In Tra ripetizione e variazione Luisa Carrada descrive due tipi di testo che richiedono un approccio diverso: 1 in un contratto, stesse parole per dire le stesse cose, chiarire e orientare; 2 nei testi di un sito web, variazione per accendere l’immaginazione.
Parole e termini
Sono esempi molto utili anche per ricordare la distinzione tra lessico generico (parole) e lessico specialistico (termini che identificano concetti specifici usati in ambiti specialistici).
In un testo descrittivo i sinonimi possono essere molto efficaci, mentre in un ambito specializzato, come un contratto, le istruzioni per un prodotto o un testo scientifico, andrebbe sempre usato un unico termine per identificare in modo univoco un concetto specifico e differenziarlo dai concetti correlati, evitando così possibili ambiguità.
Esempi: partita Iva e tweet
Un concetto un termine è un principio fondamentale nel lavoro terminologico ma non è sempre messo in pratica, ad es. nel sito dell’Agenzia delle Entrate si trova codice Iva, numero identificativo Iva, numero di identificazione Iva e partita Iva. Per un utente non esperto la comunicazione è ambigua. stesso concetto o concetti diversi?
Anche i media sono spesso incapaci di distinguere tra parole e termini. Esempio: il Corriere della Sera ha tradotto il glossario di Twitter con molte incongruenze, spesso senza rispettare la terminologia propria del prodotto, tanto che in molte voci del glossario tweet è stato sostituito da cinguettio (cfr. Solo nei giornali, cinguettii inclusi).
I media e la “priorità variazione”
Contattata, la giornalista che ha tradotto il glossario di Twitter mi ha risposto di aver usato cinguettio “per non ripetere tweet troppe volte”. Ho osservato che i sinonimi andrebbero usati solo per il lessico generico, e che invece la terminologia non è modificabile a piacere: sarebbe come usare topo e sfogliatore per non ripetere mouse e browser. Sua risposta: “suona male ma se volessi scrivere sfogliatore di pagine web per spezzare e rendere gradevole il pezzo potrei farlo senza sbagliare in italiano o inglese. Così continuerò ogni tanto con cinguettare o telefono intelligente o tavoletta”.
Non è un caso isolato: quando i media generalisti trattano argomenti tecnici o specialistici, non di rado la variazione (sinonimi) prevale sulla precisione (coerenza terminologica: ripetizione). Credo che si privilegi la forma per un’impostazione tipica italiana che nasce già a scuola, ma forse è anche un segno che in Italia manca una cultura terminologica.
Nuovi post (2021) con esempi di comunicazione distorta a causa di “priorità variazione”: Promemoria per i media: vaccino ≠ siero ≠ antidoto e Promemoria per i media: immunizzato ≠ vaccinato.
Vedi anche: Terminologia e comunicazione (i criteri per identificare concetti e termini più rilevanti) e decifrare, decodificare, decrittare, decriptare (altri esempi di differenze tra parole e termini)
Qui sotto alcuni esempi di voci dal glossario di Twitter tradotto dal Corriere della Sera. Chi l’ha compilato non è consapevole che nelle definizioni non sono ammessi sinonimi: ogni concetto va sempre identificato in modo univoco, quindi tweet va sempre chiamato tweet, senza preoccuparsi delle ripetizioni.
Luigi Muzii:
In questo, come in altri casi, non si tratta di “cultura terminologica” quanto piuttosto di distorsione comunicativa. Gli insegnamenti scolastici dovrebbero essere accompagnati, anche nel caso di fanciulli e adolescenti, da un’illustrazione delle ragioni alla base dell’insegnamento, per renderlo più accettabile, quindi assimilabile e duraturo, e flessibile. In quanti, invece, hanno assorbito certi insegnamenti senza comprenderne il motivo e la finalità, subentra, secondo me, il timore di essere criticati, quasi vedessero nel lettore un altro insegnante. Del resto, anche da questo indirizzo, si esprimono spesso critiche molto feroci nei confronti di altri professionisti di cui magari non si conosce il lavoro né le condizioni in cui lo esercitano o di cui non si condivide la conoscenza né il destino.
La terminologia è, purtroppo, una disciplina minore spesso legata, per volontà, ed errore, degli stessi praticanti, a un settore ritenuto anch’esso minore.
Chiudo, chiedendo venia per la lunghezza, con un aneddoto che spero serva come indice dell’arroganza delle categorie favorite che sfruttano una presunta superiorità. L’ingresso alla Galleria Borghese, a Roma, è spesso soggetto a limitazioni e a prenotazione. Ieri, dopo aver prenotato con una settimana di anticipo, ho dovuto discutere con un “norditaliota” munito di tesserino dell’ordine dei giornalisti che pretendeva di accedere, subito e senza pagare, per superiori esigenze professionali (accompagnato, ovviamente). Sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla proprietà di linguaggio e dalla fermezza con cui è stato respinto dall’addetto alla biglietteria che non ha avuto bisogno di fargli rilevare anche la modestia del lessico con cui gli si era rivolto.
Marco:
Purtroppo la categoria dei giornalisti italiani è caduta molto in basso.
Sono allibito dalla presunzione di questa giornalista! Dopo essere stata contattata da un’esperta di terminologia, invece di accettare i consigli ricevuti e ringraziare per questo, è talmente piena di sé da rispondere dicendo che continuerà a usare sinonimi assurdi, essendo pure convinta di non sbagliare così facendo.
Poveri noi…
rossa:
Odio, odio, odio con tutte le mie forze questo assurdo modo di fare. In nome di una presunta (assolutamente presunta!) gradevolezza si sacrifica l’esattezza e la precisione e si cade spessissimo in una comunicazione ambigua (e con quanta presunzione!). Ma tanto, la maggior parte di questo genere di articoli è scritta per riempire spazio, e non col serio intento di essere ben compresa e di fornire informazioni utili. Sarà la mia forma mentis “matematica”, ma io non sopporto proprio l’ambiguità della comunicazione in contesti non emotivi ma che dovrebbero essere informativi.