Se non l’avete già letto, vi consiglio È irresistibile l’ascesa degli anglismi?, un articolo di Tullio De Mauro ricchissimo di spunti.
Ho apprezzato in particolare le osservazioni sugli ultimi interventi del gruppo Incipit, nato all’interno dell’Accademia della Crusca per contrastare gli anglismi incipienti, le considerazioni su una migliore conoscenza dell’inglese come mezzo più efficace per contrastare l’itanglese, e le osservazioni sugli anglismi entrati nelle fasce di alta frequenza dell’uso italiano più recente.
Si nota anche che De Mauro discute di anglismi mentre la maggior parte dei suoi colleghi preferisce anglicismi. C’è differenza?
De Mauro lo accenna nell’articolo e l’ha spiegato in diverse occasioni: non usa la parola anglicismo perché è un anglismo! Confrontando le voci nel dizionario Il nuovo De Mauro si notano però anche altri particolari:
Anglicismo è un calco dell’inglese anglicism (che a sua volta deriva dal latino anglicus). Ha marca d’uso tecnico-specialistico ed è entrato in italiano circa due secoli fa (1829). Esiste anche un sinonimo antecedente, inglesismo (1757).
Il lemma anglismo rimanda ad anglicismo, è indicato come vocabolo comune (“noto a chiunque abbia un livello mediosuperiore di istruzione”) ed è molto più recente (1970).
Mi sono chiesta quanto tempo debba passare prima che un forestierismo sia considerato completamente acclimatato e integrato, indistinguibile dal patrimonio lessicale tradizionale.
Purtroppo non sono riuscita a trovare indicazioni specifiche ma consultando il libro La fabbrica delle parole. Il lessico e problemi di lessicologia di De Mauro ho concluso che anche anglicismo dovrebbe rientrare tra i molti esempi di “neoformazioni inglesi con materiali latini, del tutto congeniali all’italiano”. Sono quindi molto curiosa di saperne di più sulla specifica disapprovazione di De Mauro che, come preannunciato nell’articolo, dovrebbe tornare presto sull’argomento.
Aggiungo alcune indicazioni sulle tendenze d’uso di anglicismi, anglismi e inglesismi ricavate dal corpus di libri italiani analizzabile con Google Ngram Viewer:
hronir:
Come al solito io non ci arrivo: ma quindi? che differenza c’è fra anglismo e anglicismo? Le voci del De Mauro riportate li danno come sinonimi, mentre il De Mauro dell’articolo di Internazionale linkato li considera non-sinonimi (infatti sottolinea che usa uno e non l’altro).
Mao:
Sono perfettamente sinomini. E’ diversa la loro storia e formazione. De Mauro preferisce usare ‘anglismo’ per evitare l’inutile prestito dall’inglese, soprattutto quando parla di prestiti inutili dall’inglese.
Isa:
@hronir: per come l’ho capita io, la differenza è che “anglismo”, pur essendo più giovane, è una parola “fatta come si fanno” (formata come si formano) le parole in italiano, mentre “anglicismo” no 🙂 (Noterei a margine che chi traduce dall’inglese, come me, o studia/insegna lingua e letteratura inglese è definito “anglista” e non “anglicista”.)
Licia:
grazie per i contributi. Mi domando però quali siano i criteri che facciano prevalere etimologia e meccanismi di formazione della parola sull’uso (anglicismo è una parola ormai di uso stabile da quasi 200 anni). In italiano ci sono molte parole che non hanno un origine del tutto ortodossa, come ad es. i cosiddetti prestiti camuffati, che in origine erano falsi amici, come libreria in informatica, paragrafo per capoverso, l’accezione positiva di visionario, amministrazione al posto di governo se riferito agli Stati Uniti, oppure parole nate per sbaglio come paradiso fiscale. Sono molto più recenti di anglicismo ma non vengono più messe in discussione perché ormai fanno parte stabile della lingua.
hronir:
Grazie a tutti, ora è più chiaro: il De Mauro non li considera *equivalenti*, ma non li considera *non-sinonimi*…