Questo brano mi sembra un esempio efficace di variazione diacronica (i cambiamenti linguistici che avvengono in un periodo di tempo anche relativamente breve). Tralasciando l’argomento, sono soprattutto il lessico e la costruzione di molte frasi a indicare che non si tratta di un testo contemporaneo. A che periodo fareste risalire la pubblicazione?
Dettagli sul testo e la sua data di pubblicazione qui sotto, in questo commento.
Roberto:
Penso gli anni 50.
m.fisk:
suppergiù tardi anni ’50?
Barbara:
Dai contenuti si direbbe la prima metà del secolo scorso ma il linguaggio sembra più recente, forse anni ’50?
Marco:
Direi anni ’50.
Mauro:
Tra le due guerre mondiali?
W G:
Prima metà del secolo scorso
Marco B:
A me ricorda le lettere che il padre scriveva al protagonista di Cuore, quindi potrebbe essere di fine Ottocento, magari di qualche scrittore moraleggiante come Emilio de Marchi.
Massimo:
Secondo me, anni 60. Gli anni in cui hanno iniziato a dire la Messa in italiano anziché in latino. Non so perché, ma lo stile di questo brano mi ricorda alcuni brani “da Vangelo”…
Ciao!
giupina:
bah, io penso che possa essere anche relativamente recente, penso che mio padre queste cose con un linguaggio tutto sommato simile le potrebbe scrivere oggi. ho notato piu volte che le persone che non scrivono abitualmente usano il linguaggio e i modi che hanno imparato a scuola. e comunque forse le uniche parole non piu giovanissime, a parte “facezie grossolane”, sono “focolare” e “devozione”.
e no, non mi pare neanche moraleggiante, mi sembra la lettera di un uomo che queste cose le ha vissute e riesce a dirle senza vergognarsi, senza ironia.
Dorotea:
@Marco B. : anch’io ho pensato subito a Cuore. L’ho letto (e riletto) una trentina di anni fa, a otto o nove anni, saltando spesso le lettere dei genitori (che trovavo noiose). Grazie al racconto mensile del piccolo scrivano fiorentino ho imparato l’espressione “ciurlare nel manico”. Non ho altri ricordi linguistici, segno che la prosa di De Amicis non mi turbava più di tanto, così come non mi turbava quella del contemporaneo Salgari (fatta eccezione per “più mai” usato là dove io avrei messo “mai più” ).
Licia: Grazie a tutti per i commenti, che ho aspettato a pubblicare per evitare che le risposte potessero essere influenzate.
Il brano è tratto da un libretto intitolato Preparazione alla vita, una raccolta di “formule pratiche” per conversazioni destinate ad adolescenti e giovani che “si pongono delle domande circa il problema dell’origine della vita”. La data di copyright che appare all’interno è il 1967, però dopo aver fatto qualche ricerca ho scoperto che il testo originale dovrebbe risalire al 1955. In ogni caso fa un certo effetto pensare che attorno al ‘68 ci si potesse rivolgere a dei ragazzi con parole come cimentarsi, facezie, abnegazione, compenetrare, e sarei curiosa di verificare la loro comprensibilità per chi invece è nato nel 2000 (cfr. anche le differenze tra italiano standard e italiano neo-standard, a cui ho accennato in Grammatica, variabilità e norme interiorizzate).
Le differenze nel modi di parlare di ragazzi e di adulti fanno parte di una dimensione di variazione linguistica nota come variazione diastratica, che comprende vari tipi di variazione sociale, ad es. tra abitanti di città e di campagna, tra istruiti e non istruiti, in base alla classe sociale ecc. A questo proposito, un altro aspetto del libretto che mi ha colpita è l’indicazione che si tratta di una pubblicazione per “ambiente borghese” e che esisteva anche una versione per “ambiente rurale”. Sarebbe interessante riuscire a procurarsela per vedere quali sono le differenze tra le due edizioni, non solo di contenuto ma soprattutto di lessico e di costrutti.
In alcune parti del testo si notano anche affermazioni che ora sarebbero inaccettabili perché non politicamente corrette, un concetto che fino a qualche decina di anni fa era inesistente. Esempio: l’idea che l’istruzione fosse destinata solo ai maschi e preclusa alle loro sorelle: