Recentemente il MIUR ha annunciato gli Schoolkit:
Sapete già come la penso: credo che le istituzioni italiane dovrebbero evitare l’uso di anglicismi superflui e privilegiare invece nomi italiani. O forse schoolkit è giustificabile da maggiore precisione e dall’impossibilità di trovare una parola italiana equivalente?
In inglese il nome schoolkit è generico e non fa pensare a “modelli di istruzioni” o “pratiche innovative” particolari. Nella grafia più comune, school kit, descrive il kit scolastico che un alunno deve avere in dotazione (zaino, quaderni, penne…) e, in inglese britannico, anche gli indumenti dell’uniforme scolastica.
In italiano usiamo da tempo kit con il significato di strumenti e/o materiale per lo svolgimento di una determinata attività. A parte poche eccezioni, kit è usato in combinazione con parole italiane, ad es. kit dell’elettricista, kit di sopravvivenza, kit da viaggio, kit trucco, kit diagnostico, kit didattico e, come già visto, kit scolastico o kit scuola.
Si può quindi concludere che schoolkit è un esempio di itanglese, l’uso smodato di parole inglesi che spesso tradisce scarse competenze linguistiche: un’alternativa come kit scuola digitale, coerente con locuzioni italiane già esistenti, sarebbe stata più trasparente e precisa perché avrebbe richiamato direttamente il nome del piano.
Schoolkit è comunque congruente con le scelte del MIUR per le recenti riforme della scuola, caratterizzate da numerosi anglicismi: esempi in La buona scuola, tra anglicismi e sillabazioni e La “via italiana” alla Scuola Digitale.
Ho aggiunto schoolkit all’Elenco di anglicismi istituzionali
Vedi anche: Le comunicazioni istituzionali e il rischio dell’inglese farlocco, un mio contributo per il Portale Treccani.
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Matteo:
Concordo con te sulla visione in generale sugli anglicismi, ma (forse solo per noi informatici) Schoolkit può rimandare alla tendenza di Apple di aggiungere -kit ai suoi “framework”: WebKit, HealthKit, CloudKit…
Licia:
@Matteo in effetti kit è molto usato in ambito informatico, non solo Apple (mi vengono subito in mente software development kit, starter kit, deployment kit, test kit…) però sono nomi che nascono in un contesto di lingua inglese. 🙂
LucaGras:
Hai mai rivolto la tua attenzione al mondo dei titoli dei libri scolastici? C’è di quella robaccia…
Licia:
@LucaGras non è un genere che conosco ma mi hai incuriosita! 😉
Alpha T:
Credo sia uno degli esempi peggiori. Dopo aver letto velocemente questo articolo, non so ancora cosa siano.
E mi rimane nella testa l’aspettativa che alle scuole arrivi un kit con lavagne elettroniche e gadget vari…
Marco B. Rossi:
Se l’itanglese fa sorridere, a volte la resa in burocratese di termini tecnici fa cascare le braccia…
Ho appena scoperto l’esistenza del “captatore informatico”, termine che spero rimanga confinato nelle aule dei tribunali. Sarebbe stato frose meglio se, come si usava una volta, avessero pescato nel lessico greco e latino. Traendone magari un “catascopio”.
Paoblog:
Il Miur sembra aderire appieno alla filosofia dei ministeri italiani ovvero “non farsi capire”, in questo caso usando l’itanglese, ma viste le direttive dei ministeri…
Vedi: “Se al Ministero ti insegnano a scrivere in modo da non farti capire”
https://paoblog.net/2013/01/22/cittadini-12/
Licia:
@Alpha T ho provato a chiedere spiegazioni al MIUR via Twitter ma come prevedevo non mi hanno (ancora) risposto.
@Marco, grazie per la segnalazione, non l’avevo mai sentito! Ottimo esempio di discrepanza tra terminologia comunemente in uso ed equivalenti giuridici.
Ho dovuto cercare per avere conferma di cosa si intendesse con captatore informatico , per chi come me non lo sapeva riporto la spiegazione da un articolo da La Stampa, Intercettazioni via trojan alla prova della Cassazione:
Ha molti nomi pur restando invisibile ai più. Captatore informatico, agente intrusore, virus autoinstallante. Ma anche trojan o spyware. Sta di fatto che in questi mesi, per la prima volta dopo anni di utilizzo silenzioso, dalla Germania alla Gran Bretagna passando per l’Italia si è aperto un dibattito sull’utilizzo, da parte di Stati e forze dell’ordine, di questi strumenti informatici.
Tecnicamente sono software malevoli in grado di infettare un dispositivo (smartphone, tablet o pc) e di accedere a tutta la sua attività (comunicazioni telefoniche, mail, chat, foto, Skype, navigazione web, file) nonché di attivare microfono e videocamere per effettuare intercettazioni ambientali. Usati da anni e sempre di più dalle forze dell’ordine e dalle procure a fini investigativi.
@Paoblog, grazie, riferimento molto interessante.