Ho ascoltato in podcast la puntata del 5 ottobre di La lingua batte, dedicata alla traduzione.
Vari interventi interessanti, tra cui un’intervista a Italo Rubino della Commissione europea, che ha illustrato con alcuni esempi le difficoltà di traduzione più comuni, spesso dovute a testi originali non del tutto chiari perché scritti in inglese da persone non di madrelingua.
Altri problemi riguardano i concetti giuridici che non esistono in italiano, oppure la disponibilità di terminologia italiana che solo apparentemente è equiparabile ma che invece non è equivalente (cfr. anisomorfismo) e quindi, anche a causa di impostazioni “culturalmente diverse”, non è idonea per i concetti espressi dalla legislazione europea.
In questi casi vengono creati dei neologismi, che poi si affermano in due modi: direttamente attraverso i regolamenti, che entrano in vigore in tutti gli stati membri alla data di pubblicazione, oppure attraverso le direttive, che devono essere recepite dalla legislazione italiana ma che spesso vengono copiate “di sana pianta” (mi è venuto in mente impersonificazione).
Sono stati citati anche alcuni problemi di interferenza dell’inglese, come calchi e falsi amici. Rubino ha aggiunto che si cerca di evitare di usare troppi termini in inglese e di “tradurre tutto quello che si può tradurre”, anche in ambito tecnico, ad es. finanziario o nel campo dell’elettronica: “mentre in Italia si usano dei termini senza nessun complesso inglesi, noi cerchiamo di trovare una traduzione italiana”.
Peccato che questo aspetto terminologico non sia stato approfondito con esempi o dettagli più specifici, perché ascoltando l’intervista si potrebbe avere l’impressione che vengano privilegiati termini meno comuni ma italiani ad eventuali forestierismi più diffusi e meglio conosciuti, e cioè che venga data la priorità a considerazioni di politica linguistica rispetto ad altri aspetti terminologici come destinatario, tendenze, frequenza d’uso e soprattutto equivalenza concettuale (cfr. formazione dei termini in L2).
Nei testi istituzionali un esempio potrebbe essere la scelta di privilegiare le locuzioni italiane base di dati o banca dati all’anglicismo database anche se è più diffuso, come mostra questo grafico di tendenze d’uso ricavato dal corpus di libri in italiano di Google Ngram Viewer:
Non è sempre facile decidere se la comunicazione è più efficace ricorrendo a terminologia italiana poco nota ma conforme alla morfologia della nostra lingua, oppure se vadano accettati anglicismi in apparenza estranei al sistema ma ormai sufficientemente diffusi e riconoscibili.
Vedi anche:
♦ Euro-English (la varietà di inglese delle istituzioni europee)
♦ Terminologia giuridica nel contesto europeo
♦ L’invasione degli anglicismi (lessico comune vs lessico specialistico)
♦ La narrativa di Obama non è in libreria: interferenze dell’inglese nella comunicazione.
♦ Terminologia e comunicazione (nuovo post: priorità per le istituzioni)
Luigi Muzii:
Molte di queste osservazioni si ritrovano in un contributo di Franco Urzì per The Big Wave (http://thebigwave.it/words-on-the-fly/euroitaliano-urzi/) del quale, peraltro, va ricordato l’eccellente Dizionario delle Combinazioni Lessicali.
chiarapetrucci:
La mia storia preferita sull’inglese comunitario è quella del termine “mainstream” che di fatto significa “relativo a questioni relative alla parita tra i sessi”. Per mesi mi sono chiesta da dove diavolo arrivasse un termine del genere, quando ho avuto una improvvisa illuminazione. Stavo dicendo “ma per me mainstream è al massimo una cosa sulla letteratura ‘principale’ quindi ad esempio non i gialli, non la SF etc” quando mi si è accesa una lampadina: mainstream = letteratura (vale a dire corpus di conoscenze) non discriminante del genere (da tradursi “gender”).
Un vero capolavoro !
Marco:
@chiarapetrucci: Io conoscevo mainstream con il significato di dominante, principale, termine usato molto anche in ambito informatico, ad es. “computer mainstream” per indicare i computer più comuni e diffusi, contrapposti a quelli di fascia bassa o di fascia alta.
Non capisco però che cosa c’entri il genere nel significato che tu riporti “relativo a questioni relative alla parita tra i sessi”. Grazie per eventuali delucidazioni.
chiarapetrucci:
L’arcano è presto spiegato: si parla di letteratura mainstream in contrapposizione a quella di genere. Per capirci: Manzoni è letteratura mainstream, Agatha Cristhie e Kurt Vonnegut jr sono letteratura di genere (rispettivamente giallo e SF).
E’ un modo di intendere la letteratura piuttosto antiquato (voglio dire: Andrea Camilleri e George Orwell dove li classifichi ?), ma ancora abbastanza diffuso.
E quindi l’uso è piuttosto simile a quello che mi citi in ambito informatico.
Le questioni relative alla parità tra i sessi si traducono in “problematiche (o questioni, o tematiche) di/sul genere ove il genere è quello sessuale.
Che la parola abbia tanti significati lo vedi anche da qui:
http://it.wikipedia.org/wiki/Genere
ma ritengo che nel caso dell’euringlese a far preferire una traduzione così orrenda sia stata appunto la presenza del termine “letteratura” (che è una parola con un sacco di significati anche lei e che in burocratese/accademico in genere significa bibliografia o corpus degli studi).
Per letteratura vedi ad esempio Coletti:
http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/L/letteratura.shtml
Marco:
@chiarapetrucci: Grazie!
Licia:
Grazie Chiara. Discussione molto interessante, non conoscevo il concetto di gender mainstreaming e mi ha incuriosita molto. Ho trovato la definizione del Consiglio d’Europa: “Gender mainstreaming is the (re)organisation, improvement, development and evaluation of policy processes, so that a gender equality perspective is incorporated in all policies at all levels and at all stages, by the actors normally involved in policy-making”.
Ci sono arrivata dando un’occhiata a IATE, il database terminologico dell’Unione europea. Ci sono alcuni doppioni e per l’italiano la terminologia non è coerente: si trova integrazione di genere, principio dell’integrazione della dimensione delle pari opportunità per le donne e gli uomini in tutte le politiche e azioni (ovviamente inutilizzabile come termine!) e prospettiva uomo-donna; il prestito mainstreaming viene invece usato per l’iperonimo, “Concetto che fa riferimento al processo attraverso il quale le innovazioni sperimentate in un ambito circoscritto (sociale, economico ed istituzionale) vengono trasposte a livello di sistema”, quindi non specifico solo del genere. Anche nel sito del ministero del lavoro italiano si trovano molte occorrenze di mainstreaming, quindi direi che è un termine tecnico usato in ambiti specializzati.
Wikipedia indica che il concetto di gender mainstreaming è stato proposto nel 1985 alla Third World Conference on Women organizzata dall’ONU, che ha un portale dedicato al Gender mainstreaming.
Credo che questa particolare accezione di mainstreaming possa avere origine dal verbo mainstream, “bring into the mainstream”, che in contesto scolastico da tempo fa riferimento all’inserimento di alunni con bisogni educativi speciali in una classe “convenzionale” .
chiarapetrucci:
@licia quello che scrivi mi è di grande conforto !