Titolo di una notizia della Radiotelevisione Svizzera:
Mi ha colpita l’uso delle tre parole evidenziate, per motivi diversi.
Configlio – Dopo un breve interesse iniziale, mi pare che nei media italiani sia già scomparso il neologismo configlio, proposto recentemente da Francesco Sabatini. Sono sorpresa di vederlo già acclimatato in Svizzera, ma è una conferma che la parola ha tutti i requisiti per potersi affermare anche in Italia.
Figliastro – In Italia le connotazioni negative di figliastro hanno spinto all’infelice introduzione di stepchild (adoption). In Svizzera invece pare siano meno accentuate: figliastro è ricorrente nei testi legislativi e istituzionali, ad es. nel Rapporto esplicativo concernente la modifica del Codice civile (Diritto in materia di adozione), anche in riferimento alle coppie omosessuali. Viene comunque usata anche la locuzione figlio del partner.
Concubino (e concubinato) – Nell’italiano contemporaneo la parola concubino appare desueta o ha connotazioni ironiche – all’università chiamavamo concubini i compagni di casa. Ancora meno frequente è il sostantivo concubinato, la condizione di un uomo che vive con una donna senza poterla sposare (ad es. perché già sposato o perché appartiene a un ordine religioso). In Svizzera, invece, concubinato è un termine giuridico che corrisponde alla convivenza more uxorio ma si applica anche a coppie omosessuali.
Definizione da ch.ch: “Per concubinato si intende la convivenza di due partner non uniti in matrimonio. Chi convive non beneficia della stessa protezione sociale e giuridica di una coppia sposata”. È comunque possibile tutelarsi mediante un contratto di concubinato, una forma di scrittura privata.
Le persone dello stesso sesso che vogliono ufficializzare la propria unione possono avvalersi dell’unione domestica registrata che però per il momento non consente l’adozione degli eventuali figli del partner.
Differenze italo-svizzere
Questi esempi ci ricordano che l’anisomorfismo può esistere anche tra varietà della stessa lingua: non sempre c’è piena corrispondenza tra tutte le accezioni e le connotazioni delle stesse parole. L’uso e la percezione delle parole possono infatti essere condizionati da fattori culturali, storici, situazionali e cognitivi e ovviamente dall’influsso di altre lingue, che in Svizzera porta a calchi come licenza di condurre per patente.
È comunque facile verificare i significati “svizzeri” grazie a ottime risorse terminologiche, molte delle quali sono governative e centralizzate.
Alcune risorse terminologiche svizzere
TermDat è la banca dati terminologica plurilingue dell’Amministrazione federale svizzera, con schede nelle quattro lingue nazionali e in inglese.
Nelle pagine del Foglio federale (simile alla nostra Gazzetta ufficiale) le ricerche sono completate da diagrammi interattivi con parole chiave o relazioni semantiche (word map), come nell’esempio statico a destra.
ch.ch, il portale delle istituzioni svizzere, ha varie funzionalità di ricerca, con argomenti elencati in ordine alfabetico o per aree tematiche.
DSS, il Dizionario storico della Svizzera, fornisce una storia dettagliata di molti termini e della loro evoluzione, cfr. ad esempio la voce concubinato.
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Peccato che in Italia non esistano risorse simili. Manca una cultura terminologica e di conseguenza abbiamo a che fare con notevole arbitrarietà denominativa, uso smodato di anglicismi, preferenza per la variazione e quindi molte incongruenze. Le informazioni sono disseminate in decine di siti ministeriali diversi e quindi diventano ancora più difficili da reperire, e glossari e definizioni sono rari. Dovremmo prendere esempio dalla Svizzera!
Giovanna:
Molto belle e utili queste risorse! La Svizzera ha quattro lingue riconosciute ufficialmente, quindi sono “abituati” al raffronto terminologico, soprattutto nei vari ambiti amministrativi. Per il raffronto tra tedesco e italiano, trovo anche molto utile il sito dell’Autonome Provinz Bozen Südtirol http://www.provinz.bz.it/de/default.asp, dove è disponibile anche il Codice civile in tedesco, utile per per il settore giuridico.
Citerei anche i siti dell’UE e in particolare la banca dati IATE http://iate.europa.eu/switchLang.do?success=mainPage&lang=de, dove si vede tra l’altro che la parola stepchild ha pochissime ricorrenze: http://iate.europa.eu/SearchByQuery.do : quod erat demonstrandum 🙂
Licia:
@Giovanna, grazie. Aggiungo anche Il portale linguistico del Canada il cui database terminologico, Termium, contiene milioni di termini in inglese e francese e alcune centinaia di migliaia in spagnolo.
Ivo Silvestro:
Aggiungo una curiosità: il termine “unione domestica registrata” non è svizzero, ma italiano: quando la legge elvetica era ancora in preparazione, per una traduzione in italiano la cancelleria federale ha guardato all’Italia trovando un disegno di legge di Franco Grillini dove, appunto, si parlava di “unione domestica registrata” e ha utilizzato questo termine che non è un semplice calco delle espressioni francese e tedesca.
Ivo Silvestro:
Segnalo in proposito il libro “Le forme linguistiche dell’ufficialità”, curato tra gli altri da Jean-Luc Egger della Cancelleria federale e pubblicato da Casagrande. http://www.edizionicasagrande.com/libri_dett.php?id=2538
Licia:
@Ivo, grazie, riferimenti molto utili. Ignoravo l’origine di unione domestica registrata ma questo dettaglio rende ancora più ridicolo il ricorso all’anglicismo civil partnership di alcuni nostri politici…
Massimo S.:
Mi pare che il doversi misurare con altre lingue più forti (francese e tedesco, in particolare), nella Confederazione, fa sì che le autorità della Svizzera italiana siano molto attente a valorizzare e incrementare le risorse dell’italiano, cedendo assai poco alle lusinghe esterofile.
Trattasi di attenzione fattiva, che si traduce in specifiche norme e circolari sull’uso dei termini, a differenza di quanto accade in Italia, dove preoccupazioni armonizzatrici e di bello stile italiano rimangono troppo spesso confinate al solo livello teorico.
Ascoltiamo e leggiamo il sabatiniano ‘configlio’ e può darsi che riusciremo ad affezionarci a lui… comunque è sul tappeto come alternativa a disposizione degli italiani… anche d’Oltralpe, a cui pare stia simpatico.
[…]
Ps.
Sul mio documento di guida, sotto la scritta “Patente di guida” è riportata anche la scritta “Permis de conduire”… ad ogni modo, prima l’espressione italiana e poi l’altra straniera.
Licia:
@Massimo, ho rimosso le tue obiezioni all’uso di partner a favore di compagno perché non sono rilevanti con l’argomento di questo post. Chi è interessato alle tue argomentazioni può trovarle già nei tuoi commenti a Anglicismi governativi: stepchild adoption. 🙂
m.:
@Massimo, attenzione però, perché tra certe denominazioni della Svizzera italiana e quelle della Svizzera federale può esserci molta differenza. In realtà l’esperienza qui, sul campo, mi ha insegnato che nel Canton Ticino e nelle altre regioni italofone c’è molta permeabilità tra le lingue ufficiali, il che si risolve non di rado in calchi per lo più lessicali, ma anche strutturali.
È a livello federale, invece, che si cerca di difendere la realtà linguistica dell’italiano dalle invasioni degli anglicismi, dai calchi, dai prestiti di lusso, e di garantire al contempo una comunicazione istituzionale efficace, che rifugga cioè per quanto possibile da quel “burocratese” che in Italia purtroppo ben conosciamo.
Quando parlo di “livello federale” mi riferisco al fatto che in Confederazione lavora un numero altissimo di traduttori e traduttrici che, se vuoi, sono per loro natura più sensibili ai “fatti linguistici” nel senso più ampio del termine. E questo comprende chiaramente anche la coerenza terminologica.
Ti faccio solo un esempio: riferendosi al secondo traforo del San Gottardo, i traduttori della Confederazione parlano di “canna” (tecnicismo), “traforo” o “galleria” (si trovano per lo più in testi meno vincolanti). In Ticino ho sentito e letto spesso, non solo su internet ma anche sulla stampa, “secondo tubo”, evidente calco dal francese “second tube” e traduzione impropria del tedesco “zweite Röhre” – impropria visto che qui “Röhre” non indica un tubo nella sua accezione comune ma, appunto, un traforo -.
Scusami della precisazione, mi sembrava doverosa 🙂