Uso sessista della lingua
In occasione della festa della donna l’uso sessista della lingua è stato di nuovo al centro dell’attenzione. Come prevedibile, le discussioni erano incentrate sulla femminilizzazione dei nomi delle professioni (ingegnera, avvocata, sindaca ecc.), con argomentazioni che non mi convincono per nulla: il mio punto di vista in Donne e grammatica.
Penso sia invece più importante che i testi che si rivolgono a un pubblico generico risultino neutri e non implichino un’esclusione delle donne, come invece succede in questa comunicazione di una banca italiana:
Il pronome lui riferito a persona appare insolito ma ci ricorda che in italiano il genere grammaticale è una convenzione che non sempre coincide con il significato logico o naturale, come spiega l’Accademia della Crusca in Problemi di accordo.
Software e siti, non per soli uomini!
La frase scelta dalla banca sembra suggerire che i bonifici online vengano fatti solo da uomini e colpisce perché non mancano certo le alternative neutre, come ad es. della persona che ha ordinato il bonifico e ci ha indicato il suo indirizzo.
Chi si occupa di localizzazione è abituato a trovare soluzioni neutre, una questione molto sentita soprattutto anni fa, quanto era ancora più importante evitare lo stereotipo che quello dei computer fosse un ambito esclusivamente maschile. La scelta stilistica “tradizionale” di usare forme impersonali o la seconda persona plurale facilitava il compito: benvenuti, ad esempio, risulta più neutro di benvenuto.
Ora nel software e nei siti si privilegia uno stile più informale e diretto, in cui prevale la seconda persona singolare. Anche se certi stereotipi sono superati e c’è meno rigidità su stile e registri, vanno comunque cercate formule adatte a entrambi i sessi, come ha evidenziato Luisa Carrada in Io sono una signora!
Nuovo post che ha preso spunto da alcuni commenti qui sotto: Comunicazione in rosa
Aggiornamento 2018 – In Questioni di genere nel linguaggio amministrativo, nuove linee guida ministeriali “per un uso non sessista e non discriminatorio dell’italiano”
Stefano:
Sarò sincero: mi sembra un banale esempio di sciatteria editoriale. Credo che non ci sia stata alcuna riflessione, magari c’è stata addirittura una svista.
Licia:
@Stefano, secondo me c’è stato un qualche tipo di riflessione, ma di altro genere (!): la frase originale probabilmente era Le abbiamo inviato questa email a titolo informativo su richiesta dalla persona che ha ordinato il bonifico all’indirizzo da lei inserito ma chi ha scritto si deve essere conto che era ambigua e invece di riformulare ha cambiato lei in lui, un accordo che mi pare un po’ troppo insolito per essere nato spontaneamente.
Marco B:
E’ anche un bell’esempio di burocratese, a partire da quel “a titolo informativo” che da solo varrebbe una riflessione sulla differenza tra gravitas e pesantezza del linguaggio. Tra l’altro mi sembra che “su richiesta dalla persona” sia proprio sbagliato, è un complemento di specificazione e non di causa. Dato il mezzo di comunicazione, nel dubbio avrei scelto uno stile informale.
A questo proposito ho trovato interessante le linee guida sullo sviluppo di applicazioni Android, che suggeriscono “when writing text that appears in your app, keep it concise, simple, and friendly” con interessanti esempi sulle cose da evitare https://developer.android.com/design/style/writing.html
Licia
@Marco B, non conoscevo le linee guida di Android, molto interessanti. Grazie!
A proposito di burocratese, mi piace L’antiburocratese, “la rubrica dell’Osservatorio di Lingua Italiana che analizza esempi di italiano burocratico proponendone una riscrittura chiara, comprensibile, elegante. Perché parlar chiaro è un dovere morale”. Si può contribuire all’elenco con le proprie segnalazioni.
Barbara:
Segnalo alcune recenti pubblicazioni di Corecor Umbria sull’argomento “La comunicazione istituzionale al femminile. Per una comunicazione attenta al genere”
http://www.corecom.umbria.it/la-comunicazione-istituzionale-al-femminile
Licia:
@Barbara, grazie, ho guardato le linee guida e mi sembrano molto interessanti, soprattutto l’elenco di verifica (check list) perché punta alla “rappresentazione diversificata e realistica delle identità di genere evitando il ricorso a modelli semplificati e stereotipati” e mette in evidenza molti dettagli che invece sono spesso trascurati ma che sicuramente contribuiscono a rafforzare gli stereotipi più che i soliti esempi sul sessismo linguistico. Riporto due dei vari punti:
11. Viene sottolineata l’interscambiabilità dei ruoli tra donne e uomini ? Ad esempio, se il messaggio è rivolto alle famiglie, sono rappresentati anche gli uomini nel target? O ancora, gli uomini sono ugualmente rappresentati a impegnarsi nelle faccende domestiche o a prendersi cura in generale del contesto domestico?
12. Nella scelta dei colori si è prestata attenzione ad evitare tutti quei colori che rimandano ad una visione stereotipica delle donne (colori pastello e varie tonalità del rosa)?
Il punto 12 mi ha subito fatto pensare a La Nuvola Rosa, “un’iniziativa socio-culturale organizzata da Microsoft in collaborazione con il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Università La Sapienza […] sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di colmare il divario di genere nel campo della scienza, della tecnologia e della ricerca”. Il nome non mi piace, proprio per gli stereotipi legati al colore (vedere tutto rosa, dipingere la vita in rosa ecc.). Perlomeno è stata scelta una tonalità vivace e non pastello, ma allora perché non osare e chiamare la nuvola fucsia?
E a proposito dell’importanza delle scelte lessicali per evitare connotazioni indesiderate, un esempio proprio dal programma di La Nuvola Rosa che, involontariamente, pare rafforzare certi stereotipi:
Durante la conferenza stampa verranno esaminati i risultati della ricerca a cura di McKinsey che analizza i dati sul rapporto tra donne e IT in Italia rispetto agli altri paesi: istruzione, formazione, attitudini e comportamenti, opportunità e modalità di accesso al lavoro.
In italiano attitudine significa “Disposizione innata per certe attività, anche in quanto oggetto di valutazione ai fini dell’orientamento professionale: a. per le lettere, per le scienze, per il disegno ♦ In diritto: a. al lavoro, capacità di un individuo di essere parte di un rapporto di lavoro” [Devoto-Oli] e quindi leggendo di attitudini delle donne per l’IT si può avere l’impressione che non tutte le donne siano naturalmente portate per l’uso dei computer. Secondo me sono potenzialmente più sessisti questi dettagli, poco espliciti, che non i famigerati nomi “maschili” per le professioni.
In questo caso il problema è un noto falso amico: in inglese attitude indica un atteggiamento, un modo di pensare o una posizione su un particolare argomento.
Vedi anche: i concetti di pinkwashing e pinkification nell’aggiornamento a Una mano di greenwash.
Andrea:
Sempre interessante come al solito.
Mi sfugge però perché “attitudine” sia sessista.
Presumo che anche per gli uomini si possa parlare di attitutine nel senso di “disposizione innata” all’uso del computer e che non tutti gli uomini siano portati.
Questo riferendoci a professioni nell’ambito dell’IT, ovviamente, non del semplice uso come utente.
Licia:
@Andrea, grazie.
Ho in mente soprattutto alcuni stereotipi per cui le donne “non sono portate per x” dove x può essere sostituito da scienze, tecnologia, informatica ecc., attività percepite da alcuni ancora come tipicamente maschili. Proprio un paio di giorni fa un medico di mia conoscenza, sui 60 anni, ancora una volta ha ribadito la sua convinzione che in futuro in Italia non avremo più chirurghi perché le donne sono più secchione e quindi passano più facilmente i testi di ammissione a medicina, tanto che sono la maggioranza degli iscritti, ma “non sono portate” per la chirurgia. La parola attitudine mi fa pensare proprio a questi atteggiamenti. 😉