che sulle ipotesi razziste. Grazie dell’analisi, estremamente interessante.
La bufala del questionario britannico | Il Post
[…] L’elenco delle lingue è uno standard usato internazionalmente per i contesti più diversi: basti dire che le stesse lingue – compreso sardo, napoletano, eccetera – sono persino nelle scelte di lingua degli iPhone […]
Antibufala: questionario scolastico britannico chiede “Italiani, napoletani o siciliani?” | Il Disinformatico
[…] classificazione linguistica, giusta o sbagliata che sia (in proposito c’è un ottimo articolo di Licia Corbolante su Terminologiaetc.it). Se poi volete continuare lo stesso a indignarvi sul fatto che nel Regno Unito […]
Paolo Porcaro:
È possibile ipotizzare una differenza tra napoletano e siciliano in alcune abitudini di pronuncia? Ad es.: la “R” siciliana assomiglia molto di più alla “R” intervocalica inglese che non la “R” di un neapolitan-speaking (ed in questo caso sarebbe rilevante anche se il parlante non fosse abituato a parlare in dialetto, a meno che non abbia una dizione perfetta).
A margine, mi domando quanto sia stata la discesa di coloro che si identificano come parlanti napoletano o siciliano, negli anni… una rilevazione statistica ha anche questi obiettivi, no?
Alpa:
In realtà probabilmente si tratta di una classificazione obsoleta basata sullo standard 639-2 (precedente al 639-3) in cui appunto compaiono le lingue citate nel questionario.
Quindi mi sembra che le classificazioni usate dall’Inghilterra siano vecchie e superate.
Tra l’altro, l’italiano standard (di origine toscana) secondo Ethnologue è una lingua italo-dalmata insieme al napoletano e al calabrese; semmai andrebbero considerate a parte piemontese, lombardo, emiliano, friulano e veneto che sono lingue gallo-romanze, più vicine quindi al francese.
Una classificazione italiano-nord vs italiano-centro-sud avrebbe avuto più senso.
Concordo comunque con te che, se lo scopo è tarare la didattica, tutte queste distinzioni sono oggi inessenziali.
Alpha T:
Bella analisi. Ma quale che sia l’origine, rimane la mia primissima impressione: sempre a caccia di sottogruppi gelosi della propria indipendenza da coccolare e distinguere, i burocrati inglesi saturi di politically correct han ben pensato di abbondare nell’identificazione di gruppi che avrebbero ipoteticamente voluto essere linguisticamente distinti, senza conoscere la situazione e ottenendo l’effetto contrario.
Claudio (l’altro):
Mi associo ad Alpa: la tabella ISO 639-2 riporta solo italiano, siciliano, napoletano, e sardo, oltre a un generico “lingue italiche”.
Guardacaso esattamente le stesse scelte del censimento britannico.
Inoltre l’ambasciata britannica conferma che i codici erano in vigore dal 2006:
https://www.facebook.com/ukinitaly/posts/1201479709922921?hc_location=ufi
Mentre lo standard ISO 639-3 è stato pubblicato nel 2007.
Evidentemente utilizzavano lo standard in vigore nel 2006 (ISO 639-2).
Adesso o adeguano le tabelle al nuovo standard (e ci mettono anche friulano e compagnia), o faranno qualche pecionata per far contenti tutti i permalosi dalla tastiera facile.
maicolengel:
“È comunque estremamente improbabile che un italiano che inizia a frequentare le scuole superiori nel Regno Unito in questo decennio sia solo dialettofono, quindi neppure questa eventuale classificazione avrebbe molto senso.”
Non colgo da quale certezza possa derivare il suo “è estremamente improbabile”
So bene che il caso personale non può far statistica, ma ho moglie londinese insegnante d’inglese in Italia e brother in law insegnante d’inglese in UK. La mia esperienza, confrontata anche con loro, è che non sia raro trovare figli d’immigrati che conoscono perfettamente l’inglese ma non sanno parlare in maniera corretta l’italiano (ma conoscono il dialetto della zona di provenienza dei genitori). Come spiegava anche Paolo Attivissimo nel suo post è molto più facile che una coppia d’italiani emigrati in cerca di fortuna tenti di ricreare il proprio piccolo mondo all’estero, piuttosto che usare l’italiano che imparava a scuola. E così i figli, che assorbono come spugne, parlano più facilmente la lingua dell’area di provenienza dei genitori, non l’italiano nazionale.
Licia:
Grazie a tutti per i commenti.
@Paolo credo che queste differenze di pronuncia abbiano un impatto davvero minimo. Sul numero di italiani, tempo fa avevo letto che i nuovi immigrati sono in buona parte dall’Italia settentrionale e quasi tutti diplomati o laureati.
@Alpa @Claudio ho fatto riferimento a ISO 639-3 perché “gestito” da Ethnologue, che però aveva influenzato ISO 639-2. Sulle classificazioni di Ethnologue ho molti dubbi: in ambito informatico è un riferimento che per l’internazionalizzazione gli sviluppatori americani prendono come oro colato ma contiene informazioni obsolete, non corrette e anche poco oggettive, e non solo per l’Italiano. È probabile che il ministero britannico abbia usato gli elenchi senza porsi troppi problemi sulla loro adeguatezza…
@maicolengel: attenzione a non confondere L1 e L2. Le rilevazioni della lingua servono a capire le esigenze di eventuali stranieri che hanno l’inglese come L2 (cfr dichiarazione del portavoce del Foreign Office: “The UK government collects language information as part of the school census to ensure children whose first language in not English still have the best possible education in Britain”). È il caso degli degli italiani nati in Italia che si iscrivono a una scuola superiore britannica dopo avere fatto la scuola dell’obbligo in Italia: è di questi che dico che è altamente improbabile che siano dialettofoni.
Per italiani di seconda generazione (figli di immigrati) l’inglese è L1 e quindi per le istituzioni scolastiche è irrilevante se a casa parlino italiano o dialetto come L2.
Giampiero:
Nessun problema sulla natura statistica della rivelazione; nessun problema sulla gestione “privatistica” delle ISO (che però entrano tra gli standard del diritto unionale europeo); nessun problema neppure sul fatto che i fruitori di diritto privato debbano sapere se fronteggiano un italiano con alta probabilità di dialettologia come comunicazione primaria. Il fatto che non torna è, però, che una pubblica amministrazione di uno Stato membro dell’UE (almeno finora) non può limitarsi a fotografare l’esistente, ma è vocata ad operare per far combaciare fatto e diritto: se si prende meramente atto dell’arretratezza economica (e di conseguenza espressiva) delle aree degradate di uno Stato membro, si disattende un compito preciso delle strutture pubbliche. Il meccanico o l’idraulico (ma anche la corporation della City) devono sapere se assumendo un italiano avranno problemi di comunicazione ulteriori rispetto al fatto primario di assumere uno straniero parlamento una delle lingue ufficiali dell’Unione. Ma la scuola o la biblioteca debbono prescinderne, pena creare un ghetto ulteriore – rifiuto del trattamento, rigetto dell’istanza, mancata concessione del permesso o dell’atto adiettivo – per carenza di personale in grado di fronteggiare la carenza comunicativa “ulteriore”. E poi, siamo proprio sicuri che a Londra non possa arrivare un valligiano alpino con cadenza strettissima?