Al mercato delle mele cotone lavorano molti nordafricani e asiatici del subcontinente indiano che immagino si siano dovuti arrangiare per imparare l’italiano. Sui loro banchi ho visto parecchie scritte che smentiscono la convinzione comune che l’ortografia italiana sia del tutto trasparente (“si scrive come si parla”). È sicuramente più intuitiva di quella di molte altre lingue ma rimane comunque imperfetta.
Molti degli errori che si vedono sui cartellini dei prezzi sono ricorrenti, ad esempio l’affricata postalveolare sorda / ʧ / viene resa ripetutamente con ch, come in altre lingue europee: spinatchi, arancha, chipola. Ne so qualcosa con il nome Licia: la convenzione di aggiungere una i “muta” alla c per rendere / ʧa / e / ʧo / è fuorviante e difficile da far capire ai non italiani.
Un altro errore tipico riguarda un fonema poco diffuso in altre lingue, la consonante nasale palatale / ɲ / che in italiano è rappresentata dal digramma gn.
Per rendere / ɲ / vari venditori aggiungono una i, ad es. ho visto prugnia, castania e castgnie, forse perché il fonema non viene sentito correttamente e viene invece percepito come se fosse / nj / (cfr. la parola inglese onion). È un errore fatto anche da parecchi italiani (provate a cercare gniocchi!), e c’è anche il problema opposto, che però credo sia esclusivo dei madrelingua: non includere la i nella prima persona plurale dei verbi in -are con radice che termina in gn e scrivere *sognamo, *bagnamo e *consegnamo anziché sogniamo, bagniamo e consegniamo.
Prevedibili le difficoltà degli stranieri con le consonanti geminate (chipola, cipoli, latuga, finochio senza doppie) e qualche confusione con le consonanti fricative e affricate (pessi, massi, lampasoni e copricucini), ma non ho notato sbagli ricorrenti per le altre consonanti, a parte un’unica occorrenza di rafanelli.
Mi hanno sorpresa i problemi con le vocali perché l’impressione* di parlante nativa è che in italiano siano sempre pronunciate in modo netto, a differenza di altre lingue, e invece ho notato vari esempi di confusione tra e e i, anche in sillabe toniche.
In questi esempi non è stata recepita la differenza tra / e / e / i /, a quanto pare poco evidente, ma sarei curiosa di sapere se anche la vocale aperta / ɛ / dà qualche problema e che correlazioni ci siano tra errori e lingua di origine. È comunque una difficoltà che posso capire perché in alcuni contesti non italiani io non riconosco il fonema che in tedesco è rappresentato da ü e lo confondo con u.
Ho anche notato che su diversi cartellini mancava una vocale (ad es. peproni, curcma), anche in caso di dieresi (chitroli per cetrioli e curi per cuori). Mi domando se, a parte la poca familiarità con l’ortografia italiana, possa entrare in gioco anche un’influenza delle convenzioni di scrittura dell’arabo?
Può inoltre risultare difficile distinguere tra parole composte e parole che sono invece separate nello scritto ma non nel parlato, come mostrano cavol fiore e fichdindia
Se si considerano altri aspetti diversi dall’ortografia, mi è parso curioso che il nome di frutta e verdura spesso fosse indicato al singolare (prugnia, castania, lemone, oleva, finochio ecc.) e non al plurale come sui banchi italiani.
Non mi ha invece sorpresa la mancanza di concordanza di numero e genere, come oleva verdi, oliva nero, cipoli rosso. Sono errori grammaticali inammissibili per i madrelingua ma comuni tra gli stranieri, anche se istruiti: ne ho parlato in Accenti stranieri e credibilità.
Un’ultima osservazione: è stato provato che la qualità linguistica può influenzare la propensione agli acquisti (qualche riferimento in Formattazione, ortografia e *acquisizzione clienti). Probabilmente non è molto rilevante nel contesto di un mercato rionale, però mi domando se l’abbondanza di aggettivi e descrizioni sui cartellini dei venditori italiani (ad es. uva dolcissima, limoni succosi, fagiolini senza filo) possa essere considerata un tentativo di distinguersi dalla concorrenza e ribadire la propria italianità.
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Qualche altra foto, dove si possono notare anche alcune differenze nell’aspetto dei numeri scritti a mano, in particolare il 9 (cfr. Se i numeri sono un’opinione…):
(e non li ho fotografati tutti!).
Vedi anche: le principali incongruenze delle convenzioni di scrittura italiane nella nota finale di Ortografia italiana e prestiti dall’inglese e il concetto di ortografia perfetta in Giacomo Leopardi sull’ortografia.
* In mela cotone ho aggiunto questo commento sulla pronuncia delle vocali: la differenza tra la consonante nasale palatale /ɲ/ di cotogna e la nasale alveolare /n/ di cotone è palese per noi ma non per molti stranieri; inoltre, anche se non ce ne rendiamo conto, le vocali in posizione finale atona tendono a essere pronunciate in modo poco udibile, per cui per alcuni stranieri cotone e cotogna sono effettivamente omofoni.
dasmi:
Bellissimo articolo. Per la confusione vocalica, mi pare di ricordare che in arabo “e” e “i” non abbiano valore distintivo (specie se brevi, come potrebbero essere considerate le vocali prive di accento tonico dell’italiano). Quindi i parlanti provenienti da regioni di lingua araba potrebbero avere problemi a distinguere “lemone” da “limone”. Stessa cosa vale per le consonanti “p” e “b”, che in arabo non hanno valore distintivo.
.mau.:
Sono un esperto: pensa al mio cognome 🙂
dioniso:
Che non riescano a percepire la differenza tra “e” chiusa e “i” è comprensibile. Credo che lo stesso errore con la vocale aperta ɛ sia più improbabile. Dall’esperienza che mi sono fatta parlando con persone di diversa provenienza è che molto dipende dalla lingua di origine. Chi penserebbe che non si riesca a percepire la differenza tra la “o” e la “a” italiane? Eppure per i colleghi russi che imparavano la nostra lingua era così. Se ricordo bene, soprattutto se la vocale è alla fine della parola.
Monmartre:
Buon giorno,
non sono d’accordo con l’affermazione: le scritte sui banchi «smentiscono la convinzione comune che l’ortografia italiana sia del tutto trasparente»
Il fatto che uno straniero senta pronunciare “lemone” (per colpa del parlante o del proprio orecchio non abituato) e poi scriva “lemone”, indica che l’Italiano lo scrive come loi sente. Se lo straniere non sente le doppie o non sappia come si riproducono graficamente, non indica che l’Italiano si scrive differentemente da come si pronuncia (a parte i casi rari, ma codificati, come la Z e l’apertura delle vocali e alcuni casi di GL, GN e I).
La prova vera che dimostrerebbe che in Italiano la scrittura si pronuncia molto diversamente da come si scrive dovrebbe essere fatta facendo leggere le scritte: lo straniero che legge “limoni” pronuncerà “limoni”. E anche se pronunciasse “lemone” ciò dimostrerebbe che l’Italiano si legge come si scrive: semplicemente lo straniero pronuncerà “E” tutte le “I”.
Lo stesso per “CH”; se lo straniero pensa che la trascrizione grafica dell’Italiano sia la stessa delle altre lingue, è un errore suo, non certamente dell’Italiano.
Licia:
@dasmi, grazie, dettagli molto utili
@dioniso, credo anch’io che possa essere più probabile la confusione tra /ɛ/ e /a/, anche in considerazioni della “prossimità” delle vocali (a destra una rappresentazione del triangolo vocalico dell’italiano).
Aggiungo che le vocali italiane si distinguono tra loro per 1) il grado d’apertura della cavità orale e 2) luogo d’articolazione, “individuabile lungo l’arcata palatina in corrispondenza del punto di massima elevazione del dorso linguale”. In altre lingue ci sono distinzioni anche di altro tipo, ad es. per arrotondamento o meno delle labbra, per emissione della voce anche attraverso il naso, per durata, per vibrazione della laringe (per approfondimenti: la voce Vocali nell’Enciclopedia dell’Italiano, che fa anche confronti con i sistemi di altre lingue).
Utile anche questa osservazione dalla voce Fonetica: “Si confronti una lingua con sistema vocalico ridotto a tre sole unità ([i a u]) con una che ne possieda molte di più ([i y e ø ɛ œ æ ə a ɑ ɔ ʌ o ɤ u]). Risulterà subito evidente che le vocali della prima lingua possono tollerare livelli anche estremi di ipoarticolazione o di condizionamento da parte del contesto, mentre quelle della seconda lingua richiederanno una precisione articolatoria molto maggiore. In altri termini, lo spazio articolatorio delle vocali appartenenti al primo sistema è maggiore di quello a disposizione delle seconde, e questo dato è incorporato nella competenza linguistica dei parlanti. I parlanti delle due lingue daranno dunque risposte diverse ai medesimi eventi acustici, rapportandoli a un diverso sistema”.
@.mau. nel tuo commento ho aggiunto il link al tuo sito, per chi non sa che sei Maurizio Codogno. 🙂
@Monmartre, grazie per il commento, però non mi sembra di avere affermato che in italiano la scrittura è molto diversa dalla pronuncia. Ho invece rimarcato che la nostra ortografia è trasparente ma non del tutto e l’ho messo in evidenza con gli esempi degli errori di non italiani. Può essere utile ricordare che in italiano ci sono vari esempi di coppie di fonemi resi con la stessa lettera e di stessi fonemi realizzati con lettere diverse (esempi qui) e parecchie eccezioni (ad es. scienza ma conoscenza, quota ma cuore, democrazia ma pazzia).
.mau.:
per quanto riguarda il russo, ricordo che a Mosca 1980 il cognome del pugile Patrizio Oliva iniziava con un suono che alle mie poco allenate orecchie assomigliava più a una A che a una O, quindi non mi stupisco che i russi non distinguano bene tra /a/ e /ɔ/, anche se mi stupisce che quella O fosse aperta e non chiusa.
dioniso:
Grazie per la risposta dettagliata. Interessante lo schema. Mi ha riportato alla mente la tecnica per imparare a pronunciare la ü tedesca: pronunciare “i” mettendo le labbra come se si pronunciasse una “u”.
Mauro:
@ .mau.
A proposito di cognomi… per quanto corto e (apparentemente) facile sul mio e sulle sue storpiature (sia di grafia che di pronuncia) potrei scrivere un libro 🙁