Intervista in InformaLingua

Ho fatto una lunga chiacchierata su terminologia, anglicismi e lingua italiana con Emiliano Bellini di InformaLingua, un sito di informazione per professionisti e appassionati di lingue [aggiornamento: sito non più attivo].

La lingua italiana può ancora nominare tutto? Abbiamo le risorse per tradurre tutto ciò che scienza e tecnologia diffondono attraverso l’inglese? Lo chiediamo alla terminologa Licia Corbolante – Informalingua, 20 maggio 2015

Abbiamo considerato il diverso ruolo di aziende, istituzioni, utenti e media nella formazione e diffusione della terminologia e alcuni fattori che possono influenzare dinamiche e tendenze, con l’esempio della terminologia informatica italiana del software di consumo.

Alcuni degli argomenti della nostra conversazione sono descritti più in dettaglio in alcuni post. Tra questi, il mio punto di vista sulla presunta invasione degli anglicismi (importante distinguere tra prestiti insostituibili, utili e superflui, e tra lessico comune e lessico specialistico) e sul cosiddetto itanglese, che mostra una  nuova tendenza, gli “anglicismi doppioni”.

Ho accennato anche al crowdsourcing nella localizzazione, ai meccanismi di risemantizzazione, ai potenziali falsi amici fiscal e fiscale, e alla preferenza dei media italiani per la variazione, che spesso porta a minore precisione terminologica.

Il sito non è più attivo ma si può leggere il testo dell’intervista qui.


Vedi anche: Terminologia e comunicazione


3 commenti su “Intervista in InformaLingua”

  1. Massimo S.:

    Condivido in pieno l’articolo.

    Penso, tuttavia, che nelle aziende o negli uffici dove si stabiliscono i termini da usare per indicare oggetti, concetti informatici, caratteristiche di programmi e prodotti e così via, si dovrebbe combattere strenuamente, per così dire, prima di capitolare senza condizioni davanti allo ‘straniero’. E anche qualora la sconfitta fosse inevitabile, occorrerebbe lavorare quanto meno per una resa onorevole… E per preparare la riscossa…
    Il che accade rarissimamente.

    Alcuni esempi.

    1.hashtag. Beh, io credo che se Twitter avesse adottato senz’altro ‘etichetta’, senza farsi spaventare dai pochi ‘nerd’ che usavano in principio il termine non tradotto, a quest’ora useremmo proprio il termine etichetta…
    E credo, nonostante tutto, che ancora oggi, se Twitter cambiasse la dicitura, o affiancasse nell’uso i due termini, ‘etichetta’ ancora potrebbe diffondersi tra gli utenti…

    2.Directory cartella file .
    Ed infatti, quando adoperavo i primi computer con sistema operativo MS DOS e WINDOWS 3.0-3.1, esistevano “directory” e non “cartelle” di file, e probabilmente sarebbero ancora esistite se successivamente le case produttrici di programmi e applicazioni per computer non avessero deciso di punto in bianco di ribattezzarle “cartelle” in italiano, senza adoperare il termine inglese folder…

    La scelta, invece, di non tradurre dall’inizio il termine “file” ha fatto sì che esso sia ancora oggi usato per indicare genericamente un certo insieme di dati.
    Ma esiti diversi ci sarebbero potuti essere se si fosse scelto di tradurre il termine, che so, con “filza” (termine italiano che indica figuratamente una successione ‘in fila’, ordinata, di cose…) Forse (e dico forse) oggi diremmo “Giorgio, mi hai copiato quella filza sul cd?” “Marta ha un vecchio programma di videoscrittura e non riesce ad aprire le filze con estensione docx…” O potremmo dirlo domani o dopodomani se semplicemente le case produttrici di apparecchi elettronici e applicazioni decidessero domani di ribattezzarli così …

    3.Computer calcolatore computatore.
    E che dire dell’ormai consolidato computer?
    In passato gli elaboratori elettronici venivano chiamati calcolatori, riferendosi per lo più ad apparecchi di grandi dimensioni presenti in banche, aziende pubbliche e private, istituti di ricerca, strutture militari.
    Perché non continuarli a chiamare calcolatori, in Italia, giornalisti e case produttrici, anche quando si sono progressivamente rimpiccioliti e arricchiti di funzioni invece di cedere alla moda anglofona? E invece di divulgare e imporre così il termine computer?
    Computer non denotava o connotava, significati diversi o particolari rispetto a calcolatore :

    [ Where did the word computer come from?
    According to the Barnhart Concise Dictionary of Etymology (Robert Barnhart, ed., NY: HarperCollins, 1995), computer came into use in English in 1646 as a word for a ‘one who computes’ and then by 1897 as a ‘mechanical calculating machine’. The word referred to an electronic machine by 1946. It is formed from the word compute, which was borrowed in 1631 from French, which was a learned borrowing from Latin computare, meaning ‘to count, sum up; reckon’].
    http://dictionary.reference.com/help/faq/language/e51.html

    calcolatore
    [cal-co-la-tó-re] agg., s. (f. -trice)
    • agg.
    1 Che esegue operazioni matematiche: regolo c.; macchina c.
    2 fig. Che riflette molto prima di agire; estens. che agisce per interesse
    • s.m.
    1 (anche al f.) Chi esegue calcoli ~fig. persona che soppesa, valuta attentamente le circostanze
    2 Macchina che esegue operazioni matematiche ed elabora dati || c. elettronico, computer
    • sec. XIV
    http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/C/calcolatore.shtml
    Noto che non vi sarebbe stata alcuna confusione tra calcolatore e l’apparecchio o applicazione virtuale che usiamo su telefonini e computer per fare i conti (la calcolatrice): oggi calcolatore sta a calcolatrice come computer sta a calculator.
    Quindi una maggiore consapevolezza del significato del termine inglese e della sua storia avrebbe potuto favorire la conservazione e l’utilizzo del termine italiano ovvero, magari, la creazione del termine “computatore”, appena poco più lungo di computer e con una sua dignità…
    …Almeno lo avremmo letto e pronunciato come si scrive… e quasi certamente non ci avrebbe fatto paura il susseguirsi delle sillabe ta-to che ritroviamo e pronunciamo con tranquillità in contatore, senza parlare poi della somiglianza-assonanza col termine inglese.

    4.scanner scansionatore
    Anche la vicenda dei termini scanner e scannerizzare è lungi, mi pare, dall’essere compiuta nel senso adombrato su altra parte di questo blog ed è emblematica di un’eccessiva indulgenza verso anglicismi pur in presenza di valide alternative in lingua italiana.
    Se il termine scanner si è ormai affermato per indicare il congegno che permette l’acquisizione su computer di testi e immagini impressi su un foglio di carta o su pellicole, scansionare e scansione resistono eroicamente agli arrembanti scannerizzare scannerizzazione.
    E voglio ricordare la redazione di una rivista d’informatica PCOpen (casa editrice Agepe) che programmaticamente si adoperò per consolidare i termine scansione scansionare, od anche scandire rispetto a termini come quelli più sopra richiamati, normalizzando in tale direzione i suoi testi, se ben ricordo, e sottolinenando tra l’altro la perfetta congruità tecnica di una tale scelta linguistica rispetto ai principi di funzionamento del congegno.
    Nelle istruzioni in linea della mia stampante multifunzione, che include anche uno scanner il processo di acquisizione di testi e immagini viene denominato scansione e non scannerizzazione.
    http://ugp01.c-ij.com/ij/webmanual/Manual/W/MX520%20series/IT/CNT/CNT_scan.html

    Ritengo inoltre che avrebbe ancora buone possibilità di affermarsi scansionatore (d’immagini ) a fianco di scanner, se solo l’apparecchio venisse definito tale nei manuali d’istruzione di programmi e applicazioni e così lo chiamassero i giornalisti di riviste specializzate.

    In conclusione penso che l’evoluzione della lingua sia un processo naturale difficilmente governabile “dall’alto” e che in tutte le epoche storiche vi sono state influenze di certe lingue sulle altre, con reciproci scambi e arricchimenti.
    Ma credo pure che la fortuna di un termine straniero dipenda molto “anche” dalle scelte più o meno consapevoli di operatori culturali, redazioni di giornali e di programmi televisivi, uffici di traduzione di case editrici e cinematografiche o di imprese, di tradurre o meno in un certo modo alcuni termini stranieri, ovvero utilizzarli in certi contesti piuttosto che in altri.
    E che noi stessi nell’uso quotidiano dovremmo essere più attenti e consapevoli nella scelta dei termini da usare e resistere il più possibile alla seduzione delle parole straniere, cedendo loro solo occasionalmente, se proprio non possiamo farne a meno, ma senza intrecciare con esse stabili relazioni amorose, rimanendo fedeli alla lingua italiana.

  2. Licia:

    @Massimo, mi sembra che la tua conclusione coincida con la mia: è auspicabile maggiore consapevolezza linguistica. Per quel che riguarda i tuoi esempi, brevemente:

    1, 3 e 4 anche se recente, hashtag è ormai un forestierismo insostituibile, come computer (anche se calcolatore è tuttora molto usato in ambito accademico, vedi qui) e come scanner;

    2 sulle alternative a file, in teoria anche in italiano ai tempi (inizio anni ‘70!) sarebbe stata possibile una risemantizzazione di filza nel senso di “fascio di fogli manoscritti conservato in biblioteca o in archivio”, ma è un significato poco noto e quasi tutti avrebbero invece pensato a una serie di elementi in fila, quindi sarebbe stata una metafora fuorviante. Apple per molto tempo aveva preferito il termine archivio ma poi ha preso atto che ormai in italiano si era affermato file e si è adeguata.

  3. Massimo S.:

    @Licia

    Chiedo scusa per un probabile afflusso incontrollato di commenti identici provocato da un temporaneo malfunzionamento del mio calc… ehm del computer …(sembra ormai che dobbiamo rassegnarci, senza speranze di riscossa, salvo in Università), che mi aveva fatto ritenere non riuscito l’invio del precedente commento inducendomi a inviarlo daccapo più volte.

    Alla fine detta legge l'”uso”, che in modo imprevedibile può travolgere le migliori intenzioni e le più corrette e fondate terminologie, così come talvolta decretarne il successo… di quelle giuste come di quelle inesatte.

    Su filza, o meglio sfilza, dico ora, sono d’accordo solo in parte.

    (Preciso che la proposta di sostituzione non è mia… l’ho letta da qualche parte, ma non sono riuscito a ricordare/rintracciare la fonte).

    I termini sono pur sempre ‘segni’ più o meno arbitrari che attribuiamo alle cose, tanto che slittamenti di senso e risemantizzazioni sono all’ordine del giorno, e ciò non succederebbe se esprimessero una realtà ontologica; e comunque filza, o sfilza, in senso figurato, allude anche a una ‘serie’ o ‘sequenza ordinata’ di cose (non necessariamente libri manoscritti e non necessariamente ‘in fila’ o l’una dietro l’altra, anche se il significato originale è quello) (es. spero di non aver detto nel commento precedente una filza o ‘sfilza’, cioè un insieme, un cumulo più o meno grande, di sciocchezze); e file, dal canto suo, in informatica esprime anche un archivio di dati, cioè un insieme ordinato di dati, di informazioni immagazzinate nel computer per far funzionare il computer e i vari programmi (file del sistema operativo, file eseguibili .exe, o anche un insieme ordinato di dati risultato dell’elaborazione elettronica, quali i file immagine .jpg, .bmp, ecc. o i file di testo .txt, .doc, odt, ecc. o i suoni .wav, mp3, o i video .avi, mp4, .mpg ecc.

    La resa di file con filza o sfilza, sarebbe stata, dunque, in origine del tutto plausibile e sostanzialmente corretta… tenendo pure presente la diffusione non certo limitata di filza o sfilza nel significato figurato di insieme ordinato di cose.

    E l’idea di cose in fila, ‘alla lettera’ per così dire, di per sé pure perfettamente compatibile col significato informatico di ‘file’, a mio parere sarebbe stata evocata più da ‘file’ che da filza o sfilza (il singolare del termine inglese file è uguale nella forma proprio al plurale italiano del termine “fila”: “il ‘file’ informatico è fatto di file di dati”.

    Continuo a dire , quindi, (indicando una possibilità che indiscutibilmente non si è verificata… con i se e con i ma la lingua non si fa…) che il termine proposto (filza, o forse meglio, sfilza) anche per la sua assonanza e somiglianza col termine file, ben si sarebbe potuto prestare a fungere da valido e credibile sostituto di file… se solo fosse stato sufficientemente sostenuto e diffuso da media e case informatiche.

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