Anglicismi governativi: Food Act

slide da presentazione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali

Il Food Act (o Foodact) è un “piano di azioni per la valorizzazione della cucina italiana” presentato lo scorso luglio ad Expo dal ministro delle politiche agricole. L’ho citato in Le comunicazioni istituzionali e il rischio dell’inglese farlocco tra gli esempi di anglicismi che tradiscono conoscenze linguistiche superficiali.

In alcuni paesi di lingua inglese sono in vigore dei Food Act ma si tratta sempre di legislazione su produzione, commercio e sicurezza del cibo (cfr. le norme e gli standard internazionali del Codex Alimentarius). In inglese infatti Act identifica un atto legislativo approvato dal parlamento e promulgato dal capo dello stato, quindi una legge.

Il Food Act italiano invece è tutt’altra cosa. È “un patto tra Istituzioni e mondo della cucina italiana di qualità” che si concretizza in dieci azioni promozionali tra cui missioni all’estero degli chef italiani più noti, corsi di educazione alimentare e di cucina (anzi, master class!), creazione di percorsi enogastronomici ecc.

Da cosa sono motivati gli Act italiani?  

Food Act va ad aggiungersi a Jobs Act, Digital Act, Growth Act, Green Act e chissà quanti altri futuri Act che si inventeranno le nostre istituzioni. La mia impressione è che chi conia questi nomi ignori il significato inglese giuridico del termine Act, che nell’uso italiano è stato trasformato in una “parola passe-partout” per descrivere proposte di legge, provvedimenti e anche iniziative non legislative.

Alla base dei vari Act potrebbe anche esserci l’intenzione di evocare un’associazione tra act e “agire” e quindi “capacità di produrre determinati effetti”, possibile se la maggior parte dei propri interlocutori ha solo conoscenze scolastiche dell’inglese. Ecco così che Food Act diventa un altro esempio di inglese farlocco.
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Ho aggiunto Food Act all’Elenco di anglicismi istituzionali 
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2 commenti su “Anglicismi governativi: Food Act

  1. Alex:

    Aspetto con ansia il bel giorno in cui si rincomincerà a non rendersi ridicoli riempiendosi la bocca di termini che nemmeno si conoscono e in cui magari si riscoprirà la ricchezza della nostra lingua. Ma l’ultima volta che ho commentato un contenuto facendo notare che esiste una parola italiana per “book store” sono incorso nella cosiddetta ironia del web, per cui devo dirmi meno fiducioso in merito.

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