Da cosa si capisce che la quattro frasi qui sotto sono state tradotte in inglese da un italiano (o comunque riviste da un italiano, se è stata usata la traduzione automatica)?
1 The building may not seem much from the outside, but is a must see . […]
2 The building explains the differences between the regions: is based on smells and […]
3 In practice is a non-building, as is formed by […]
4 There is a dark room in which is recreated a very scenographic environment.
Tutte le frasi contengono degli errori tipici “da italiani” che evidenziano alcune importanti differenze grammaticali tra le due lingue.
Soggetto nullo
L’italiano è una lingua a soggetto nullo o pro-drop (da pronoun dropping, “caduta del pronome”). Vuol dire che il soggetto pronominale può essere omesso, mentre in inglese è obbligatorio. Esempio: sei un genio you are a genius.
Inoltre, l’inglese può richiedere un soggetto fittizio (o espletivo), il cosiddetto dummy pronoun, che ha unicamente una funzione sintattica ma non aggiunge alcun significato. Viceversa, l’italiano non lo ammette. Esempi: it rains, it seems, it is important to know that… piove, sembra, è importante sapere che…
Come avrete già notato, nelle frasi 1, 2 e 3 mancano quattro soggetti che sarebbero pleonastici in italiano (it is a must see, it is based, it is a non-building, as it is), mentre la frase 4 evidenzia un altro tipo di differenza.
Soggetto posposto
In italiano il soggetto può essere posposto al verbo per dare evidenza a elementi diversi dell’enunciato (focalizzazioni), un meccanismo molto comune nelle costruzioni passive. In inglese, invece, l’inversione verbo-soggetto nelle frasi affermative è consentita solo in casi specifici*, in letteratura o nell’idioletto di Yoda di Star Wars, quindi si dovrà dire in which an environment is recreated.
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* in Traduzioni Expo: Not only is it… un esempio di inversione corretta che i media italiani si erano affrettati a segnalare come errore.
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g:
C’è anche il problema opposto e altrettanto irritante, ovvero l’ossessione di infilare pronomi qua e là nelle traduzioni dall’inglese, per es.: “I hate you!” -> “Io ti odio!”.
Sigh!
Licia:
@g, già! Aggiungo gli aggettivi possessivi che vengono mantenuti anche quando in italiano sono ridondanti, esempio tipico le parti del corpo (possessivo obbligatorio in inglese): John aveva un neo sul suo naso traduzione letterale di John had a mole on his nose.
Ne ho accennato in Grammatica e traduzione: il wherever di Trump.
lucac:
Altra tipica costruzione “all’italiana” è l’interrogativa che non inverte soggetto e verbo.
Roberta Vinci durante la premiazione dell’US Open, riferendosi all’assegno consegnato a Flavia Pennetta, ha chiesto scherzosamente:
“This is mine?”
Licia:
@lucac, anch’io ho pensato a Roberta Vinci :), nell’intervista dopo la vittoria contro Serena Williams vari esempi di is + aggettivo non preceduti da it.
lucac:
@Licia: non accaniamoci però 🙂 Dopo quello che ha fatto alla Williams qualsiasi strafalcione è più che perdonabile.
Licia:
@lucac, infatti, comunicava molto bene nonostante gli errori, e non a caso l’intervista è piaciuta tantissimo. 🙂
Questi errori invece non sono accettabili in un sito professionale, dove li ho visti. Purtroppo manca la consapevolezza che non tutti possono improvvisarsi traduttori, specialmente verso una lingua che non è la propria, e bisognerebbe invece servirsi di professionisti.
Massimo S.:
Se g ha ragione, allora è sbagliata la traduzione italiana del titolo originale del noto film di A. Hitchcock “I confess”, reso in italiano con “Io confesso” titolo che mi pare, invece, alla fin fine, drammatico e ineccepibile…
E’ pur vero che l’atto di dolore, che si recita nell’ambito della confessione dice “Confesso a Dio onnipotente che ho molto peccato in pensieri, parole, opere ed omissioni…” e che al prete che raccoglie il racconto dei nostri peccati diciamo “confesso” senza articolo (il film ruota attorno al dramma di un sacerdote cattolico americano che apprende nel segreto del confessionale l’identità di un assassino, confessatagli dallo stesso assassino, e che perciò il sacerdote non può rivelare alla polizia, nonostante finisca lui stesso arrestato e processato per quell’assassinio); ma intitolare il film Confesso non sarebbe stato opportuno, e neppure molto soddisfacente, a mio parere, un titolo del tipo “La confessione”.
Meglio, forse, un “Mi confesso”.
Licia:
@Massimo, in sintesi: in italiano contemporaneo il pronome soggetto si esprime se si vuole dare enfasi, in particolare se l’azione riguarda quel soggetto e non altri (ad es. voi fate quello che volete, io confesso), oppure in contesti specifici, ad es. molto formali o burocratici. Chi lo usa altrove, anche se non è necessario, o è straniero o è un traduttore maldestro. Non credo ci sia molto altro da dire. 🙂
Marco:
“Purtroppo manca la consapevolezza che non tutti possono improvvisarsi traduttori, specialmente verso una lingua che non è la propria, e bisognerebbe invece servirsi di professionisti.”
Verissimo, però molti traduttori italiani che si definiscono professionisti si propongono per traduzioni anche verso l’inglese…
Massimo S.:
Mi taccio anche in questa discussione…
Quanto meno è venuto fuori che in italiano il pronome personale che ordinariamente si omette (si deve omettere, a differenza dell’inglese), in certi contesti enfatici può avere in italiano una sua giustificazione e ragion d’essere…
Un approdo forse scontato per linguisti e professionisti traduttori, ma non altrettanto fermo e consolidato per chi esperto non è. 🙂
John Dunn:
Per me (madrelingua inglese) non c’è nessun errore nella quarta frase; questo si può dire. La versione col soggetto preposto sarebbe corretta solo se fosse presente una continuazione, per esempio:
in which a very scenographic environment (che cosa vuol dire questo?) is created by special effects.
Anche la prima frase non è tanto semplice: potrebbe essere corretta se fosse presente, per esempio, in fact:
The building may not seem much from the outside, but is, in fact, a must see . [
Licia:
@John Dunn stimolata dal tuo commento ho provato a chiedere a tre altri madrelingua. Sono d’accordo con me ma mi fanno notare che un inglese in questo caso non direbbe in which ma where, e con where è più chiaro che ci si aspetta il soggetto e poi il verbo, ad es. where a new environment is created (e non *where is created a new environment).
John Dunn:
Si pone la stessa domanda a dieci persone madrelingua e si ottiene undici risposti diversi. Purtroppo è sempre così. Però in questa frase il vero problema è che c’è un conflitto tra due regole, quella della preposizione del soggetto e quella sull’ordine della presentazione dell’informazione. Secondo questa regola, magari meno nota della prima, l’informazione del più grande rilievo va collocato all’ultimo posto della frase. Siccome ‘is recreated’ non è l’informazione del più grande rilievo, la versione ‘where/in which [per me sono uguali] a new environment is recreated’ non è corretta o, se preferisci, è grammaticamente corretta, ma pragmaticamente scorretta. La versione citata invece è pragmaticamente corretta, ma grammaticamente discutibile (diciamo così). A mio parere la migliore soluzione in un caso come questo sarebbe la ristrutturazione della frase, forse: . . . which permits the recreation of a new environment.’ (o qualcosa del genere).
Licia:
@John, grazie, una bella spiegazione per il concetto di focalizzazione. Alla fine siamo comunque d’accordo che un parlante di madrelingua avrebbe formulato la frase in modo diverso. 🙂