Gli studenti americani autori di questo striscione non avevano le idee molto chiare:
immagine: Comicness [sito non più esistente]
Per noi italiani l’anno 2015 scritto IIOIV anziché MMXV è un errore palese e ridicolo ma negli Stati Uniti il sistema di numerazione romano è poco familiare.
È l’argomento di Americani e numeri romani, dove potete trovare gli espedienti di mnemonica per ricordare la sequenza corretta delle lettere e anche l’insolito motivo che avrebbe spinto gli organizzatori della cinquantesima edizione (2016) del Super Bowl a rinunciare ai tradizionali numeri romani a favore di 50.
Daniele:
Anziche MMXV 🙂
Licia:
@Daniele, ooops, grazie, ho appena corretto!!
Luigi Muzii:
Sistema numerale romano sconosciuto, ma latino abusato (v. diplomi di laurea e citazioni “farlocche”).
Ma avete mai fatto attenzione ai quadranti degli orologi?
Eppure la mia maestra buonanima aveva una regoletta semplice semplice, come tutte le maestre di allora: se ci sono troppe lettere, il numero è probabilmente sbagliato: il principio è usarne il meno possibile.
marco[n]:
Sui quadranti degli orologi il 4 è spesso rappresentato come IIII ma questa è una storia a parte, che ha una ragione tecnica.
Luigi Muzii:
@marco[n] e il Big Ben cosa usa? dire che è una storia a parte non basta, soprattutto se si cita una “ragione tecnica”.
AlPa:
@marco[n]: anche a me piacerebbe sapere la ragione tecnica. A me ne risulta una culturale: nel medioevo (e ancora prima in epoca romana) erano usate sia la convenzione additiva (IIII, VIIII) che quella sottrattiva (IV, IX), anzi, la convenzione additiva era più diffusa (vedi per esempio https://en.wikipedia.org/wiki/Roman_numerals). L’uso sistematico della convenzione sottrattiva è recente.
Licia:
Ho fatto una ricerca veloce sulle ragioni “tecniche” del numero IIII anziché IV sugli orologi. Ci sono varie ipotesi, qui riporto il commento di Rudi Matematici (Le Scienze Blog):
[…] l’idea che riteniamo più affascinante e possibile è quella […] dell’ottimizzazione degli stampi di fusione. Ci sembra infatti che, seppure mettere adesso negli orologi da polso un IIII al posto di un IV sia un puro vezzo, quando si trattava di torri campanarie nel bel mezzo di paesini sperduti la cosa assumeva una valenza diversa. Un po’ perché le cifre romane degli orologi di piazza non sono esattamente piccole, e ottimizzare le fusioni aveva anche una forte ragione economica, oltre che organizzativa: e la possibilità di utilizzare appieno un solo stampo di tipo XVIIIII per quattro volte senza scarti ci sembra ragione validissima.
E fin qui, la nostra opinione: abbiamo fatto qualche ricerca, ma non riusciamo ad avere la certezza assoluta della sua veridicità. L’aspetto divertente è che non avevamo neppure scoperto (né tantomeno intuito) l’ulteriore aspetto che suggerisce Gnugnu, che pure si dice ancora più scettico di noi sulla possibile veridicità della cosa, ovvero che se lo stampo fosse stato fatto a forma di VIIIIIX anziché XVIIIII, non solo sarebbero bastate quattro fusioni senza sprechi, ma anche solo due tagli a fusione, per ottenere tutte le cifre necessarie. Infatti:
1) V-IIII-IX = 5, 4 e 9
2) VIII-II-X = 8, 2 e 10
3) VII-I-IIX = 7, 1 e 12 (rovesciando il IIX)
4) VI-III-IX = 6, 3 e 11 (rovesciando il IX)