Foto di un cartellino visto in un negozio della catena danese Tiger a Milano:
Non avevo mai visto la parola burnia e mentre facevo la foto ho parlato con un’addetta del negozio che mi ha detto che anche lei l’aveva imparata lì. A quanto pare descrivono come burnia qualsiasi tipo di barattolo di vetro con coperchio.
Ho concluso che fosse un termine specifico del settore ma ho poi scoperto che invece è un regionalismo. Il Dizionario etimologico dei dialetti italiani UTET, citato qui, dà queste informazioni:
Burnía, sf. (siciliano; calabrese; piemontese; ligure: brünia). ‘Vaso cilindrico di terracotta invetriata o cristallo per conservare viveri grassi o medicine’. Dal suo nome arabo, “burnïya”, passato anche in spagnolo (albornía) e, con mutato accento, nel catalano (al)búrnia, dal quale dipende il sardo “bùrnia”.
La ragazza del negozio però diceva bùrnia, come in Sardegna, e non burnìa come in Piemonte e in Sicilia. A questo punto sarei proprio curiosa di sapere come mai un’azienda straniera decida di usare un regionalismo anziché la parola dell’italiano standard barattolo.
E voi usate la burnia? Se sì, fatemelo sapere nei commenti, indicando dove e la pronuncia.
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Vedi anche: Regionalismi e gestione della terminologia e Dialettismi
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lonti:
Brunia o burnia in Liguria non lo ho mai sentito. I barattoli di vetro li si chiamano arbanelle
fio:
In realtà il suono piemontese prevede anche una U con umlaut al posto di una semplice U accentata, un po’ così: bürnìa.
mav:
Burnìa!
Per noi agrigentini fa parte del dialetto “puro”, che inizia forse ad essere anche un pelino arcaico.
Per puro intendo soprattutto che è un termine utilizzato in un discorso interamente in dialetto, e non come regionalismo usato all’interno di una conversazione in italiano, come può essere invece “carpetta”, o entrare/uscire transitivo.
“Va pìgghiaci na burnìa vacànti a la nonna” (vai a prendere un barattolo vuoto per la nonna).
Wilson:
“bürnìa”
Una delle pochissime parole piemontesi in uso nella mia famiglia
(assieme a “ciapapuer” e al costrutto “solo più”, che meriterebbero di entrare nell’Italiano a pieno titolo)
Patrizia:
Sono piemontese e le burnie sono da sempre i barattoli utilizzati per conserve e marmellate in casa. Per mia nonna è quasi un termine tecnico: un barattolo di pesche sciroppate è acquistato al supermercato, mentre una burnia di pesche è rigorosamente artigianale.
marco[n]:
In Piemonte si usa comunemente. Dove abito io (zona Canavese) l’ho sentito pronunciare comunque “burnìa” con la u normale, non so però se è perché si è “italianizzato” nel tempo.
Daniele A. Gewurz:
Non so niente di burnie, ma so che i cartellini italiani di Tiger sono fatti coi piedi. Per esempio, c’è in vendita un “concertina stool”, uno sgabello fatto di cartone ondulato che si può comprimere o estendere. Io lo tradurrei “sgabello a fisarmonica” o qualcosa del genere; il genio dei cartellini italiani lo chiama “concertina pieghevole” (sì, “concertina” esiste in italiano, ma non è usato in questo senso, e comunque quello in vendita non è uno strumento musicale). Ed è solo un esempio più o meno a caso.
Luca:
Sarà un caso che Tiger Italia ha sede a Torino?
Tra l’altro burnìa per me (piemontese) è talmente normale che in un negozio fatico a trovare un termine in italiano per designarlo, barattolo va bene, ma deve essere di vetro con coperchio a vite o con chiusura a gancio… una burnia, insomma!
Francesco:
“Burnìa” sembra dunque essere un regionalismo tuttora usato in certe parti d’Italia, in particolare in Piemonte, a giudicare dalla maggioranza dei commenti fin qui pubblicati.
Che ci fa quindi il termine piemontese “burnìa” su un cartellino di un negozio Tiger di Milano? Una spiegazione potrebbe essere data dal fatto che la sede di Tiger Italia si trova a Torino (come ci informa Luca) e la traduzione dei cartellini potrebbe essere opera di un/a piemontese-speaker 🙂 avvezzo/a all’uso dell’it.regionale popolare (ved. schema di Berruto).
Potremmo concludere anche che costui o costei abbia eseguito una traduzione visiva, cioè direttamente dalla realtà esterna (oggetto di vetro con coperchio metallico a vite), anziché da un testo danese o inglese, e che tra le proprie risorse linguistiche non abbia trovato di meglio come segno che “burnìa”.
Licia:
Grazie a tutti per i commenti, dettagli molto interessanti!
Dai piemontesi mi piacerebbe sapere se burnia può essere anche senza coperchio o implica sempre un contenitore chiuso. Nel secondo caso la descrizione burnia con coperchio del cartellino sarebbe ridondante?
A proposito del barattolo di vetro ligure, su Twitter mi sono stati segnalati anche albanella, usato nello spezzino e nell’astigiano, e albarello, vaso o barattolo, che invece è parola italiana e deriverebbe da albero, cfr. voce del Vocabolario Treccani.
@Wilson ciapapuer l’ho dovuto cercare e ora che so cosa vuol dire sono d’accordo che è una parola efficace: “Letteralmente: raccogli polvere. Detto di soprammobili e suppellettili la cui unica funziona è quella di impolverarsi”.
Carla Crivello:
Eccomi dal Piemonte. Sì, Licia, “bürnìa” con coperchio è ridondante, almeno nell’epoca attuale 😉
Sull’origine della parola, forse qualche informazione in più si trova in: http://www.civiltaforchetta.it/parole/159-burnia-brunia
LucaGras:
A Bologna in italiano usiamo “prendipolvere”, più o meno scherzosamente, nello stesso significato del piemontese “ciapapuer” di cui nei commenti.
Paoblog:
Mi scrive un’amica pugliese, ma che abita ad Agrigento: “Qui da Tiger scrivono barattolo”
Alpha T:
Quoto assolutamente Ionti.
In Genovese inoltre il soprammobile si chiama cheuggipûa, raccoglipolvere.
laura:
Vorrei precisare che al singolare si dice la burnìa (femminile) mentre al plurale si dice i burniei (maschile) almeno nella parte sud orientale della sicilia, ed è un barattolo di varie dimensioni di ceramica per lo più con coperchio anch’esso in ceramica. Ma si usa solo in dialetto come diceva mav
Nautilus:
Milanese: ciapapulver, ma piuttosto raro.