In Una mano di greenwash avevo osservato che in italiano il concetto di greenwashing viene spesso descritto erroneamente come un “lavaggio” o “ripulitura” ecologista, mentre in inglese la metafora è diversa: è basata su whitewash, imbiancare, e quindi comunica l’idea di “conferire una patina”, “dare una verniciata”, sotto cui però rimane tutto com’era. La differenza di interpretazione è palese nelle immagini associate al concetto: acqua e sapone o lavatrici in italiano, pittura in inglese.
Sul modello di green washing è nato social washing. Descrive iniziative di responsabilità sociale d’impresa volte a comunicare un’immagine “etica” e migliorare la reputazione di un’azienda, ma in realtà attività di facciata mirate esclusivamente a un ritorno economico. Anche social washing viene spiegato in italiano ricorrendo a metafore di ripulitura o lavaggio, non congruenti con il concetto originale.
Social washing può avere anche un’altra accezione, che in questo caso non riguarda l’immagine “sociale” bensì quella “social”: la presenza sui social network per comunicare maggior apertura e coinvolgimento dei consumatori ma intrapresa solo a fini commerciali o di immagine. È tipica ad esempio delle istituzioni che hanno profili “di facciata” sui social media ma non interagiscono con i loro follower.
In ambito medico, invece, social washing ha un significato letterale: indica il lavaggio delle mani per interazioni non cliniche, come si fa con acqua e sapone prima dei pasti o dopo aver usato i servizi igienici, e si differenzia da lavaggi più accurati e con prodotti specifici fatti prima di procedure mediche o chirurgiche (clinical washing e surgical washing).
Vedi anche: Una mano di greenwash, con altri dettagli e i concetti correlati di pinkwashing, sportswashing, blackwashing, woke-washing…
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