Sintesi del comunicato stampa del Ministero dell’Interno che annunciava la presentazione di una direttiva per la prevenzione e il contrasto dell’abusivismo commerciale:
Durante la presentazione e su Twitter il ministro Alfano ha ripetutamente usato l’espressione vu cumprà, quindi ha reagito alle prevedibili critiche affermando che la sua scelta lessicale era giustificata perché vu cumprà “c’è anche sulla Treccani”.
L’Enciclopedia Treccani ha subito precisato che l’espressione vu cumprà è registrata nel vocabolario “a scopo di documentazione, senza volerne in alcun modo legittimare l’uso”, e che nel proprio portale viene evidenziato il registro d’uso spregiativo (esempi qui e qui).
Il giornale del Nuovo Centrodestra non ha gradito la puntualizzazione e ha risposto con Colpi di sole. Vu cumprà: comica risposta della Treccani, ma forse è un fake, notevole per la disinformazione sulle finalità dei dizionari e per l’ignoranza del concetto di registro.
Finalità dei dizionari
Le affermazione di Alfano e del suo giornale sono emblematiche di una convinzione errata ma diffusa: per molti il dizionario è l’arbitro che convalida l’uso delle parole (approccio normativo o prescrittivo), tanto che c’è chi deplora l’inclusione di forestierismi e neologismi informali come abbassamento degli standard qualitativi di un dizionario.
In realtà i dizionari moderni di italiano più noti non sono prescrittivi ma descrittivi, come sottolinea l’Enciclopedia dell’Italiano: “contrariamente ad altre epoche, lo scopo principale dei dizionari dell’uso non è la selezione delle parole secondo criteri puristici e valutativi, ma la completezza della documentazione: viene quindi preso in considerazione il lessico di tutti i settori della vita e di tutti i livelli d’uso, comprese le voci gergali e volgari e altre parole ‘delicate’ (tabù, lessico erotico-sessuale)”. Se rilevante, vengono anche riportate informazioni sul registro d’uso, cfr. vu cumprà nel Dizionario Sabatini-Coletti.
Le parole sono importanti
Polemiche a parte, trovo sconsolante questo uso noncurante (o forse solo strumentale?) delle parole, specialmente da parte di chi rappresenta le istituzioni. E mi rimane una curiosità: chi avrebbe più bisogno di un dizionario per imparare la differenza tra connotato e connotazione, il ministro o il giornalista che ne ha riportato la dichiarazione?
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Fonte: ANSA
Nuovo post: Bufale linguistiche: l’approvazione dei neologismi
Vedi anche: Leggi e dizionari e Parlare civile: comunicare senza discriminare.
Elio:
Fuor di polemica politica, che non mi interessa, e che non si rileva da questo post, che infatti è descrittivo.
Nei vari dizionari credo siano presenti anche ingiurie e parolacce. Magari non le peggiori, ma sicuramente parole dal significato dispregiativo che tutti possono intendere facilmente. Appunto, è descrittivo, non prescrittivo: il dizionario non mi spinge ad usarle per insultare qualcuno.
Ma stante il ragionamento del politico, mi è quindi consentito dare del “porco” o dello “sciocco”, e usare altro ovviamente qualora trovassi qualcosa di peggiore, a chiunque io voglia adducendo come scusa “che tanto è presente nel dizionario”?
Io non credo.
Carla Crivello:
Il sito “Parlare civile. Comunicare senza discriminare” dedica un’ampia scheda a “Vu’ cumprà”. @Licia, è una buona integrazione al tuo post 😉 Carla
Licia:
@Elio, e invece pare che il ragionamento sia proprio questo. Se chi l’ha fatto l’ha ritenuto credibile, potrebbe essere un segno che in Italia non si fa abbastanza divulgazione/educazione linguistica e non si dà molta importanza all’uso e al significato delle parole (basti pensare alla proliferazione di espressioni volgari e spregiative nel dibattito politico). Ho visto anche parecchi commenti negativi al comunicato di Treccani, che vanno dalle accuse di essersi schierata politicamente all’aver fatto una precisazione ovvia e non necessaria, ma viste le ulteriori reazioni credo fosse una precisazione dovuta. Peccato che non abbia portato a una discussione più ampia e articolata.
@Carla, grazie, è un sito che ho scoperto da poco e che mi piace molto: ne parlerò in un prossimo post. Intanto aggiungo il link alla scheda su vu cumprà: http://www.parlarecivile.it/argomenti/immigrazione/vu-cumprà.aspx
Aggiornamento 21 agosto: Parlare civile: comunicare senza discriminare
Elio:
Perfettamente d’accordo con quello che dici.
Spesso, quello che noto, è mancanza di logica e attenzione nel linguaggio. Io cerco di dare molto peso alle parole che uso. Certo, posso sbagliare, a volte usare registri non consoni alla situazione, ma quando uso un termine so perfettamente quello che volevo dire. E quando ne uso tanti per formare le frasi, cerco di stare attento a tutto, per evitare di essere frainteso. E puntualmente, quando sembra tutto logico e perfetto, vengo frainteso. Perché vengo interpretato.
Quando faccio notare, ripetendo la frase uguale, che quello che ho detto è diverso, le reazioni sono le più disparate: da “io avevo capito che…” a “pensavo volessi dire invece che…”, no, io ho detto quello che ho detto.
Stesso discorso la Treccani: io dico “sono descrittivo” e ho detto tutto. Non trovo ci sia bisogno di aggiundere altro. E i commenti sono “La Treccani si schiera politicamente”. No, ho solo detto che sono descrittivo. E ci si indigna.
Conoscendo persone di altre culture, mi sono accorto che noi italiani, e magari mi sbaglio, abbiamo un (uno?) vizio: quando veniamo ripresi per un singolo nostro errore, mancanza, disattenzione, tendiamo a prenderla sul personale. Critico una cosa di te, lasciando salvo tutto il resto, mentre chi riceve pensa: ce l’ha con me. Questo a tutti i livelli. Spesso, invece, noto che in Germania, o in Regno Unito, si ha la tendenda a criticare senza problemi l’altro perché si sa che l’interlocutore reagisce non come una offesa personale, ma come un commento a migliorare quella singola parte in esame.
Se poi ci si mette la politica o la fede, sportiva o religiosa che sia, la cosa si ingigantisce.
Licia:
Purtroppo pare anche a me che anziché accettare le critiche e/o ammettere l’errore, noi italiani tendiamo a reagire attaccando, accusando o ridicolizzando l’interlocutore: esempio tipico l’articolo del giornale del NCD. E sono del tutto d’accordo che spesso manca sensibilità linguistica e attenzione all’uso delle parole, ad esempio sono convinta che la maggior parte dei falsi amici nei media potrebbe essere evitata riflettendo sul significato delle parole in italiano, anche senza conoscere il testo originale.
Elio:
Ma quello che mi chiedo è perché, a questo punto.
Che i giornalisti, o i politici, sbaglino, nel linguaggio, nella traduzione, o nel riportare dati scientifici, questo è risaputo. Tutte cose facilmente verificabili in poco tempo. Si sbagliano metri con chilometri, anni, risultati sportivi. A volte in mala fede, a volte proprio stupidità.
In realtà quello vedo è che la spannometria è a tutti i livelli, è dentro di noi. Anche sul lavoro, nello studio…
Quando si fa notare l’errore, al posto di scusarsi, si cerca di nascondere, attaccare, negare.
O, tra amici, si passa per pignoli: ma sì, che sarà mai, sempre a puntualizzare.
Ora, anche a me capita di sbagliare, eccome. E non pretendo di avere ragione. Ma quando critico, o correggo, non è mai per giudicare una persona. Ma per amore di verità e correttezza, perché credo che ne benefici anche il dialogo stesso. Dire che la partita di rugby, come sentito alla radio, è finita 22 a 14 quando in realtà è finita 17 a 16, per me cambia di tantissimo. E non sono un grammar nazi, ad esempio: una cosa è sbagliare di spanne per pressapochismo, una cosa è infilare una lettera sbagliata in una tastiera, o pensare a una cosa e non accorgersi di sbagliare il tempo verbale. L’importante è capirsi, non mi piace correggere quel tipo di errore.
Quando vengo criticato, accetto e ringrazio. Essendo italiano, l’ho imparato dopo anni e dopo tanti viaggi a comportarmi così, non sono perfetto.
Ma allora che cos’è? Pigrizia? Il tempo? Pressapochismo innato? Ignoranza? Imperizia?
Perché basterebbe poco: ma che sbagli un mio amico nel parlare, a me può anche andare bene. Ma un politico e un giornalista, che di lavoro dovrebbero usare la parola?
Licia:
@Elio, un esempio che mi è stato segnalato stamattina, un tweet di Repubblica, poi cancellato:
In questo caso non c’è neanche la scusante del calco perché se la notizia era di agenzia e scritta in inglese, è quasi impossibile che fosse stata usata la parola negro. Una svista sicuramente, ma inaccettabile da chi usa le parole per professione.
Elio:
Esatto.
Io seguo molto oltre al tuo, anche altri siti dove segnalano le inesattezze, soprattutto scientifiche. Mi viene l’orticaria, perché spesso sono errori che si verificano in pochissimi istanti. Basterebbe anche solo rileggere.
Ferguson, un video riprende l’agente mentre spara.
Ferguson, un video riprende l’agente mentre spara al giovane.
Basta. Basta così. Al di là della parola razzista, non è la parola sbagliata il problema, o per lo meno, non solo.
Poi a me piacerebbe fosse
Ferguson. Un video riprende l’agente mentre spara.
ma è questione di stile mio, non c’entra niente, mi va bene anche come sopra, me la farò passare!
Una nota… di colore: mio cognato è nero e parla inglese, e non capisce l’italiano. Vivono a Belfast. Con mia sorella, per indicare le persone con pelle scura, uso sempre la parola negro, in italiano, per provocarla, ma mai con intenti razzisti e mai con altre persone.
Lui un giorno mi dice, in inglese “Vuoi un consiglio? Se vai in centro città, chiama nigger un ragazzo di colore quando ci parli insieme”, forse pensando che non sapessi la parola, forse perché mi capì, forse perché gli piace provocarmi. “Posso chiamarti così, quindi?”. “Provaci, poi vediamo!”. Fu un siparietto divertente.