Ciascuna lingua è un sistema che presenta variazioni determinate da parametri extralinguistici: tempo, spazio, contesto, strati o gruppi sociali e mezzo fisico.
Variazione diamesica
La variazione diamesica è intesa come “la capacità di una lingua di variare a seconda del mezzo o canale adottato, sia esso scritto (grafico-visivo) o parlato (fonico-acustico)”. Fabio Rossi nell’Enciclopedia dell’Italiano evidenzia le caratteristiche che distinguono le varietà diamesiche, ad es. fa notare che le formule rituali e le parole tipiche della conversazione telefonica sono diverse se il mezzo è il telefono fisso o mobile.
Si diventa consapevoli della variazione diamesica quando vengono usati parametri diversi da quelli previsti o se ci si trova a usare un mezzo non familiare: a me è successo registrando un’intervista per una trasmissione radio alla Rai.
Immediatezza e distanza
Ho accettato molto volentieri l’invito a rispondere a qualche domanda sulla terminologia informatica per La lingua batte, la trasmissione sulla lingua italiana di Radio3. Sono abituata a parlare in pubblico e sono già stata intervistata altre volte, ma sempre al telefono, e non immaginavo che l’esperienza in uno studio di registrazione potesse risultare così diversa.
L’ho ricollegata ai parametri dell’immediatezza, l’orientamento preferenziale nel parlato, e della distanza, che prevale invece nello scritto. Rossi riporta diversi aspetti, tra cui questi:
Immediatezza | Distanza |
• comunicazione privata | • comunicazione pubblica |
• interlocutore familiare | • interlocutore sconosciuto |
• compresenza spazio-temporale | • distanza spazio-temporale |
• cooperazione comunicativa intensa | • cooperazione comunicativa minima |
• dialogo | • monologo |
• comunicazione spontanea | • comunicazione preparata |
• libertà tematica | • fissità tematica |
Al telefono, su un palco e alla radio: non è la stessa cosa
In un’intervista al telefono, di solito fatta nel proprio ambiente, il mezzo è familiare e richiama le modalità della comunicazione privata, anche perché l’interlocutore istintivamente fa uso dei segnali discorsivi che rinforzano il contatto e danno conferma dell’attenzione (“aha”, “uhm”, “certo”…).
In una presentazione o una lezione, ossia una comunicazione pubblica preparata, si ricevono segnali visivi, come le espressioni e la postura del pubblico, che fanno capire se il messaggio è ricevuto correttamente.
Nella registrazione radiofonica senza compresenza (io ero in uno studio di Milano in collegamento con Roma) la cooperazione comunicativa è ridotta perché non c’è contatto visivo con alcun interlocutore. L’ambiente è nuovo e, mentre si sta parlando, la cuffia esclude qualsiasi suono, quindi anche ogni segnale fatico, tanto che in alcuni momenti si ha quasi l’impressione di fare un monologo. È stato sicuramente l’aspetto più inatteso: l’atmosfera era molto cordiale e la comunicazione avveniva in modo spontaneo perché non sapevo quante e quali domande mi sarebbero state fatte, eppure avvertivo anche elementi che di solito associo alla comunicazione scritta, e così l’effetto era alquanto inusuale.
Il risultato?
Domani, sabato 18 gennaio, si saprà come è andato il mio primo impatto con una varietà diamesica per me del tutto nuova. La lingua batte è in onda su Radio 3 alle 14, anche online, e subito dopo sarà scaricabile il podcast.
Un grazie particolare alla curatrice Cristina Faloci e al conduttore Giuseppe Antonelli.
.mau.:
non mi è mai capitato di fare un’intervista in collegamento studio: dev’essere un casino immane. (Mi è capitata di farla per strada, in compenso… mi sono trovato un posticino tranquillo, ho parcheggiato la bicicletta e ho parlato).
Dal mio punto di vista, l’intervista in studio con il conduttore è molto più semplice, perché hai interazioni dirette pur non avendo il feedback diretto del pubblico.
Marco:
Complimenti per la tua interessante intervista Licia!
Devo dire che ascoltandoti sembri molto naturale, non si capisce che vi trovavate in città diverse.
Trovo un po’ stranianti le interruzioni di repertorio.
Sarebbe fantastico se i vari produttori di software armonizzassero la terminologia del settore, ma mi sembra che purtroppo siamo ancora molto lontani da questa possibilità…
Sarebbe già tanto se ci fosse consistency almeno all’interno della stessa azienda!
Licia:
@.mau., infatti la cosa più strana per me era proprio quella di essere solo io nello studio, uno spazio non piccolo, e ritrovarmi a parlare senza nessun’altra persona attorno: l’effetto non era per nulla paragonabile a una telefonata. [non c’entra nulla, ma il tuo commento era finito tra lo spam e non capisco proprio perché]
@Marco, grazie! Sulle tendenze di standardizzazione della terminologia italiana farò un post, credo sia molto meno possibile ora di quanto non lo fosse nel decennio scorso, per questioni diverse.