In diverse lingue europee si discute del lessico della migrazione e nei giorni scorsi vari media italiani hanno dato risalto a una notizia sull’uso delle parole migrant e refugee in inglese, Why Al Jazeera will not say Mediterranean ‘migrants‘.
Come spesso succede con i riferimenti linguistici, molti hanno dato per scontato che ci fosse totale equivalenza tra le parole, i loro usi e le loro connotazioni in inglese e italiano.
Non hanno considerato che le parole non devono essere isolate dai sistemi concettuali a cui appartengono perché raramente c’è piena corrispondenza tra lingue diverse. Il loro uso è anche influenzato dalle altre parole disponibili in ciascuna lingua. Per l’inglese britannico lo illustra in modo efficace Karl Sharro, libanese che vive a Londra:
L’immagine satirica evidenzia parecchie differenze lessicali tra inglese e italiano:
Émigré descrive chi è in esilio all’estero, soprattutto autoimposto per motivi politici, come ad es. gli aristocratici europei nel XX secolo. Il francesismo può anche conferire una connotazione di snobismo, come si vede nell’immagine. Non è paragonabile all’italiano emigrato e ha connotazioni diverse da esule e fuoruscito.
Global nomad è un neologismo del XXI secolo che descrive chi si sposta da un paese all’altro e ha risorse finanziarie o una carriera che consentono un alto tenore di vita. È una locuzione molto diffusa in inglese, mentre il calco nomade globale ha avuto poca fortuna in italiano.
Expat, forma abbreviata di expatriate, è usato in particolare per chi è stato trasferito all’estero per lavoro dalla propria azienda e che, assieme ai propri familiari, gode di particolari privilegi. È una parola molto connotata perché usata quasi esclusivamente per cittadini bianchi occidentali che spesso frequentano solo altri expat.
Immigrant ha un corrispondente nell’italiano immigrato ma le connotazioni sono diverse: in Italia nessuno rappresenterebbe un immigrato come nell’illustrazione, ma per chi vive a Londra è una scelta emblematica perché nel sistema sanitario britannico il 26% dei medici sono stranieri (molti di origine indiana).
Asylum seeker ha un equivalente in richiedente asilo ma è un termine che mi sembra molto più frequente nel dibattito pubblico inglese che in quello italiano; si può anche notare che richiedente conferisce una connotazione burocratica assente nell’inglese seeker.
Migrant è una parola molto in discussione: anche in inglese, come in italiano, viene usata con un significato diverso nel lessico comune (migrante = persona disperata) e nel lessico delle istituzioni e delle organizzazioni internazionali, ad es. per l’UE migrante è chiunque faccia qualsiasi tipo di spostamento qualunque sia la sua durata, composizione e causa: ne ho discusso in Migranti, emigrati e immigrati. Come già notato da Silverio Novelli, nell’uso dei media italiani la parola migrante è connotata anche dal senso di durata espresso dal participio presente che sta alla base del sostantivo e che sembra sottolineare il continuo spostamento senza requie e senza un approdo definitivo. In inglese questa connotazione “morfologica” non mi pare altrettanto marcata.
L’inglese ha a disposizione anche altre parole che non hanno equivalente in italiano: foreign national, non native e alien, usati soprattutto in contesti istituzionali per i cittadini stranieri non naturalizzati che vivono nel paese (quando lavoravo a Dublino noi stranieri scherzavamo molto sull’Aliens Office, dove andavano registrati i cittadini non UE).
Una parola italiana che non ha corrispondenza in inglese è extracomunitario. Inoltre, a differenza della coppia immigrant ed emigrant dell’inglese, abbiamo a disposizione le due diverse coppie immigrato ed emigrato ed immigrante ed emigrante, sostantivi con accezioni diverse conferite dalla loro origine (participio passato vs presente).
Refugee e rifugiato
Credo si possano riscontrare sfumature simili anche paragonando l’inglese refugee e l’italiano rifugiato. In inglese il suffisso –ee deriva da un participio passato francese, quindi formalmente è assimilabile all’italiano –ato, ma appare in parole che identificano chi sta subendo un’azione (employee, trainee, interviewee, antonimi di employer, trainer, interviewer) oppure la sta facendo (referee, absentee), quindi in inglese è sottintesa un’azione in corso.
Il participio passato di rifugiato in italiano, invece, suggerisce un’azione già completata. Questa differenza “morfologica” si riscontra anche nelle definizioni dei dizionari: in inglese un refugee è una persona “who has been forced to leave their country” (present perfect: un’azione del passato che si ripercuote nel presente) mentre in italiano è una persona “che ha trovato rifugio” (già avvenuto). Non a caso i media spesso preferiscono profugo, assente dalle terminologie ufficiali sulla migrazione ma efficace perché suggerisce l’azione della fuga (cfr. tedesco Flüchtling).
Credo che queste considerazioni possano essere utili per capire meglio la scelta di Al Jazeera di chiamare refugee chi sta fuggendo sui barconi, e perché la stessa scelta (rifugiato) sarebbe più difficile da giustificare nell’uso non specialistico italiano.
Penso anche che i media dovrebbero fare un po’ più di attenzione quando traducono riflessioni sulle parole di un’altra lingua (l’anisomorfismo è sempre in agguato!). Ne ho discusso lo scorso giugno nell’intervento al corso per giornalisti sul tema della migrazione.
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Aggiornamento 6 settembre 2015 – Le differenze di percezione tra italiano e inglese sono alla base anche di un appello di Bono (U2) a cui i media italiani hanno dato grande risalto: ospite di un evento a Expo, Bono ha chiesto di non usare più la parola migrant a favore di refugee. Stando a quanto riportato, Bono avrebbe dichiarato, ovviamente in inglese, “queste persone non lasciano le loro case perché vogliono vivere in Italia o in Irlanda. Lasciano i loro Paesi perché non hanno casa. Dunque è sbagliato usare la parola migranti. La parola giusta è ‘rifugiati’”.
Il nuovo post Le differenze tra rifugiati e migranti illustra il diverso significato attribuito ai due termini refugee / rifugiato e migrant / migrante da UE e UNHCR (quindi uso specialistico) e lo confronta con l’uso generico nel lessico comune e nei media.
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Altri post sul tema della migrazione:
♦ Migranti, emigrati e immigrati (differenza parole e termini)
♦ Terminologia per la Giornata mondiale del rifugiato (esempi dal glossario EMN)
♦ Migrazione: reinsediamento e ricollocazione (concetti su cui c’è molta confusione)
♦ Il gerundio che non era un participio (la manipolazione della parola migrante)
♦ Le differenze tra rifugiati e migranti (terminologia UE e UNHCR)
♦ Migranti: cos’è un hotspot? (un altro concetto su cui c’è molta confusione)
♦ Trump contro alieni: questioni terminologiche (nuovo)
Marta:
Posso chiedere – se non lo hai già trattato in altro post – un chiarimento ulteriore sul termine “profugo”? Se assente dalla terminologia ufficiale e se non trova corrispettivi in inglese, da dove nasce e quali connotazioni assume il suo frequente utilizzo in italiano? A mio avviso, ma anche qui chiedo conferma, è una parola che viene utilizzata sia come termine-ombrello, quasi un generico sinonimo di “migrante”, sia con connotazioni negative, quasi associato a “clandestino”.
Ti ringrazio.
Isa:
Bel post e necessario.
Concordo in particolare, circa /asylum seeker/, sul fatto che «…richiedente conferisce una connotazione burocratica assente nell’inglese /seeker/», ma osservo che l’italiano attesta e consente anche “asilante” (Zingarelli 2015):
aṣilànte / aziˈlante/
[adattamento del ted. Asylant da Asyl ‘asilo (politico)’ ☼ 1993]
s. m. e f.
● persona che chiede asilo politico o lo ha ottenuto
Licia:
@Marta, credo una risposa possa essere trovata nella differenza tra parole e termini: profugo è una parola in uso nel lessico italiano dal XIII secolo (qui sotto aggiungo la definizione dal Vocabolario Devoto-Oli) e molto diffusa nell’uso non specialistico dei media, ma non appare nella terminologia delle organizzazioni internazionali come termine. La terminologia internazionale della migrazione (UNHCR, UE ecc.) è stata definita all’interno di sistemi concettuali nati in inglese o altre lingue diverse dall’italiano e quindi non c’è piena corrispondenza con il lessico dell’italiano (per un esempio pratico di diversa granularità di sistemi concettuali vedi Boots: stivali, scarponi e scarpette).
@Isa, grazie, non conoscevo asilante ma mentre leggevo ho immaginato il calco dal tedesco. E a proposito di tedesco, può essere utile ricordare che in tedesco rifugiato si dice Flüchtling, che come profugo nella parola stessa ha un chiaro richiamo al concetto di fuga (Flucht)*. In tedesco Aslyant ha due significati, come hai riportato (relativi alla richiesta e alla concessione di asilo); Asylant però non appare nel glossario dell’European Migration Network dove si trova che il termine tedesco per asylum seeker / richiedente asilo è Asylbewerber, ma non c’è un equivalente di Asylant nel senso di persona a cui è stato concesso l’asilo, un ulteriore esempio sia della mancata corrispondenza tra parole del lessico comune e termini dei linguaggi specialistici che i sistemi concettuali di lingue diverse non sempre sono equivalenti.
Definizione di profugo nel Devoto-Oli:
* Anche l’inglese refugee, parola di origine francese dal latino re+fugere, contiene un riferimento alla fuga, ma per i madrelingua l’etimo non è trasparente.
BEP:
Nella Svizzera italiana si usano molto “richiedenti l’asilo” e “asilanti” (anche in “centro asilanti”).
Su fonti ufficiali zurighesi vedo usare “Asylsuchende” per chi, appunto, cerca asilo, ottenuto il quale diventano “anerkannte Flüchtlinge”, cioè profughi riconosciuti.
Se l’asilo è rifiutato, allora si guadagnano un bel volo di ritorno gratuito, con tanto di manette (minimo) e scorta di polizia.
Licia:
@BEP, grazie, molto utile per ricordare ancora una volta che per uno stesso concetto possono esistere “etichette” diverse. Proprio a proposito di richiedente asilo, per il tedesco ho citato il glossario dell’EMN nella sua versione più recente, la 3.0, che al momento è disponibile solo in inglese. La 2.0 invece è stata pubblicata anche in italiano e ha un’introduzione che descrive i criteri usati nella compilazione; sulle eventuali differenze terminologiche da parte di stati che parlano la stessa lingua ha un esempio che evidenzia altre variazioni da aggiungere all’Asylsuchende usato in Svizzera:
“il termine «Richiedente asilo» è tradotto con Asylwerber in Austria (AT), mentre in Germania (DE) è Asylbewerber, anche nel contesto dell’Acquis Communautaire, e nel Lussemburgo (LU) si traduce Asylantragsteller.”
Nella versione 3.0, invece, per la lingua tedesca viene indicato solo Asylbewerber.
Vito Tartamella:
Sul significato di “profugo”, la sua etimologia e la sua connotazione, segnalo un mio articolo:
http://www.focus.it/cultura/storia/che-cosa-vuol-dire-profugo
Licia:
Aggiungo un riferimento per l’inglese americano, varietà in cui è immigrant ad avere le connotazioni più negative (la collocazione più comune è illegal immigrant, riferita soprattutto a chi cerca di entrare negli Stati Uniti da sud). La parola alien, inizialmente un termine burocratico, ha acquisito connotazioni negative a tal punto che lo stato della California ha deciso di abolirla dai documenti ufficiali. Ne discute The New York Times in Time to Retire the Term ‘Alien’.