In Internazionalismi: espresso ho descritto alcune caratteristiche delle parole che, con eventuali adattamenti grafici e fonetici, sono adottate in più lingue, spesso contemporaneamente: un esempio recente è selfie.
Un concetto simile ma precedente e più specifico è europeismo, parola coniata da Giacomo Leopardi per le voci comuni a tutte le lingue colte d’Europa, soprattutto della politica e della filosofia, che si differenziano dai termini tecnici e scientifici in quanto “esprimono cose più sottili, e dirò così, più spirituali di quelle che potevano arrivare ad esprimere le lingue antiche e le nostre medesime ne’ passati secoli”.
Esempi di europeismi: “genio, sentimentale, dispotismo, analisi, analizzare, demagogo, fanatismo, originalità e tante simili che tutto il mondo intende, tutto il mondo adopera in una stessa e precisa significazione”. Maggiori dettagli nelle pagine dello Zibaldone del 26 giugno 1821 e nella voce europeismi dell’Enciclopedia dell’Italiano Treccani.
Leopardi sarà ricordato stasera a Lugo (Ravenna) alla serata del Caffè letterario con Giuseppe Antonelli che presenterà il suo libro Comunque anche Leopardi diceva le parolacce. L’italiano come non ve l’hanno mai raccontato. Ci sarò anch’io io e mi farebbe piacere incontrare qualche lettore romagnolo del blog.
Aggiornamento: altri dettagli sul concetto di europeismo nei commenti qui sotto.
Vedi anche: Giacomo Leopardi sull’ortografia
Manuela:
Carissima,
ci siamo incontrate a Napoli, convegno ASS.I.Term. Sono felice che dopo 16 anni che abbiamo fondato Eurolinguistica, si parla di nuovo della figura di Leopardi e dei suoi Europeismi. L’Europa ha una lingua di vocaboli tecnici e comuni:EUROLINGUISTICA: IL MULTILINGUISMO ILLUMINATO DI GIACOMO LEOPARDI
IL PIACERE DI DIRE TICKET, ATTACHMENT O NETIQUETTE
“Il posseder più lingue dona una certa maggior facilità e chiarezza di pensare seco stesso – scrive Leopardi nello Zibaldone – perché noi pensiamo parlando. Ora nessuna lingua ha forse tante parole e modi da corrispondere ed esprimere tutti gl’infiniti particolari del pensiero. Il posseder più lingue e il potere perciò esprimere in una quello che non si può in un’altra, o almeno così acconciamente, o brevemente, o che non ci viene così tosto trovato da esprimere in un’altra lingua, ci dà maggior facilità di spiegarci seco noi e d’intenderci noi medesimi, applicando la parola all’idea che senza questa applicazione rimarrebbe molto confusa nella nostra mente. Trovata la parola in qualunque lingua, siccome ne sappiamo il significato chiaro e già noto per l’uso altrui, così la nostra idea ne prende chiarezza e stabilità e consistenza e ci rimane ben definita e fissa nella mente, e ben determinata e circoscritta. Cosa ch’io ho provato molte volte, e si vede in questi stessi pensieri scritti a penna corrente, dove ho fissato le mie idee con parole greche francesi latine, secondo che mi rispondevano più precisamente alla cosa, e mi venivano più presto trovate. Perché un’idea senza parola o modo di esprimerla, ci sfugge, o ci erra nel pensiero come indefinita e mal nota a noi medesimi che l’abbiamo concepita. Colla parola prende corpo, e quasi forma visibile, e sensibile, e circoscritta”. Sarà utile tornare sulle lungimiranti anticipazioni di aspetti importanti della riflessione eurolinguistica del grande scrittore italiano, ma per ora quello che mi preme rilevare è il suo approccio funzionale al multilinguismo e la sua visione del lessico come sistema aperto a esigenze e influssi diversi, ricco di interazioni con la realtà e in continua espansione. Certamente Leopardi avrebbe apprezzato dell’inglese la brevità, la matrice latina e quell’eccezionale flessibilità nell’accoglienza e nel formare nuove parole che ha contribuito a farne una lingua internazionale. In un precedente articolo ho sottolineato la convergenza di più processi formativi come elementi costitutivi dello spessore semantico dell’inglesismo di origine latina MOBBING, capace di catalizzare interessi di insigni intellettuali come le autrici del libro che ha contribuito alla diffusione mondiale del termine: Noa Davenport, antropologa culturale e docente presso la Iowa State University; Ruth Distler Shwartz, consulente ed educatrice; Gail Pursell Elliott, formatrice. Di fatto, gli inglesismi che pullulano nella stampa e nell’informazione italiana possono costituire un’occasione per riflettere sui fenomeni linguistici del nostro tempo, oltre che per apprezzare la dimensione culturale di termini italiani e di altre lingue, coglierne le connessioni e le interazioni, seguirne i percorsi a volte immaginosi, ma sempre illuminanti per comprendere pienamente nuove parole e per usarle in modo competente nella comunicazione interculturale.
Il francese ÉTIQUETTE, lo spagnolo ETIQUETA, l’italiano ETICHETTA, gli inglesi TICKET, ETIQUETTE, ATTACHMENT, NETIQUETTE, e i loro derivati, risalgono a una prolifica radice indoeuropea, indicante uno stecco, uno strumento appuntito, presente, ad esempio, in STICK, STITCH (punto, sutura), TO STITCH (attaccare cucendo), STITCHING (cucitura) TACK (tacca), TO TACK (attaccare). Il significato base che li accomuna, quello di foglio di carta recante dati, istruzioni, è il risultato di un processo metonimico per cui l’atto di attaccare un foglietto di carta dà il nome alla cosa attaccata, come evidenzia il francese antico ESTIQUET da cui deriva l’inglese TICKET, attestato dal 1528.
Come inglesismo nella lingua italiana TICKET è un’acquisizione recente, diffusasi nella lingua comune come termine sanitario: quota sull’importo dei medicinali e su alcune prestazioni mediche a carico dell’assistito. Altre accezioni comuni sono: biglietto, scontrino, buono: ticket mensa, il ticket dell’autobus. In telefonia, servizio a ticket indica la documentazione scritta su foglio dell’importo del traffico telefonico espletato da un utente.
Nel mondo anglofono l’equivalente dell’accezione sanitaria è “prescription charge” o “co-payment”, mentre TICKET ha accezioni che è bene conoscere per non inciampare nella polisemia inglese, amplificata dall’uso internazionale del termine: multa (“a speeding ticket” una multa per eccesso di velocità), tessera, passi, patentino, e in American English polizza, cartella, ricevuta di pegno, etichetta, certificato, programma elettorale, lista dei candidati (SPLIT TICKET, voto diviso fra i candidati di due o più partiti; STRAIGHT TICKET voto per i candidati di un solo partito).
Per l’accezione relativa alle regole di comportamento, l’inglese ha riservato il termine “etiquette”, di chiara matrice francese (“diplomatic, professional etiquette” etichetta diplomatica, professionale). In italiano il termine etichetta nell’accezione cerimoniale è stato introdotto alla fine del Seicento attraverso lo spagnolo ETIQUETA. Il passaggio da foglio di carta, etichetta con istruzioni, a elenco di norme di comportamento costituisce un percorso semantico simile a quello di protocollo (proto + ‘colla’) che da primo foglio incollato di un testo sul quale venivano scritti dati, informazioni, assume il senso di codice di comportamento in diplomazia e via via nuove accezioni nuove estensioni funzionali del significato base come quella del linguaggio informatico: insieme di norme che regolano il modo in cui devono essere inviati e scambiati dati tra computer e strumenti diversi (WIRELESS APPLICATION PROTOCOL).
L’internazionalizzazione della comunicazione sta determinando un incremento dell’estensibilità semantica delle parole, come se queste avessero una potenzialità latente che si manifesta nel contatto con altre lingue, altre intelligenze, altro pensiero critico, altre situazioni ed esigenze comunicative; un approccio in prospettiva eurosemantica si rivela sempre più efficace nel rendere trasparenti e familiari termini che a prima vista possono apparire opachi o poco trasparenti.
All’idea originaria di un foglio informativo che viene affisso, attaccato si collega anche un altro termine che, grazie a INTERNET, ha acquisito cittadinanza mondiale: ATTACHMENT, testo che correda un messaggio E-MAIL. Una recente acquisizione di questa famiglia di parole è il neologismo NETIQUETTE, fusione (BLENDING) di “net” ed “etiquette”, il cui equivalente italiano è etichetta, galateo della rete, regole di comportamento degli utenti di Internet. Forse non tutti sanno che le maiuscole e lo stampatello andrebbero evitati perché equivalgono ad alzare la voce che, insieme ad altri comportamenti scorretti, può far scoppiare una rissa telematica (FLAME WAR) tra due o più cittadini del cyberspazio (NETIZENS), le tensioni si possono stemperare (FLAME OFF) con qualche faccina sorridente (SMILEY) o con altri EMOTICONS (EMOTION + ICONS). Quel che è certo comunque è che bisognerebbe astenersi dal sovraffollare le altrui caselle di posta con frequenti messaggi non sollecitati o troppo voluminosi (SPAMMING).
(pubblicato nel 2004)
Massimo S.:
@Manuela
Il dispiacere di dire ticket..
Chiedo scusa per il mio provincialismo, ma ticket mi sembra il tipico forestierismo inutile e ingannevole il cui scopo è non far capire un bel nulla agli italiani, anzi serve a nascondere loro o a opacizzare una realtà spiacevole che al termine è sottintesa.
Fin dal suo esordio in campo sanitario ticket fu scelto proprio per non far capire agli italiani che s’introduceva un balzello peggiorativo a loro carico, visto che usufruire dei medicinali o prestazioni specialistiche dispensate dal Servizio sanitario nazionale non sarebbe stato più gratuito come un tempo, ma avrebbe comportato il pagamento di una quota individuale.
Soltanto quando si trattò di recarsi in farmacia, dopo l’introduzione del ticket, o dallo specialista medico, o in un laboratorio di analisi, gli italiani compresero appieno il significato del termine nell’accezione governativa, e conobbero non già il piacere, ma il dispiacere di dire (e pagare il) ticket.
Proprio Manuela, del resto, chiarisce che ticket fu introdotto nell’ambito sanitario in un’accezione inedita e inesistente nel mondo anglofono, che nell’ambito sanitario parla in modo trasparente e insolitamente esteso e particolareggiato di prescription charge o copayment, locuzioni che i governanti italiani, ‘europeisti’ a fatti loro, si sono guardati bene dall’adottare .
Il che dimostra il carattere meramente strumentale e ideologico dell’utilizzo di certi termini stranieri.
Sempre a proposito di ticket, mi sfugge, poi, l’arricchimento culturale che l’utilizzo del termine apporterebbe al parlante italiano nel significare determinate realtà quali quelle evocate da biglietto di viaggio, biglietto dell’autobus, buono pasto, scontrino, tessera, passi, ecc. invece dell’uso, nella lingua italiana, dei predetti termini e locuzioni.
Biglietto (invero un forestierismo anch’esso, però almeno adattato…) ha una nobile tradizione http://www.etimo.it/?term=biglietto non meno di ticket e ci rende europei e ci ‘arricchisce’ (invero, economicamente, c’impoverisce) allo stesso modo di ticket, ma almeno ci è più familiare e lo comprendiamo di più.
Un conto è la padronanza di una lingua straniera e dei vari significati che un certo termine proprio di quella lingua assume nei vari contesti di quella lingua, significati che a certe condizioni possono pure essere esportati, col termine, in un’altra lingua che ne sia totalmente priva, salvo perifrasi e adattamenti aventi lo scopo di tener viva la lingua di approdo senza snaturamenti eccessivi; un altro conto è l’utilizzo gratuito e del tutto immotivato o improprio o inedito di un termine straniero nella lingua italiana, soprattutto quando un tale uso non rende la realtà più intelligibile, ma la nasconde o la confonde…
Giacomo Leopardi, probabilmente, si rivolterebbe nella tomba.
Licia:
@Manuela, bentrovata e grazie per il ricco contributo. Esempi molto interessanti, che mettono in evidenza non solo le radici comuni ma anche, come mostra l’esempio di ticket, aspetti di anisomorfismo che causano spesso problemi di traduzione o falsi amici. Ne approfitto anche per aggiungere un riferimento a un vecchio post, bullismo, mobbing e bullying perché evidenzia un aspetto curioso di mobbing, un internazionalismo nato in un linguaggio speciale che in molte lingue è entrato anche nel lessico comune, mentre in inglese il suo uso, con l’accezione che conosciamo, rimane specifico degli ambiti specialistici e nel lessico comune si preferisce bullying.
@Massimo, ticket è anche il mio esempio preferito per identificare gli anglicismi superflui :).
A proposito di Leopardi e dei forestierismi, una citazione a cui abbiamo fatto riferimento qualche giorno fa a Lugo alla serata di presentazione del libro Comunque anche Leopardi diceva le parolacce di Giuseppe Antonelli:
Massimo S.:
@Licia
Belle parole, quelle di Leopardi, con cui non si può non essere d’accordo.
Il fatto è, purtroppo, che oggi la manipolazione della realtà o la lotta a nuovi concetti o idee, passa sempre meno per l’embargo delle parole nuove o forestiere e, al contrario, si serve proprio di esse a fini ideologici, dando a esse significati inediti o contraddittori o alterandone il significato originario, approfittando della loro ‘novità’ o del fatto di essere forestiere, cioè sconosciute ai più.
Ovvero sono il veicolo del pensiero unico di chi comanda e ha i mezzi per imporre le ‘sue’ parole e con esse le ‘sue’ concezioni.
‘Ticket’ ne è un esempio emblematico.
E allora voglio anch’io concludere con una citazione di un autore, gran maestro di parole inventate:
“Quando io mi servo di una parola —rispose con tono sprezzante Humpty Dumpty— quella parola significa quello che piace a me, né più, né meno.
Il problema è – insisté Alice – se lei può dare alle parole significati così differenti.
Il problema è —tagliò corto Humpty Dumpty— chi è il padrone?
Lewis Carroll -Alice nello specchio, 1871 (Ediz. italiana Bompiani 1963)
Licia:
Grazie Massimo, è anche una delle mie citazioni preferite. 🙂
Manuela Cipri:
carissima Licia,
sentir parlare di europeismi, mi riempie di gioia, quando abbiamo creato l’associazione Eurolinguistica eravamo in pochi a crederci, e quasi ci prendevano per pazzi, pensare ad una lingua comune, o parti di parole in comune tra i parlanti europei e non solo, scoprire che anche la Treccani si è occupata di questo, sempre senza citare nessuno di noi, (come al solito),significa che qualcosa di importante abbiamo svolto nella nostra ricerca. Essere Europei e eurolinguisti significa creare ponti, tra est e ovest, tra sud e forse nord, ma non credo che abiti nessuno al centro del mar glaciale artico, poiché anche la Norvegia e la Finlandia sono Europa
Matteo:
@Manuela
Scopro solo adesso e per caso questo post di Licia e l’associazione Eurolinguistica.
Credo fermamente nella validità di questa disciplina, tanto che, non molto tempo fa, all’Università di Roma Sapienza abbiamo avviato un progetto lessicografico europeo sulla scorta del progetto di ricerca “Lessico leopardiano” (che fa parte del progetto di più ampio respiro “Laboratorio Leopardi” https://web.uniroma1.it/sssas/node/5641).
Nato come un esperimento, il lessico europeo si sta rivelando più proficuo che mai: stiamo riuscendo a far nascere un vivace dialogo fra la cultura italiana tra ‘700 e ‘800 e un certo numero di altre culture europee, rappresentate per lo più da grandi scrittori e pensatori dell’epoca.
In questo contesto è però bello notare anche come ogni sistema-lingua conservi i suoi intraducibili. Con questo non mi riferisco tanto a parole che “non possono essere tradotte”, quanto a concetti che si prestano a sempre nuove traduzioni e rese. In questo spirito si inserisce anche, ad esempio, il “Vocabulaire européen des philosophies” curato da Barbara Cassin. Leggendo le voci di questo vocabolario enciclopedico si ha come l’impressione che, per quanto i concetti possano sembrare unici ed esclusivi di una lingua, ci sia come uno spazio in cui le lingue, che immagino come due piani inclinati, si incontrano, convergono e riescono a dialogare.
Speriamo di andare sempre avanti a fare anche queste ricerche, che sono così belle e arricchenti.
Licia:
Grazie, molto interessante.